martedì 24 marzo 2020

Cronache di quarantena - 1






Organizzo il guardaroba, faccio crostate, mi affaccio alla finestra. Conto quante volte la linea bianca si spezza e, da continua, diventa tratteggiata, sulla strada che ho di fronte e che non è mai stata così strada, da quando sono qui. Sì, perché adesso ogni cosa sembra aver ripreso i caratteri e le qualità per i quali un tempo è stata progettata o dall'uomo o dalla natura.

Non ho mai pensato che quella interruzione di campi a metà, sulla quale ogni tanto qualcuno viene a fare manutenzione, mandato chissà da quale entità soprannaturale, potesse all'improvviso manifestarsi per quello che è: una strada. Solo una semplice e insignificante via, che deve avere pure un inizio e di sicuro porterà da qualche parte.
Prima mi era indifferente, allungata a caso, fra i campi inabitati, non l’avevo mai considerata come un tragitto da percorrere a piedi o da attraversare con un mezzo di trasporto, più o meno a velocità sostenuta. Pensavo quel percorso come parte integrante del paesaggio, sfumatura sul grigio del verde circostante.
Una striscia omogenea che un pennello di qualcuno aveva lasciato scorrere sulla tela abbozzata di qualche quadro. Sarebbe rimasto anonimo, come i tanti quadri abbandonati nelle case anch'esse anonime di gente senza importanza.
Prima, prima di oggi e di domani, quel sentiero, lavorato da betoniere incognite, in un tempo che non mi è dato sapere, forse sarà stato solo uno sconosciuto tracciato, solcato dai piedi dell’uomo e dalle zampe degli animali diretti al pascolo.
Oggi finalmente la riconosco come strada.
La guardo da casa mia. Qui da una delle tante finestre di cui è corredata la mia abitazione.
So già che domani, affacciandomi sul lato più esposto ad est, quell'itinerario mi ispirerà nuove storie.
Tanto sono sola. E tempo da perdere ne ho.

Hanno detto una settimana. Una settimana in casa. Lo hanno detto circa tre settimane fa.
E a me la mente già s’inerpica.
Se la settimana fosse come le settimane delle altre persone, forse potrei sopportarla senza tanti giri di pensiero, senza che il mio cervello non si impegni a rispondere ai perché dell’esistenza.
Ripeto il mio nome perché sono sola e so già che potrei dimenticarlo.
Chi si ricorderà di come mi chiamo, se io stessa non sarò in grado di pronunciare il mio nome?
Il mio nome è Rosalba.
Sono sola in questa peripezia, che si sta facendo accidentale e inconsueta.
Proprio come la quarantena che hanno da poco comunicato in tv. Da poco più di tre settimane.
Il mio nome è Rosalba e trascorro la mia esistenza in questa casa fra i campi, davanti a questa strada.
Mi chiamo Rosalba, come la mia nonna e come tutte le nonne prima di lei, nella mia famiglia.
Organizzo il guardaroba, faccio crostate, mi affaccio alla finestra.


[continua...]

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