venerdì 17 luglio 2020

Esprimersi in italiano ai tempi del Web. Parole al contrario.



Qualche tempo fa, sulla mia pagina di Facebook, ho chiesto ad alcuni amici di indicarmi gli errori in lingua italiana o i modi di dire moderni che mal sopportavano, leggendo sul Web.
Non mi riferivo solo a veri e propri strafalcioni grammaticali ma ad espressioni entrate ormai nell'uso comune e nella scrittura, soprattutto nello spazio virtuale.

Dalla discussione sono emerse diverse posizioni che in molti condividiamo.

Siamo d'accordo nel ritenere spiacevoli e monotoni innanzitutto i luoghi comuni.
Ho scoperto che a parecchie persone, così come a me, rimangono sullo stomaco le ripetizioni di modi di dire o le mode di espressione, che ormai leggiamo quotidianamente sul Web.

Negli anni, anche i luoghi comuni hanno subìto una trasformazione e si sono per così dire adattati ai modelli comunicativi e alle piattaforme di incontro sociale.
Più che ad una vera e propria casistica di modi di essere e di pensare, mi riferisco in questa sede a maniere di esprimersi, soprattutto in scrittura, che sono poco eleganti, sicuramente ripetitive, spesso sbagliate.
Insomma espressioni che sono diventate di uso comune e quotidiano ma che ad orecchie come le mie provocano un fastidioso disturbo.

Procedo con una sommaria elencazione dei misfatti linguistici, tenendo ben presente le segnalazioni che mi sono arrivate dai miei amici che potete leggere sulla mia pagina Facebook.

- Rafforzare una negazione o un'affermazione con l'avverbio assolutamente.
Assolutamente noassolutamente sì.

- L'utilizzo inadeguato e spesso errato di alcuni verbi, sia nel significato sia nella forma: attenzionaresupportarenotiziare.

- L'uso indiscriminato di puntini di sospensione, di punti esclamativi ed interrogativi, infilati  in successione e in gran numero.

- Scrittura in maiuscolo.

- Spesso le parole sono adoperate con un significato sbagliato: è tipico dei nostri giorni, ad esempio, affibbiare all'espressione piuttosto che il valore disgiuntivo (che cioè separa o propone alternatva) in vece del giusto valore avversativo (che oppone).

- Inserire k al posto di ch. Scegliere X in vece di per.

- Perdita del corsivo.

- Scegliere parole straniere in vece delle corrispettive in italiano.

- Iniziare una frase con l'espressione E niente...

Terminare una frase con l'espressione ...ne abbiamo?

Azzardati neologismi come ti lovvo (ti amo) e muoro (muoio).

- Finire un periodo con ...per dire.

- Prediligere la discutibile espressione ma anche no, che sembrerebbe accostare la negazione (no) alla avversativa (ma) e alla aggiuntiva (anche).
Che gran confusione!

Insomma, oggi le parole non hanno più il peso e l'importanza che detenevano negli anni passati. Spesso esse vengono utilizzate in maniera sbagliata, non attenta al significato, stravolta nella forma.
Mi verrebbe quasi da dire: al contrario!

Concludo qui, attendendo nuovi spunti, e ringrazio di nuovo gli amici che sono intervenuti e di cui potete leggere le posizioni sulla mia pagina Facebook.


Concetta D'Orazio

Addolcire i sassi, metamorfosi di una scrittura - Editing




"E" come editing

A chi mi chiede di leggere un suo scritto, rispondo con la schiettezza che mi viene dal fatto di aver avuto io bisogno di un riscontro esterno, ai tempi in cui facevo le prime esperienze di redazione. 
Come accade a tutti coloro che hanno deciso di offrire alla pubblica lettura ciò che fino a qualche tempo addietro tenevano fra le carte personali, anch'io mi trovai a sottovalutare il livello di spontaneismo stilistico tipico di chi è alle prime armi.
La sincerità, dunque, mi viene dal fatto di aver io stessa già patito le incertezze che mi vengono presentate da chi mi propone i propri testi da leggere che, in genere, sono sempre amici-colleghi del gruppo dei Pionieri o comunque autori votati ad opera di auto-pubblicazione.

In questo articolo vi risparmierò la predica sulla necessità di offrire un prodotto perfetto, il libro, corretto sotto tutti gli aspetti, di tipo sintattico-morfologico e così via.
Ormai da queste raccomandazioni, che a prima vista sembrano ispirate a sani principi di generosità, si è in realtà arrivati a creare un gonfalone da sventolare in nome di una campagna contro l'approssimazione dei tempi moderni, pure (soprattutto?) in ambito letterario. Come se gli scrittori "di una volta" fossero ben attenti a ciò che mettevano giù con la penna, al contrario dei cosiddetti esordienti moderni. Risparmio la tiritera perché sono convinta che le persone meticolose sono dappertutto ed in ogni epoca, e dunque anche nella nostra, così come quelle meno precise.

Non si daranno qui nemmeno i cosiddetti consigli di scrittura creativa (l'aggettivo mi ha sempre lasciata perplessa, n.d.r.) di cui è florida la Rete.
Mi limiterò a riferire le opinioni personali che ho maturato soprattutto in questi due anni di esperienza di Self-Publishing.

Da lettore, l'occhio si bea ad ammirare i passaggi di stile ma non si ferma a studiarne con precisione le architetture che lo scrittore ha congegnato a tavolino.
Certo, l'analisi testuale metterebbe in evidenza le eventuali strategie di redazione, comprensive di azioni riuscite ed altre meno fortunate. Ma l'analisi testuale la proponevo in classe, nell'ambito di un lavoro di comprensione di un testo scritto, che presupponeva un approccio di tipo "tecnico".
Chi legge un romanzo, al di fuori di queste condizioni diciamole scolastiche o di critica, non si pone troppe questioni, si limita solo ad assaporare, godendone, ciò che l'autore che ha scelto gli propone. 
E mi pare giusto.

Per i motivi di cui sopra, uno dei parametri che mi guiderà nella lettura del libro a me proposto è quello inerente alla agilità del testo. E con agilità non intendo tanto (o almeno non solo) la scorrevolezza in senso propriamente linguistico ma tutto il modo di porsi dello scritto.

Per capire se un testo gode di agilità, mi faccio qualche domanda.

L'autore, scrivendo, fa al lettore una proposta oppure lascia che sia chi legge ad interpretare le congetture che la trama gli riserva e a fare ipotesi sulla possibile evoluzione della storia?

In caso di risposta negativa, faccio notare i miei dubbi all'amico autore, dicendogli pure di non aver gradito la sua imposizione nel propormi tutta la faccenda e nel non darmi possibilità di scelta.
Il lettore va consultato, accidenti! E la consultazione può avvenire solo quando chi scrive, si cala per un momento nei panni di chi legge.
Ecco, l'autore si deve trasformare spesso in lettore, nel corso della redazione del suo testo.

Altra domanda.

I personaggi vengono proposti con garbo, utilizzando tecniche di presentazione alternative, diciamole così, oppure vengono mostrati come se fossero modelli in vetrina?

Cerco di spiegare. 
Inutile ribadire che i personaggi di un romanzo, ma anche di un racconto, devono avere uno spessore che permetta a chi legge di individuarli nella propria mente, isolandoli da un qualsivoglia tipo di sfondo su cui sono inseriti e dunque modellandoli nella propria testa. 
Se io autore presento tal Caio il panettiere (il riferimento è casuale!), egli non potrà essere equiparato dal lettore ad un panettiere qualsiasi. Chi legge dovrà trovare nella sua mente proprio quel Caio che l'autore vuole rappresentare e nessun altro.
Il panettiere dovrà avere un volto, una conformazione fisica, un carattere. 
Potrà destare o meno la simpatia del lettore, non importa, ma dovrà prima di tutto esistere per lui.

L'autore non potrà permettersi di mostrarlo, l'autore dovrà aiutare chi legge a vederlo, cioè a costruirselo.

Passiamo quindi ad un'altra questione, di importanza vitale, pari a quella della agilità. Io la definirei essenzialità o sobrietà.
Posso capire se un testo è essenziale, bastevole a se stesso e sobrio, proponendomi una delle mie solite domande.

Nel testo si trovano elementi (descrizioni, azioni, riflessioni intime o commenti) inutili ai fini della comprensione? 

In altre parole: chi legge si è sentito costretto a spostare l'attenzione dal punto su cui era concentrato (trama) per ritrovarsi, spaesato, a dover rincorrere l'autore perso dietro divagazioni inutili e assolutamente non necessarie in questa sede?
In questo caso, purtroppo senza nessuna pietà, dovrò consigliare caldamente all'amico scrittore di tagliare, recidere, buttare via quello che non è necessario.
Voglio rincuorare però il povero collega auto-pubblicante: esiste un trucco per inserire qualche notizia, qualche convinzione personale, qualche allusione.
Il trucco è quello di dire queste cose di nascosto, cioè non mettendole in rilievo ma facendole intuire. 

Un ultimo parametro che voglio illustrare in questa sede è quello della congruenza. Il fatto che io l'abbia posto per ultimo non vi autorizza a pensare che sia quello meno importante. 
Anzi, è vero proprio il contrario.
Sulla congruenza testuale si è detto tanto. Inutile stare qui a ribadire le varie teorie e posizioni critiche.
Io voglio darvi un consiglio molto semplice. 
E per farlo utilizzerò le ultime proposizioni interrogative.

Le azioni seguono il percorso che comprende un inizio, uno svolgimento, una fine? 
I personaggi si comportano coerentemente al valore che volete che essi esprimano? Nel caso subiscano delle metamorfosi in corso d'opera, il lettore sarà in grado di riconoscerle?
Il testo è adatto alla scena e ai tempi, vale a dire alla posizione geografica e cronologica in cui è inserito?

Brevemente dirò che che i momenti di inizio, svolgimento e fine non devono seguire necessariamente questo ordine. L'importante è che l'azione abbia una sua logica.
Nel caso i personaggi, nel corso dell'opera, siano sottoposti ad un qualsiasi cambiamento, avete fatto in modo di "preparare" il lettore a recepirlo?
Insomma, per fare un esempio: se il buon Caio decide che la panetteria non fa per lui e la chiude, avete in precedenza informato il lettore sulla sua eventuale intolleranza al glutine? L'esempio è ironico ma spero sia efficace.
Per ciò che concerne la congruenza del testo con il tempo e la scena di ambientazione, credo che non ci sia nient'altro da aggiungere. 

In realtà i parametri di cui mi servo per calcolare l'affidabilità di un testo sono diversi. 
La natura dell'articolo non mi permette di dilungare ulteriormente la questione. 
Vi rassicuro però affermando che questi che ho esposto sono i termini di studio più importanti.

Concetta D'Orazio

Editing. Un lavoro necessario?

(Articolo completo)


Inutile ripeterlo: oggi tutti sappiamo scrivere
Non aggiungo i consueti punti interrogativi, a coppie di due alla volta, o, peggio ancora, terni di esclamativi, a sottolineare che ho appena fatto una delle mie solite battute.

Ma torniamo a noi.
Dunque la verità è questa: tanti azzardano con la penna a comporre storie, più o meno entusiasmanti, più o meno lunghe, più o meno buone. 
Tutta la mia benedizione a questi molti, fra cui mi colloco anche io. Perché dovremmo rinunciarci? Lo avevo già detto (qui) ed è inutile che lo ribadisca ancora.

La questione si fa difficile quando tra tutti i "molti" di prima occorrerà fare una selezione fra le opere infinite che loro metteranno a disposizione di pubblico leggente.
Se tutti sappiamo scrivere, non è detto che tutte le opere (romanzi, racconti) siano perfette. 
Non lo sono perché non basta una penna sola per segnare una compiutezza del libro. Affinché un testo risulti ottimamente composito e naturalmente coerente, è necessaria l'interazione fra chi ha messo in atto lo scritto (autore) e chi ha occhi esterni al prodotto. Non mi riferisco ora al controllo di piccoli errori che possono essere di battitura o di disattenzione. Neppure alludo ad imprecisioni lievi in senso grammaticale. Per questi, è necessaria una visione da parte di una persona che abbia un allenamento adeguato a snidare eventuali sgrammaticature o segni fuori posto. 

L'osservazione altra, chiamiamola così, a cui un autore dovrebbe sottoporre il suo testo, è necessaria al fine di un miglioramento del libro sotto diversi punti di vista che, per questioni di spazio e di tempo, riassumo in: 

- questione linguistica;
- coerenza cronologica e di ambientazione;
- gestione della linearità e scorrevolezza del testo;
- rispondenza dei caratteri e delle caratteristiche dei personaggi;
- adeguamento del testo ad eventuali (sottolineo eventuali) necessità di pubblico a cui deve essere offerta l'opera;
- eliminazione di "materiale" inutile che appesantisce e rende difficoltosa la comprensione di tutto il testo.

Per non dilungarmi ulteriormente sulle diverse proprietà del lavoro di editing, vi rimando ad un mio precedente brano (qui).

Dunque, fatte queste premesse, chiediamoci: è proprio necessario sottoporre il testo ad un "ripensamento"?
Abbiamo bisogno di affidarci ad un editor?

Quando si affronta questo dilemma, solitamente, nasce spontanea un'altra questione: è cosa solo moderna tutto questo rimestar le carte, aggiungere, tagliare, assottigliare, cambiare di titolo, aggiustare il finale? Come facevano i "grandi" del nostro illustre passato letterario?

Per alcuni la risposta potrebbe scaturire velocemente: i nomi gloriosi della letteratura facevano tutto da soli, a differenza di alcuni (tutti?) autori moderni, che hanno bisogno di una figura professionale che li accompagni nella redazione, arrivando addirittura a capovolgerne alcuni tratti.
Sappiamo bene che così non è.
La storia della letteratura, come raccontano i miei adorati testi universitari, avalla piuttosto la tesi che le grandi opere letterarie sono frutto di contributi intellettuali, diretti e indiretti, di disquisizioni e carteggi.
E da tutto questo: quante correzioni, cambiamenti in itinere e conclusivi!

Certo, a seconda del periodo storico in cui questi libri nacquero, il "collaboratore" dell'autore non si chiamava editor, ma l'utilità e la convenienza della sua opera, così come quella di tanti professionisti moderni, non possono essere messe in discussione.
Pensiamo a Manzoni, per dire, che, secondo me, rappresenta proprio un esempio di autore che si avvale dei consigli di altri che, all'epoca, non si dicevano editor, ma che diedero un contributo, diretto e indiretto, alla nascita del capolavoro.

Ebbene il romanzo dell'illustre Alessandro è la dimostrazione di come il riesame di un'opera debba essere condotto servendosi della collaborazione di altre personalità o comunque figure professionali adeguate.

La  redazione del suo romanzo storico, dal Fermo e Lucia ai definitivi Promessi Sposi, fu il frutto di un'interazione costante con altre persone.
Conversazioni carteggi ne sono la prova.
Insomma, l'autore arrivò alla edizione finale, avvalendosi di diversi "nutrimenti" critici e consigli di varia natura, seppur in variegata modalità e differente misura.
Anche in base a quelli, e non soltanto per considerazioni e ripensamenti personali, mutò la natura del suo testo, per alcuni aspetti.
Manzoni compì rivisitazioni e aggiustamenti continui, potendo contare sulla collaborazione di validi intellettuali.

Abbiamo detto collaborazione?
E cosa fa l'autore di oggi? Si avvale dell'assistenza di una figura professionale che ora ha un nome: editor.

Un tempo i "revisori" erano individuati nella cerchia di persone ritenute capaci di consigliare.
Oggi esiste la figura professionale vera e propria, l'editor appunto, che svolge il suo lavoro a pagamento. Il risultato è sempre lo stesso: lavorare insieme ad altri, al fine di ottenere un'opera compiuta e perfetta, sotto diversi punti di vista (coerenza, lingua, etcetera).

Ed eccomi infine a fornire una risposta alla  domanda iniziale: è necessario affidare la supervisione di un'opera a uno o più revisori?
Saper scrivere bene, l'ho appena detto, non è sufficiente per produrre un'opera perfetta. Chi scrive in solitudine non è più scrittore di chi cerca i consigli di altre persone, arrivando addirittura a ripensare alcune caratteristiche di quanto ha prodotto (libro).
Insomma, non si diventa automaticamente meno "grandi", a lasciarsi aiutare.
Anzi, l'aiuto esterno è importantissimo al fine di produrre un'opera "grande" appunto.

Quando la consulenza in termini di editing è assicurata dal patrocinio di una casa editrice, l'operazione, se vogliamo, diventa più semplice. Si viene seguiti, consigliati, incoraggiati.
Problemi diversi deve risolvere lo scrittore che si auto-pubblica (indie) che, tra le altre cose, deve affrontare pure la ricerca di un collaboratore, figura capace di affiancarlo, nel difficile cammino che porterà alla "produzione" dell'opera. Occorrerà quindi riuscire a trovare una persona con cui entrare in primo luogo in sintonia.

Per ricollegarmi alla figura del collaboratore nel corso dei secoli, vi lascio una domanda: forse che fare editing oggi non equivale ad uno scambio di vedute, a volte contrapposte, spesso antitetiche, attraverso un carteggio digitale?


Concetta D'Orazio