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lunedì 14 ottobre 2024

Colori di ottobre

 



Mi appresto all'autunno che ancora ha timori d'apparire.

Ti aspetto, mio adorato, con le tue fronde cariche di colori del porpora, del vermiglio e del cioccolato mandorlato.

Piacevoli evoco in mente quei tuoi abbracci di miele, di castagne e di profumi di mosto.

Ti aspetto, perché tardi a mostrarti?

Perché non lasci allungare i tuoi tepori, ma li mescoli ancora con l'afa arrugginita?

L'attesa, mi dirai, accresce l'emozione dell'incontro.

Hai ragione, ma non tardare oltremodo.

Concetta D'Orazio

giovedì 25 agosto 2022

L'incipit

 




Importanza dell'incipit


Incipio in latino significa intraprendo, comincio; nell'uso filologico con la parola incipit, terza persona singolare del verbo incipio appunto, s'intende l'inizio di un testo, in riferimento alla prima parola o alle prime parole.

Volendo estendere il significato del termine, in relazione al campo editoriale, si può affermare che l'incipit non è solo limitato alla parola o alla frase iniziali di un testo, una pubblicazione, ma esso abbraccia tutto un intero brano o paragrafo.

Gli autori lo sanno, l'incipit è fondamentale come un asso nella manica.

Eh, va bene, ma perché dare tanta importanza all'inizio? 

Esso è la nostra presentazione! 

Prima di acquistare una copia cartacea di un libro, qual è la cosa che facciamo, oltre a dare uno sguardo alla copertina e alla quarta di copertina? Senza dubbio è quella di leggere l'overture del romanzo.

Allo stesso modo, prima di scaricare una copia digitale, clicchiamo sul pulsante "leggi l'estratto" e cerchiamo di capire se quello è un e-book che fa per noi. Per questi motivi l'inizio di un romanzo non deve mai deludere le aspettative del lettore: egli lo abbandonerebbe prima ancora di averlo acquistato.

Con la lettura del prologo, il lettore inizia ad avvicinarsi all'autore, ne palpa l'essenza, ne immagina i contenuti, ne studia la forma. Chi legge è già in grado di capire se quella storia potrà appassionarlo, se la forma narrativa si addice alle aspettative che nutre in quel momento.

L'incipit dunque dev'essere accattivante, seducente; dev'essere inoltre preciso nella resa sintattica, non che il resto non debba esserlo, s'intende, ma, piazzare un refuso, o peggio ancora un errore di ortografia, proprio all'inizio, non è che faccia fare una bella figura all'intero libro.

Non ha importanza cosa scriverete nel prologo: una descrizione? Un dialogo? Una riflessione? Con qualunque cosa abbiate deciso di iniziare, voi dovete riporre in essa tutta la vostra attenzione! 

Buon lavoro.


Concetta D'Orazio


Sì, perché le prime impressioni sono quelle che contano. Lo dicono sempre quelle persone che insegnano a scrivere.  
Le stesse che consigliano di non dilungarti, di non divagare, di non associare, di non aggettivare. Di non perderti d'avverbio. 
Di tirare dritto e mantenere il passo.
Di contare le battute e di misurare le vocali. (rif.articolo)


mercoledì 24 agosto 2022

Editing e correzione bozze: differenze



CORREZIONE DI BOZZE ED EDITING

Nell'ambito dei miei ragionamenti sulla questione relativa alla pubblicazione di un testo, rivolta soprattutto agli autori cosiddetti indipendenti, vale a dire a coloro che non si avvalgono del patrocinio di una casa editrice, volevo chiarire una questione importante.
Una volta terminato, il manoscritto deve seguire numerosi passaggi prima di essere pronto e perfetto. Tra gli amici autori, cioè tra coloro con cui scambiamo vicendevolmente favori in fatto di letture e revisioni, sono diversi coloro che mi scrivono per chiedere indistintamente un aiuto per la correzione delle bozze e per l'editing, dimenticando spesso che fra queste due attività editoriali c'è una notevole diversificazione. 

Qual è la differenza?
Dunque, la mano del correttore di bozze individua e corregge:

- refusi;
- errori di tipo sintattico, vale a dire gli sbagli inerenti alla struttura della frase;
- resa della punteggiatura;
- uso impreciso dei caratteri, delle spaziature, secondo le direttive che ogni autore indipendente ha scelto di seguire oppure secondo le indicazioni della casa editrice;
- alcuni aspetti dell'impaginazione.

Cosa fa un editor?

L'editor è una figura più complessa che si affianca di pari passo all'opera dell'autore, rendendone chiari gli intenti e aiutandolo nella resa della narrazione.
Questa figura è indispensabile alla buona riuscita del libro: autore ed editor devono procedere in perfetta simbiosi empatica, nel corso della scrittura. 
L'editor si preoccupa di analizzare ogni brano di un'intera opera e vedere se essa è:
- congruente;
- lineare;
In fase di editing si analizzano ed eventualmente si correggono:
- le caratterizzazioni dei personaggi;
- la coerenza delle azioni;
- la congruenza fra epoca storica di ambientazione, usi e costumi, linguaggio utilizzato.
Ultima ma non meno importante fase della revisione è quella dell'eliminazione di tutti i brani inutili alla narrazione.


Concetta D'Orazio

martedì 23 luglio 2019

La rete e la mia solitudine




La Rete è piena.
La Rete è piena di scemenze, di accuse, di #eguardaquello, di #essentiquesta. Si critica, spinti da quel gusto inutile del dire male all'avversario o nella convinzione di sminuire il lavoro di chi lavora. 
La Rete è colma di rinfacci e di rincicci. 
Di teorie, costruite grattando lo specchio, e paragoni con il passato, ai limiti della decenza intellettiva.

Più scorro la mia home e più ringrazio la mia solitudine.

sabato 16 marzo 2019

Rubo il tempo.

La mia passione lo richiede ma quello che riesco a mettere da parte non è mai abbastanza. 
Non ce l'ho e lo cerco.
Non mi basta e lo condanno.
Rimprovero i minuti perché scappano.
Me la prendo con le ore perché si nascondono.
Richiamo indietro i giorni ma essi mi fanno marameo.
Rubo il tempo per scrivere, fino a quando non avrò più la forza di arrabbiarmi per averlo perso.
#tempo #scrittura #selfpublishing

domenica 29 aprile 2018

L'intesa

Con la parola scritta è necessario trovare un'intesa perfetta. Mancando questo rapporto, ogni segno messo giù diventa un brutto scarabocchio.

#scrittura #linguaitaliana #selfpublishing

mercoledì 30 novembre 2016

Di scrittura

Si sbaglia chi paragona la scrittura ad una valvola di sfogo.
Non ci si può sfogare, costringendo gli altri a farsi carico delle proprie decadenze di spirito o delle felicità improvvise.
 
Chi legge non è un nostro confidente né tanto meno un nostro confessore.
Chi ha deciso di fermare gli occhi sulle parole che abbiamo messo in fila, ci sta concedendo tempo, suo tempo.
 
Io non mi permetto di occupare inutilmente i momenti di chi mi dedica una parte di sé. Prima di digitare una sola lettera sulla tastiera, ricordo a me stessa che a quella persona potrebbe fregare meno di niente di leggere i miei sfoghi di petto, per esempio.
Certo, scrivo e scrivo molto. Ma peso pure le parole. 
 
#scrittura #scrivoindipendente #scrivere

venerdì 30 ottobre 2015

Si può scrivere su tutto, di tutto. Anche un gabinetto può essere di ispirazione.
L'importante è cercare sempre le parole esatte. I termini devono rintoccare puntuali. Accrescitivi e diminutivi devono scandire il ritmo, senza essere audaci. Ricorrere a malsane abitudini interpuntive ci mette in grave rischio. E io sono diventata fiacca e logora, a furia di controllarle.


#scrivoindipendente

lunedì 29 giugno 2015

Di verde, di rami e di sole.

















Hai visto quei rami? Con il verde che quasi pare grondare sul fusto, si inerpicano e si attorcigliano.
Si fondono con il celeste e poi chiamano a raccolta le ombre più scure.

Come la vita tua. I colori li hai divisi, poi li hai riavvicinati. 
Li separasti. E dunque ottenesti nuovamente l'armonia.
Il seppia di un momento fece da contralto al bianco e nero imperturbabile.

La vivacità di altri tempi si distanziò, facendoti intristire.

Sognavi la tenerezza.
Reclamavi dolcezza.
E i bisogni di bene si alternavano allo scuro. Come fusti secchi e cadenti.

Le corse senza termine, gli istanti vuoti. 
Le presenze dure, le assenze pregnanti e le pene d'amore.

Scale di grigio, insopportabili gradazioni di pochezza. 

Tutto fu importante, niente fu insignificante.
Per riconoscere il chiarore.
Per salutare la luce. 
Per vedere quel verde così verde.
Quei rami così arditi.
Quel sole tanto nuovo.

Concetta D'Orazio



Panegirico di un fiore

















Con questi occhi, non ti riuscivo a salutare.
Non ti sapevo riconoscere.

Eri tronfio. Di un'arroganza fuori dal comune.
O forse è meglio dire: fuori dal campo.
Lontano da quella campagna assolata da cui ti avevo tratto via stamattina. 


Ho agito. Con fatica ho cercato di ghermirti, mentre il sudore sulla fronte mi ricordava che sarebbe stato meglio far presto. 
Dovevo adoperarmi. Dovevo arrivare prima della tua trasformazione. 
O forse prima che il calore del giorno a venire avesse avvizzito il tuo splendore.

Come un borsaiolo, ho allungato le mani, per sottrarti a quella pianta da cui avevo deciso che dovevi allontanarti. 
Lo svezzamento mi parve necessario.

Ti ho infilato nel cesto. Ti ho promesso vita tua, collocandoti giusto sopra ai frutti, tuoi compagni di viaggio, nella borsa campagnola di vimini.
Non dovevi essere disturbato. Nessuno e nulla avrebbe dovuto turbare, pestandoti, la tua bellezza.
Ho tenuto sotto cetrioli e melanzane.
E tu in alto. Sua maestà.

Ho risalito il pendio, con te nel sacco. Ho cercato con tutta me stessa di essere tenera, di assicurarmi, di quando in quando, che tu giungessi illeso a casa.
E mentre respiravo con affanno, mi adoperavo ad assicurarti la salvezza della tua signorilità.

E dopo tutte le mie accortezze, tu mi hai ripagato con trattamento da altezzoso.
Ti ho notato, sai?
Eri superbo.
Pure arrogante, a tratti.

Troppo pieno di te.

E di un po' di mozzarella con il tonno. Questa è stata la pena che mi è parso giusto comminarti.
Non potevi trattare così la mia disponibilità. Ingrato.
Non sono stata forse io quella che ha curato la tua crescita, sommergendo ogni giorno di acqua tutte quelle zolle in cui tu hai trovato dimora?
Il tuo animo narciso non avrebbe dovuto trattarmi così.
Avresti dovuto rivestirti di candida umiltà.

Per questo ti ho tuffato nella farina. Girandoti nel bianco e accarezzandoti. 
Un bagno di talco del mezzogiorno. Era quel che ci voleva. Che ti serviva.





Con mozzarella e tonno dentro, con farina e uova fuori. La tua vestizione mi è sembrata adatta.
Ti ho visto pronto ad essere riscaldato. Ti ho donato qualche bracciolo e un salvagente.
Ti ho dato il permesso per il tuo bagno grasso, fra le onde vivaci del mezzodì.




Eccoti, ora. 
Sei fritto, amico mio.
E sei più bello di prima.
Più signore.
Più in odore.
Più croccante, insomma.

Guardati. Ammirati. 
Apprezzati ora. Fiore di zucca vanesio.

Concetta D'Orazio




martedì 12 maggio 2015

Scelte grafiche: i dialoghi

 Una condanna per gli autori che si auto-pubblicano?






Scelte grafiche: i dialoghi.
Una condanna per gli autori che si auto-pubblicano?

Il punto finale. Eccolo. Ho terminato.
Il mio scritto ha preso forma e consistenza, è diventato una storia, con tutti i suoi personaggi al posto giusto e con la battuta azzeccata.
Adesso tocca fare la revisione. Accidenti, lo so, questo è il momento più noioso, non tanto per aggiustare sfumature di sintassi, quanto per superare la famosa prova, quella della scelta dei caratteri, o meglio dei segni grafici, più adatti alla resa dello scritto.

Per molte questioni di tipo pratico, quali ad esempio la formattazione del testo, l’uso dei rientri e la misura dell’interlinea, possiamo reperire facilmente informazioni, anche adeguandole a quanto richiesto dalla piattaforma a cui abbiamo deciso di destinare il nostro libro digitale. Diverso è invece il problema relativo a scelte grafiche personali, per le quali non troveremo aiuto concreto, tanto meno regole fisse.

Una domanda su cui, ammettetelo, ammettiamolo, ogni volta perdiamo quelle mezze giornate, prima di prendere una decisione definitiva, è questa: come rendere le battute dei vari personaggi? E meglio: quali simboli utilizzo per la resa del discorso diretto?

Ho scritto parecchie volte sull’argomento, in articoli e interventi disseminati per il Web, perché ritengo che quello della resa dei dialoghi sia uno degli ostacoli più antipatici per gli autori che pubblicano i loro testi in maniera autonoma: devono assumersi la responsabilità della scelta dei “segnetti” giusti.
L’esperienza degli ultimi anni mi ha portato (finalmente?) a decidere per una soluzione che, conoscendomi, so già che non sarà quella definitiva. Ritiro il finalmente.
Questo è anche il motivo per cui ho deciso di scrivere un nuovo articolo sull’argomento: mi sento oggi più consapevole, da questo punto di vista, anche se sono sempre volta alla sperimentazione, come accade per la gran parte degli autori indipendenti. Da appartenente alla categoria, posso dire con sicurezza che, ad ogni nuova pubblicazione, i dubbi relativi alla questione del discorso diretto, anziché scemare, crescono.

Accade infatti che, nel mentre sei impegnato nella scelta, ricordi di aver letto il libro di quel collega che faceva parlare i personaggi, anteponendo alle loro battute un  trattino. Hai trovato che quella preferenza fosse della giusta essenzialità.
Poi ti è pure capitato di dare uno sguardo all’altro e-Book, scaricato da poco, ed hai visto che i dialoghi anticipati dai cosiddetti “” apici (virgolette alte) danno un effetto più vivace alla narrazione.
Sì, però è anche vero che il libro dell’altro amico, ad occhio attento, ha una grafica più elegante, grazie all’uso delle virgolette caporali «».

Insomma, come ho già detto, consumi più di un paio di ore in Rete a capire quale sia la forma grafica più opportuna.
Uscirai dal labirinto di informazioni in cui ti sei cacciato, dopo aver digitato sul motore di ricerca qualcosa come “resa dialogo casa editrice”, con un gran mal di testa. Sarai costretto a constatare che ognuno fa un po’ come gli pare. I grandi marchi, in genere, una volta stabiliti i segni da utilizzare, seguono con estrema precisione le loro regole.

E gli scrittori indipendenti? L’ho già detto: fanno come meglio credono.
Alcuni stabiliscono a priori regole personali e le rispettano ad ogni nuova pubblicazione. Altri sperimentano, cambiano. Non seguono uno schema prestabilito.

Io mi metto in questo secondo gruppo: ogni volta provo novità grafiche, insomma utilizzo nuovi segni grafici, forse per l’insicurezza che mi viene da una sorta di ansia da prestazione.
La mia preferenza, l’ho già detto altrove, è ormai accordata alle virgolette caporali: mi sembrano eleganti, raffinate.
E pure poco invadenti.
I dialoghi introdotti dai caporali, infatti, non creano confusione nel lettore, come potrebbe essere invece con gli apici: quante volte li abbiamo visti, a sottolineare il significato di termini inconsueti o singolari?
E non parliamo dei trattini ( rigati): potrebbero trarre in inganno, confondendosi magari con i segni simili, i - trattini di congiunzione, utilizzati per separare due o più termini.
Però il trattino a me piace, ­­fa pensare a dialoghi animati, veloci. Credo che sia preferibile in testi di ambientazione moderna. I caporali, invece, li vedo bene nei discorsi diretti, all'interno di scritti di contenuto più classico, storico.
Queste naturalmente sono solo mie opinioni.
Comunque sia, oggi posso dire che le cosiddette virgolette basse sono le mie favorite.
Attenzione, non confondiamo i caporali « » con << >>, che personalmente non userei mai.

Ho sperimentato tanto, prima di arrivare a questa conclusione, dai trattini agli apici doppi.
Nei miei scritti c’è la prova di questi esercizi di resa, chiamiamoli così.
Ogni autore indie d’altronde va avanti provando e riprovando.
Cerchiamo di perfezionarci, di migliorare.
L’esperienza, infine, porterà ad adottare sempre nuovi accomodamenti.


Concetta D’Orazio