giovedì 26 marzo 2020

Cronache di quarantena - 2




Cronache di quarantena – 2

Posiziono il bollitore, lo accendo e aspetto.
L’acqua è pronta, quando ormai ho quasi smesso di desiderare la mia tazza pomeridiana di tè.
E infatti ho deciso che non voglio più un tè. Meglio una camomilla.
Giro lo sportello del pensile e cerco di prendere una bustina. Ce l’ho, l’ho agguantata rovistando dietro al barattolo dello zucchero.
Mi intrattengo scorrendo l’indice sullo schermo dello smartphone; lo abbandono per un momento sul tavolo di legno, nel mentre inizio ad immergere nell’acqua bollente la bustina che ho finalmente sacrificato ai miei bisogni. Lenta, la camomilla va giù e poi risale. Proprio come le immagini che tentano di entrare a bagnarsi in quello stagno confuso che è diventato il mio cervello.

C’è di tutto infatti nella mia mente.
C’è l’incertezza della novità improvvisa. C’è l’incognita del chissà per quanto tempo. E c’è la paura del conoscere la verità, in tutte le sue forme e variabili: la verità dei numeri, la verità del contagio, la verità di chi ce la fa, la verità di chi potrà raccontarla.
Di mille verità, io non conosco nemmeno una. Lo stagno, con all'interno i miei ragionamenti, è pronto a vederne affogati ancora altri tanti, senza saper dare risposte.

Chi avrebbe mai pensato, solo qualche settimana fa, che il mondo si sarebbe bloccato, adagiandosi in uno spaventoso silenzio? Chi mai avrebbe detto che tutto quello che prima ci sembrava normale, abituale, scontato e dovuto ora è diventato vietato ed impossibile?

Certo, per me che abito in una casa fra i campi, con una strada davanti, nascosta fra le gradazioni del verde della vegetazione, le notizie che leggo sullo schermo del cellulare mi arrivano ovattate, quasi che l’esistenza abbia deciso di rendermele meno drammatiche.
Del resto io vivevo normalmente nel silenzio anche prima. Prima di questa sciagura. La mia vita di tutti i giorni era fatta di assenza di rumore.
Adesso però questa mancanza di baccano fa male anche a me che trascorro il mio tempo in solitudine. Oggi questa solitudine la sento più pesante, più ingombrante. La paragono all'abbandono che in così poco tempo ha colpito il mondo, senza dare alle persone il tempo necessario per l’adattamento a questo nuovo modo di vivere, fatto di pochezza, di rassegnazione e di attesa.

Ciao, Rosalba, che fai? – il messaggio di Carla mi richiama alla realtà. Tiro indietro le labbra dal bordo della tazza.

Sorseggio camomilla, facendo finta che sia tè – le rispondo, a metà fra la presa in giro e la noncuranza.

Come stai? – Me lo scrive quasi con dolcezza. Se non la conoscessi. In realtà nasconde il suo bisogno di farsi leggere da qualcuno dietro una falsa apprensione per me.

Come al solito. Faccio crostate, mi affaccio alla finestra, organizzo il guardaroba.  -Rincaro la stilettata.

Certo, per te non è cambiato nulla! Ma  sei al corrente di cosa sta accadendo nel mondo, vero? La capisci la gravità della situazione, mi auguro. – Le sue suonano come parole di accusa e di sfida. 

Io non aggiungo altro alla conversazione, tanto so già come finirà.
Finirà che inizierà a lamentarsi, a ripetermi che è stanca e che vuole uscire. Finirà che litigheremo.
Proprio per questo non mi smuovo nemmeno per visualizzare le ulteriori notifiche, mentre il cicalino del telefono me le annuncia a ritmo di mitraglia.

[continua…]

martedì 24 marzo 2020

Cronache di quarantena - 1






Organizzo il guardaroba, faccio crostate, mi affaccio alla finestra. Conto quante volte la linea bianca si spezza e, da continua, diventa tratteggiata, sulla strada che ho di fronte e che non è mai stata così strada, da quando sono qui. Sì, perché adesso ogni cosa sembra aver ripreso i caratteri e le qualità per i quali un tempo è stata progettata o dall'uomo o dalla natura.

Non ho mai pensato che quella interruzione di campi a metà, sulla quale ogni tanto qualcuno viene a fare manutenzione, mandato chissà da quale entità soprannaturale, potesse all'improvviso manifestarsi per quello che è: una strada. Solo una semplice e insignificante via, che deve avere pure un inizio e di sicuro porterà da qualche parte.
Prima mi era indifferente, allungata a caso, fra i campi inabitati, non l’avevo mai considerata come un tragitto da percorrere a piedi o da attraversare con un mezzo di trasporto, più o meno a velocità sostenuta. Pensavo quel percorso come parte integrante del paesaggio, sfumatura sul grigio del verde circostante.
Una striscia omogenea che un pennello di qualcuno aveva lasciato scorrere sulla tela abbozzata di qualche quadro. Sarebbe rimasto anonimo, come i tanti quadri abbandonati nelle case anch'esse anonime di gente senza importanza.
Prima, prima di oggi e di domani, quel sentiero, lavorato da betoniere incognite, in un tempo che non mi è dato sapere, forse sarà stato solo uno sconosciuto tracciato, solcato dai piedi dell’uomo e dalle zampe degli animali diretti al pascolo.
Oggi finalmente la riconosco come strada.
La guardo da casa mia. Qui da una delle tante finestre di cui è corredata la mia abitazione.
So già che domani, affacciandomi sul lato più esposto ad est, quell'itinerario mi ispirerà nuove storie.
Tanto sono sola. E tempo da perdere ne ho.

Hanno detto una settimana. Una settimana in casa. Lo hanno detto circa tre settimane fa.
E a me la mente già s’inerpica.
Se la settimana fosse come le settimane delle altre persone, forse potrei sopportarla senza tanti giri di pensiero, senza che il mio cervello non si impegni a rispondere ai perché dell’esistenza.
Ripeto il mio nome perché sono sola e so già che potrei dimenticarlo.
Chi si ricorderà di come mi chiamo, se io stessa non sarò in grado di pronunciare il mio nome?
Il mio nome è Rosalba.
Sono sola in questa peripezia, che si sta facendo accidentale e inconsueta.
Proprio come la quarantena che hanno da poco comunicato in tv. Da poco più di tre settimane.
Il mio nome è Rosalba e trascorro la mia esistenza in questa casa fra i campi, davanti a questa strada.
Mi chiamo Rosalba, come la mia nonna e come tutte le nonne prima di lei, nella mia famiglia.
Organizzo il guardaroba, faccio crostate, mi affaccio alla finestra.


[continua...]

venerdì 20 marzo 2020


Passa un altro giorno, ma non passa.
Non passa quel senso di attesa di un tempo che verrà, che sarà carico di tutte le incertezze di questo nostro mondo.
Ah, questo nostro mondo! Oggi lo vediamo sbriciolarsi, come la mollica di una rosetta che avevamo dimenticato nell'angolo della credenza.
Non passa un momento di speranza in un futuro che non sarà più tanto uguale al futuro di ieri.
Sapremo riconoscerlo?
Finisce una giornata ma non termina il travaglio dei nostri cuori addormentati in un limbo di incertezze.
Cosa diremo il giorno dopo?
E quello dopo ancora?
L'alba tornerà domani, piena di tutte le domande a cui nemmeno oggi abbiamo saputo dare risposta.

20 marzo 2020

Concetta D'Orazio