lunedì 30 dicembre 2013

L'anno che finisce, post senza criterio


Cosa si fa quando un anno finisce? No, non mi riferisco al momento del cenone, del conto alla rovescia o del tutti in fila a fare il trenino pe-re-pe. Quelle sono occasioni esteriori, tutto sommato di felicità o comunque di contentezza manifesta; quasi una maniera per dissacrare quanto di sbagliato si è condotto o si è visto condurre negli ultimi mesi.
La mia domanda voleva coinvolgere la sfera intima di ognuno, quella dove solo noi sappiamo cosa chiedere e soltanto noi conosciamo le risposte. 



E sì che quel momento giunge e forse non è ben sincronizzato con le ore ventiquattro del 31 dicembre.
Alcune persone è già da qualche settimana che tirano le somme; altre, le più ritardatarie, indugiano impavide. Probabilmente arriveranno a darsi delle risposte che sarà già gennaio. 
Altri ancora, i più ottimisti, faranno finta di niente e tergiverseranno pure a trovarsi una giustificazione.
Il cambio dell'anno c'è ogni anno. Dobbiamo farcene una ragione. 
Ormai dovremmo essere abituati al conto finale e pure alla resa.
Tutti i mesi sono stati belli e tutti i mesi sono stati brutti. Nessuno escluso. 
Cosa si fa allora quando un anno finisce? Cosa si dice? 
Cosa Ci si dice e Ci si promette?
Soprattutto quando si è adulti, cosa si spera? 
Dopo che gli occhi hanno visto di tutto, dal vivo, in tv, sulle scene e dopo che le orecchie ci hanno riferito per sentito dire, per aver ascoltato raccontare?
Tutto. Nel teatrino non è mancato nessuno: i soliti furbi, sempre più numerosi e più incattiviti, hanno dato il meglio di sé. 
Si son visti anche gli onesti ma c'è voluto il lanternino. Stavano dietro dietro a tutti, talmente dietro che ci è toccato immaginarli.
Sono passati i belli, anche troppo belli da non parere di carne.
I brutti erano i soliti, a quelli non si fa più caso.
Poi c'erano i noti, i meno noti. E si son visti pure gli sconosciuti, ben camuffati, è chiaro.
C'erano i ricchi, con le loro auto scintillanti. Correvano per le strade, assaltavano i negozi. Arraffavano le offerte. A tal punto che ti veniva da chiederti: ma se sono ricchi perché fanno la fila davanti alle offerte? E a volte litigano pure?
Gli sconti invece non interessano ai poveri. Quelli  sono rimasti sul ciglio della strada. A piedi, con la targa delle loro auto appesa ad un braccio, il destro.
Sempre più numerosi, sempre più poveri. 
Ho visto addirittura dei vigili urbani che tentavano di regolamentare quel traffico di targhe appese al braccio.
Non erano tutti, eh no. Molti sono rimasti a casa, senza ormai più forze per camminare. Qualcuno proprio non ce la fa. E chi ce la fa, ha riconsegnato pure la targa della macchina. Con cosa volete che vada in giro?
Insomma abbiamo visto tanto. Pure troppo.

Cosa si fa, cosa si dice quando un anno finisce?
Eh, non lo so. Ma visto che questo è finito, dico: meno male.
E che un altro non sia uguale.

venerdì 27 dicembre 2013

Lingua italiana in agonia

Una spietata, ahimè inesorabile, agonia sta consumando la lingua che i nostri padri ci hanno consegnato, limandola e perfezionandola nel tempo.

L'italiano è ormai giunto ad uno stadio terminale. Secoli di salvaguardia, di ripetizioni e di coniugazioni, di segni rossi sui compiti in classe, buttati nel gabinetto.

È stato sufficiente che qualcuno dicesse che scrivere un messaggio sulla tastiera di un telefonino, limitato nei numeri e nei caratteri, fosse più importante che una sana e corretta ortografia, per dare inizio alla fine. 
Alla fine della lingua italiana.

Come se per dire "sto bene, arrivo" fosse necessario accoppare un numero di inconsapevoli vocali, beffandosi di qualunque segno di interpunzione.
E ai messaggi sul cellulare hanno fatto seguito quelli sulle bacheche virtuali dei social.
Le storture hanno avuto il sopravvento, ci si è sentiti improvvisamente autorizzati a scavalcare, quasi con orgoglio, le regole basilari che hanno fatto illustre la nostra lingua.
Come per sortilegio malvagio, sono sparite le lettere maiuscole, non giustificate da alcun segno di punteggiatura. Sì, fare una pausa nel discorso ormai è diventata azione obsoleta.
In compenso hanno fatto irruzione sulla scena numerosi altri segni che, fino a questo tempo, avevano ricoperto un ruolo marginale nell'economia della costruzione delle parole. Le cappa, per esempio.

Così tanti altri simboli strani, comparsi di recente ed assurti a ruolo legittimo di #accompagnatori di parole.
La mostruosità non concerne soltanto l'uso dell'ortografia ma si è allargata anche a coinvolgere l'aspetto propriamente sintattico della questione. 

Chi ha detto che i soggetti devono essere sempre concordati con i verbi o che i complementi meglio che siano presenti ed appropriati?
Forse un tempo ma non oggi. 
Ora si scrive l'essenziale, cosa volete che interessi degli inutili complementi? Lo spazio è poco, il numero delle lettere limitato. Non si può strafare.

Se l'estensione a disposizione per l'espressione scritta è ristretta, tanto vale restringere pure le proposizioni, lasciandole esigue, ridotte all'osso.
Tutto ciò mi provoca dispiacere, ancor di più se si considera che questo stravolgimento non è da imputare unicamente a "penne giovani", vale a dire alla maniera di scrivere che si sta affermando tra le nuove generazioni. 
No, il rammarico è aumentato dal fatto che fra i sovvertitori della lingua ci sono pure tanti adulti, tra cui persone acculturate, insegnanti, insomma proprio chi dovrebbe difendere a spada tratta la conservazione del nostro idioma.

A questi dico: vi costa tanta fatica scrivere con giudizio? È troppo impegnativo lasciar scorrere qualche virgola ogni tanto? 
Che coscienza avete a piantare in giro tutte quelle cappa? E come acconsentite al sacrificio delle vocali? 
Proprio voi che avete l'obbligo di insegnare vi permettete di sgarrare?

Concetta D'Orazio




mercoledì 25 dicembre 2013

Con l'auguravi Buon Natale, vi invito a scaricare il mio libretto "Riprendiamoci il Natale", in promozione gratuita per oggi e domani.


domenica 22 dicembre 2013

La casetta di pan di zenzero (Gingerbread house)

L'abbiamo sempre vista in foto o nelle vetrine delle pasticcerie. 
È da un po' di anni che la conosciamo, la casettina. Sì, bravi proprio quella tutta decorata, la cui tradizione è arrivata dal nord Europa, la Gingerbread house

Noi la chiamiamo Casetta di pan di zenzero, a sottolineare il carattere molto speziato della pasta di biscotto da cui è composta.
La particolarità di questa casetta, infatti, è data dall'inserimento di spezie (pan di zenzero, noce moscata, chiodi di garofano) nell'impasto utilizzato a formare la simpatica e decoratissima dimora.

Realizzare questo dolce, appetitoso al gusto ma soprattutto "spettacolosa" alla vista, sarà operazione non semplice che richiederà una grande pazienza.



Ingredienti

per la pasta

250 gr. di farina 'OO
80 gr. di zucchero
100 gr. di burro
3 uova
1 pizzico di sale
2 cucchiaini di zenzero
1 cucchiaino di chiodi di garofano grattugiati
1/2 cucchiaino di noce moscata
1/2 bustina di lievito per dolci.

per glassa e la decorazione

2 albumi
400 gr di zucchero a velo
confettini colorati di cioccolata
Pasta di zucchero con forme a vostra scelta

Preparazione

Preparate l'impasto, come se doveste fare normali biscotti. Unite le uova allo zucchero, al burro precedentemente fuso, alla farina e al pizzico di sale. 
Aggiungete quindi il lievito e le spezie. 
Riponete in frigo per una mezz'ora.

Nel frattempo preparate le "forme" su fogli di carta. Ritagliate sei fogli per ottenere i quattro lati e i due pezzi di tetto, come nella foto.




Togliete dal frigo la pasta e, con l'aiuto del matterello e dei fogli di carta preparati per dare la forma, tagliate i sei pezzi necessari per formare la casa, lasciando uno spessore di circa mezzo centimetro. 

Metteteli su teglia coperta di carta da forno e cuocete a forno pre-riscaldato a 180° per venti minuti.
Togliete dal forno e fate raffreddare.




Nel frattempo avrete preparato una glassa mescolando lo zucchero a velo e gli albumi.
Userete questa glassa come collante per "appiccicare" i lati della casetta, una volta che i pezzi di pasta si saranno raffreddati.

Lasciate riposare la casetta, in maniera che acquisti stabilità con la "colla" che si è raffreddata.
Decorate a vostro piacimento. Questa è la parte più divertente della ricetta!






Il risultato finale!




***

E voi lo ricordate il Natale di alcuni decenni fa? (anni '80 e 90?) 
Io quel Natale vorrei riprendermelo.
Anche voi?
Allora




 Sinossi

Quanto Natale è passato sotto i ponti. 


Ricordi di un trascorso antico che si ricompongono nel presente. Il tempo di oggi a paragone con quello dei decenni precedenti, degli anni ‘70 e dei fortunati ’80 e ’90. 

Un gioco di rimandi tra ieri e oggi, vi accompagnerà, facendovi sorridere e pensare. 

Questi i titoli dei racconti presenti nella raccolta.


- Prefazione del tutto e del niente 
- Quanto costa un Bambinello 
- I bollini di qualità 
- Bozzette nei pantaloni 
- Le kappa con le consonanti 
- La farina senza calcolatrice 
- Il panettone è troppo piccolo 
- La briscola senza carte è come il presepe senza asino 
- Una bambina, due bambine e un pomeriggio
- Postfazione di Santo Stefano 




giovedì 19 dicembre 2013

A Natale regala indipendente


Gli eBook indipendenti al costo di 1 euro, in promozione dal 20 dicembre 2013 al 6 gennaio 2014.
#indieitaliani #regalaindipendente



giovedì 12 dicembre 2013

Le settimane indipendenti - Terzo appuntamento

Continuano le iniziative che vedono coinvolti gli Scrittori Indipendenti.
Questa settimana saranno proposte discussioni in merito alla lettura digitale, secondo il seguente calendario.

Venerdì 13 - Che cosa è un Ebook, come si legge, dove lo si acquista.
Sabato 14 - Quali sono i supporti di lettura e come scaricare i software necessari.
Domenica 15 - Privilegi e funzioni dell'eBook.
Lunedì 16 - Come scegliere il libro. Vantaggi e svantaggi delle recensioni a disposizione.
Martedì 17 - Come produrre un eBook, le diverse estensioni per i documenti.
Mercoledì 18 - L' Abc dello scrittore - editore.
Giovedì 19 - Discussioni varie.

Primo incontro. Che cosa è un eBook?

- Hai scritto un libro? E dove lo posso trovare? - È questa la domanda che più spesso ci viene fatta da chi, abituato al tradizionale libro di carta, non riesce a comprendere come possa essere goduto ed apprezzato in altro modo un testo scritto. Tante persone dimostrano ancora numerose difficoltà nel capire i meccanismi delle nuove possibilità offerte dal digitale. Gli autori che partecipano a questa iniziativa, nata in seno alla serie "Le settimane indipendenti", saranno a disposizione, con materiale e risposte alle domande, di quanti sono interessati all'argomento.


martedì 10 dicembre 2013

Cannoli crema e cioccolato (totere)

Li ho chiamati cannoli, tanto per darmi un tono, ma questo non è il nome con cui sono ufficialmente conosciuti nel mio paese. Non potevo mettere alla ricetta un titolo così caratteristico, nessuno avrebbe digitato sul motore di ricerca la parola: "totere". Eh, sì, è con questo termine che li designiamo. E io sono orgogliosa di essere figlia di colei che è da tutti riconosciuta la mastra delle totere, vale a dire la maestra dei cannoli, tanto per fare la traduzione. 
Sì perché a mia madre è universalmente accreditata l'abilità di saper realizzare questi dolci, la cui origine mi è ignota ma so benissimo apprezzarne la bontà.
Ma se l'arte de lu padre è mezz 'mparate, ho cercato di fare mia la tecnica della genitrice.
Ammetto di non aver raggiunto la sua perfezione, mi sto impegnando.
Il procedimento è molto lungo ma il risultato finale vi ripagherà per tutte le fatiche.

Ingredienti

1 cucchiaio di olio e 1 cucchiaio di zucchero per ogni uovo (la dose "media" è di 4 uova).
Mezza bustina di lievito per dolci (aumentare la quantità a seconda del numero di uova. Mezza bustina va bene per circa 4 o 5 uova)
Farina quanto basta ad ottenere un composto morbido, malleabile ma resistente alla lavorazione.
Crema gialla o crema al cioccolato o crema chantilly per la farcitura.
Per la realizzazione di questa ricetta occorrono stampi a forma di cono.

Preparazione

Disporre tutti gli ingredienti sulla spianatoia ed impastare fino ad ottenere un composto che non si attacchi alle mani e possa essere lavorato facilmente nell'apposita macchinetta.

Dopo aver passato la pasta più volte nella "nonna papera", avrete tante piccole sfoglie da tagliare in striscioline di larghezza di circa 4 cm.
Avvolgere le strisce attorno agli appositi stampini a forma di cono, avendo cura di stringere il più possibile la pasta, per evitare che si decomponga durante la frittura.



Occorre quindi friggere i cannoli in olio molto bollente, girandoli in continuazione per evitare che la pasta si annerisca e si bruci.



Disporre su un piatto i cannoli fritti, dopo aver fatto scolare l'olio.


Non è necessario il riposo dei cannoli ma voi dovete preparare la crema.
Le possibilità sono due: o la fate o componete quella già preparata nelle bustine cui occorre aggiungere solo il latte freddo. Io preferisco le creme pronte, per motivi logistici ma anche perché sono molto buone.
(Dovrò fare un post anche sulla preparazione).
Dopo aver preparato la crema (gialla, al cioccolato, chantilly) introdurla (calda) nei cannoli fritti. Lasciar raffreddare, a temperatura ambiente, e servire.






sabato 7 dicembre 2013

Le settimane indipendenti

Per le Settimane indipendenti sono online le "Presentazioni d'autore": dal 6 al 12 dicembre 2013 sette autori presentano i loro eBook e sono a disposizione per domande ed approfondimento.
Questo il calendario:

6 dicembre - Ennio Masneri
7 dicembre - Concetta D'Orazio
8 dicembre - Silvestra Sorbera
9 dicembre - Salvatore Savasta
10 dicembre - Roberto Bonfanti
11 dicembre - Ant Sacco
12 dicembre - Pierluigi Di Cosimo




martedì 3 dicembre 2013

Cosa può stare in un librettino sul Natale?
Il Natale è tutto.
Ma il Natale è anche niente.
In questo libretto troverete, dunque, tutto e niente.




SINOSSI

Quanto Natale è passato sotto i ponti. 
Ricordi di un trascorso antico che si ricompongono nel presente. Il tempo di oggi a paragone con quello dei decenni precedenti, degli anni ‘70 e dei fortunati ’80 e ’90. 
Un gioco di rimandi tra ieri e oggi vi accompagnerà, facendovi sorridere e pensare. 

- Prefazione del tutto e del niente 
- Quanto costa un Bambinello 
- I bollini di qualità 
- Bozzette nei pantaloni 
- Le kappa con le consonanti 
- La farina senza calcolatrice 
- Il panettone è troppo piccolo 
- La briscola senza carte è come il presepe senza asino 
- Una bambina, due bambine e un pomeriggio 
- Postfazione di Santo Stefano 


venerdì 22 novembre 2013

Natale Indipendente



Tra poche ore partirà la promozione "A Natale leggi indipendente", valida dal 23 novembre al 3 dicembre.
Il sito di riferimento è quello del SII
http://scrittoritalianindipendenti.weebly.com/le-nostre-promozioni.html
La pagina Facebook relativa all'evento è
https://www.facebook.com/events/237174559783663/?ref_dashboard_filter=upcoming

lunedì 11 novembre 2013

Nero di memoria

"Martoriò il suo petto per molti minuti. I lamenti di Giovanni aumentavano di frequenza, non concedendogli le forze di crescere di intensità. Le ragadi sanguinavano. Non era possibile accostare il bimbo a sé. Raccolse quel poco di liquido che aveva spremuto, non latte, nemmeno acqua, una poltiglia di disperazione..."


"Filomena indietreggiò. La sua ciabatta scivolò sulla ghiaia della piazzetta. Cadde, distesa, lì sulla breccia."






sabato 9 novembre 2013

Torta alla ricotta e profumo di limone

Non avete molta voglia di mettervi ai fornelli. Non avete tempo, vi mancano le forze e l'energia. A casa vostra, però, il dolce non deve mancare. A fine cena, solitamente, c'è sempre qualcuno che reclama quel non so che di chiusura.
Ieri ho provato a preparare una tortina veloce. Credetemi, semplicissima da fare. Non occorrono molti passaggi e non si sporcano tante pentole!
Il risultato di poca fatica è davvero morbido e piacevole al gusto.
Ingredienti

250 gr. di farina OO
250 gr di ricotta
250 gr. di zucchero
un cucchiaio di succo di limone
la buccia grattugiata di un limone
1 pizzico di sale
4 cucchiai di olio
3 uova
1 limone
1 bustina di lievito per dolci con vanillina
zucchero a velo

Preparazione

Battere i tuorli con lo zucchero, il succo e la buccia di limone grattugiata. Aggiungere la ricotta, quindi la farina precedentemente setacciata. Unire il lievito. Mescolare all'impasto i cucchiai di olio. In ultimo occorre incorporare i bianchi, in precedenza montati a neve con un pizzico di sale.
Dopo aver imburrato ed infarinato una tortiera, disporre all'interno l'impasto ottenuto.
Cuocere a forno già caldo a 180° per una mezz'ora.

Chi era Ines?

http://www.amazon.it/Sette-giri-donna-Concetta-DOrazio-ebook/dp/B00A9TX5Q8/ref=sr_1_2?ie=UTF8&qid=1383991268&sr=8-2&keywords=concetta+d%27orazio



Chi era Ines? Cosa sentiva nella sua pancia? A chi appartenevano quelle voci? Nomi del passato e nomi di un presente non ancora troppo passato, nomi antichi, nomi inconsueti. Urlavano quelle voci. Ines non poteva metterle a tacere. Non doveva essere sorda alla loro chiamata; le avrebbe coperte per sempre.

Iulia chiamava Atte e poi entrambe gridavano verso Ines. 

Anche Iolanda  ascoltava le altre ma non poteva far nulla. Ora lei doveva pensare alla sua storia; era lì, legata, in mezzo alle fascine, guardava tutti che si agitavano intorno a lei.
E intanto Adele e Dora correvano. Non sapevano bene cosa avrebbero trovato. 
Dov'era finita Isabella?

Iulia, Atte, Iolanda, Adele, Dora, Isabella. E Ines.

Sette donne e il loro giro nella storia.

Ines decide di ascoltare le voci che urlano nella sua pancia, rivendicando la propria identità, manifestando la propria forza che attraversa i secoli, dall’antichità classica, passando per il Medioevo, fino all’età contemporanea.

Ines darà voce alla sua pancia e farà parlare quelle donne. Le loro storie si animeranno, incrociandosi in una danza senza tempo. Ines e le altre donne, le sette donne, uniranno le loro forze contro la violenza e le consuetudini delle loro epoche.

Sette giri di donna è su Amazon





venerdì 8 novembre 2013

Parmigiana di zucchine al sugo di merluzzo




Aprite il frigo. Richiudetelo immediatamente. Siete depressi, lo so, dentro avete trovato solo un paio di misere zucchine.
Aprite il freezer. Richiudetelo. Siete ancora più depressi: nel bianco che più bianco, e vuoto, non si può campeggia soltanto un bustone di filetti di merluzzo congelati.
Se due più due fa quattro, zucchine e merluzzo possono far la cena. Fidatevi. Ve lo dice chi ha gustato l'abbinamento sublime del sapore dei due cibi, quello verde e quello bianco, la zucchina e il pesciotto insomma.
Verde e bianco per andar d'accordo, però, hanno bisogno di qualche leggera sfumatura rossiccia.
No, non voleva essere una battuta dal carattere patriottico, ma una constatazione di quanto un sapore deciso come il pomodoro, ben condito e preparato, possa fare da collante ai gusti più delicati della zucchina e del pesce.
Insomma, mettiamoci al lavoro. Vedrete che risultati!

Ingredienti

Due o tre zucchine abbastanza grandi
Due filetti di merluzzo congelati (se li avete freschi, tanto meglio)
1 barattolo di conserva di pomodoro
aglio
cipolla
sedano
carota
4 sottilette (o una mozzarella)
parmigiano grattugiato
Olio e sale q.b.

Preparazione

Affettate le zucchine, dando loro uno spessore non troppo sottile. Ponetele a grigliare.
Preparate il sugo, facendo soffriggere leggermente carota, sedano e cipolla, aggiungendo quindi la conserva di pomodoro. A metà cottura metterete anche i filetti di merluzzo passati direttamente dal congelatore. In caso di pesce fresco, ovviamente, dovrete prima pulirlo, lavarlo e togliere le lische.
Con una forchetta, fate in modo di sminuzzare il più possibile il merluzzo.
Una volta grigliate tutte le fette di zucchine, adagiatele in una teglia precedentemente unta. Sulla fila di zucchine ponete il sugo in abbondanza. Mettete quindi le sottilette che, in questo tipo di parmigiana, sono da preferire alle mozzarelle che sembrano avere un sapore più dolciastro che mal si accorda con i gusti delle zucchine e del pesce.
Ponete sul sugo le sottilette (o i pezzetti di mozzarella), un po' di parmigiano.
Procedete con una seconda fila di zucchine, quindi sugo e poi sottilette e parmigiano.
Cuocete in forno già riscaldato a 240° per circa una ventina di minuti.
Il piatto va servito caldo.


mercoledì 30 ottobre 2013

Halloween. Non sapete ma dovete.





Sincerità per sincerità: quante di voi, mamme, si ritrovano il 31 ottobre a dover affrontare quella insana voglia americaneggiante che, negli ultimi tempi, sembra essere diventata una festa obbligata anche nel calendario dei vostri figli? Obbligata, insomma, obbligo per obbligo, siete voi che ve la dovete sciroppare. Eh, sì, la prole ha deciso, quest'anno si festeggia, ehm, volevo dire si sbeffeggia la vita, con allusioni all'aldilà. Allusioni che però hanno deciso di consumare nello al di qua. 
E precisamente a casa vostra.
Eh, sì, vi tocca.

È già 31? E perché nessuno ve l'ha detto?? Le maschere arrivano stasera? Ma non è carnevale! Pure carnevale vi sta antipatico. Figuriamoci questa pagliacciata qui. 
Ricontrollate il calendario: sì è 31, senza scampo. Avete preso anche il pomeriggio libero per organizzare questa grande ca... questa camaleontica orgia di nasi adunchi e di cappelli appuntiti.
Vi tocca.


Fate un rapido sopralluogo: il camerone non arredato, di sotto, che di solito utilizzate per le feste e per i compleanni, va più che bene. Certo è un po' che non tirate via la polvere, visto che  è una stanza adibita ad usi esclusivamente di rappresentanza mangereccia e danzereccia, quando la compagnia è tanta. 




C'è polvere? Meglio! Non dovrete far pure la fatica di spargere la farina, sui mobili, per dare quel tocco di schifo in più. 
Farina? Ma quella non andava in cima alle montagne del presepe? 
Eh, sì, avete le idee confuse. Non è preoccupante, dovete solo farvi tenere sotto osservazione.

Ma ci penserete domani, raccomandandovi ad ognissanti.

Allora, la farina c'è, l'atmosfera pure. I nasoni e i cappelli da strega: utilizzerete quelli dell'anno scorso. 
Halloween in fondo è sempre una festa monotona. Comprati una volta, i cappelli, si riciclano all'infinito. Due segni sulla faccia e siete a posto. 
Sì, anche le mamme si coloreranno di nero il viso, sperando di coprire così le rughette d'espressione. Non aspettavano altro!
E siete cattive? Dovete esserlo ad Halloween!

Passiamo ai momenti di lutto, ehm, del pasto della consolazione.
Tiratevi su. Lo so, siete entrate nel panico. Uscitene, senza spolverare. Cosa si mangia in una sera come questa? Tranquille, sarà sufficiente riproporre i soliti cavalli di battaglia che presentate nelle feste di compleanno: pizze, pizzette, pasta frolla. Solo che le camufferete per l'occasione.





Le dita di strega sono il classico dolcetto di Halloween. Basta infornare della normale pasta frolla, modellata a forma di dito, applicando una mandorla all'estremità, a formare l'unghia.

Si possono farcire le pizzette, simulando le lapidi di un cimitero.






Via libera a muffin e biscotti neri. Non manchino mai i dolci monocoli che fanno tanto film dell'horror. 

Mi raccomando all'abbondanza di cioccolato: dà sempre quell'idea tetra di bontà proibita!

Concetta D'Orazio

domenica 27 ottobre 2013

E noi li fermavamo i nostri occhi. - Come nasce "Nero di memoria"

 

Dovevo scrivere. Lo sentivo. Dovevo scrivere per non dimenticare. E per non concedere oblio alle vicende di chi non c'era più.
Non ricordo quando fu la prima volta che iniziai a prender appunti, buttando giù, sui fogli di un blocchetto, tutte le notizie che portavo dentro da sempre, per averle sentite raccontare da quando ero bambina

La casa e la famiglia, il luogo dove si vive e la gente con cui si trascorre la propria esistenza, da quando, da piccoli, si inizia a prendere coscienza del mondo, finiscono inevitabilmente per diventare un pezzo della tua carne. Della famiglia di origine, genitori, fratelli e nonni, si ereditano persino i battiti cardiaci, arrivando, quando ormai si è grandi, ad avere pensieri e ricordi che si fondono con quelli di tutti i componenti. E si confondono.

Il ricordo che ho della parola guerra è quello che custodisco da mio nonno, classe 1912.
«Io ho fatto la guerra», lo ripeteva spesso, come un intercalare malinconico, quando voleva i nostri occhi compassionevoli. E noi li fermavamo i nostri occhi, su quel viso che era più triste delle parole che diceva.

Era triste il suo viso, sì, quando nonno fermava i suoi pensieri su quel ricordo maledetto.
«Mangiavo le scorce (bucce) delle patate, quando ero prigioniero. Perché io la guerra le so fatte (l'ho fatta)!», ripeteva a volte. 
E il suo sguardo diventava quasi di sfida verso noi nipoti bambini che ci permettevamo di rifiutare il cibo. Non volevamo mangiare? Che ci lasciassero a digiuno per un po' le nostre mamme. Una mezza giornata, bastava così poco tempo, diceva nonno, «A da vede' dopo coma se le magne! (devi vedere dopo come mangiano)», consigliava con furbizia alle nostre genitrici apprensive, aggiungendo «je le sacce come è la fame (la conosco la fame) perché je so fatte la guerra (perché ho fatto la guerra)!». E noi allora, pur di scansare ancora quel piatto di minestrina che non ci piaceva, pur di avere un ulteriore pretesto per tener lontano il momento della resa alla scodella di pastina, gli chiedevamo di raccontarci, per l'ennesima volta di come faceva a trovare le bucce, quando era prigioniero. 

Non capivamo quale significato avesse quel suo dirci prigioniero; quella era una parola ambigua, informe, lontana. Nonno la faceva sembrare misteriosa, la scandiva, respirandoci sopra. In noi bambini, in realtà,  non suscitava particolare interesse: conoscevamo quel termine per averlo sentito con una ricorrenza quasi quotidiana; non sapevamo cosa significasse essere "prigioniero" ma intuivamo che non doveva essere una cosa poi così entusiasmante. Facevamo bleah al pensiero di quelle bucce zozze che nonno diceva di aver mangiato e che, ci dovevamo fidare, erano buonissime. Quando c'era la fame, tutto era buono. 
E mangiavamo quella pastina, anche forse per il timore, che si mettesse davvero in pratica quel consiglio. Non lo dicevamo, ma io lo so, in fondo fondo, avevamo paura anche noi di essere costretti un giorno a rubare le bucce e a mangiarle di nascosto. Nonno era riuscito nell'intento.
E così a volte lui ci sembrava un eroe, quando lo pensavamo soldato di prima. Altre volte invece leggevamo il suo fardello di sofferenze passate. E allora nonno non pareva un eroe. Allora era semplicemente un uomo che aveva sofferto troppo. E che era stanco di soffrire.

Come nasce Nero di memoria
Le storie che avevo fatte mie, nel corso della esistenza, in quella parte della esistenza che è di prima vita, sono state il primo anello di collegamento al mio scritto. Queste storie però le custodisco solo grazie al prodigio del ricordo, prodigio che, ahimè, con il trascorrere degli anni, è destinato a perdere di intensità e ad esaurirsi.

Non ho mai pensato, quando avevo l'opportunità di poter segnare con certezza nomi, date, movimenti, di affidare ad un taccuino almeno i fatti essenziali, in maniera da non perderli con il tempo. Quando poi mi sono accorta che avrei dovuto farlo, non ho più potuto, essendo venuta a mancare la voce che poteva aiutarmi nella ricostruzione.

Per questo motivo, non ho molte notizie certe di quello che è accaduto al capostipite della mia famiglia, nel corso degli anni della Seconda Guerra Mondiale. Ho ricostruito le sue vicende, tentando di collegare le poche notizie che ricordo, molto frammentarie ed imprecise. La fantasia, per fortuna, è venuta in soccorso delle mie certezze mancanti.

Nero di memoria, perciò, non è la rievocazione della storia dei miei nonni: l'ispirazione ai loro racconti è stata poi condotta su una narrazione che prosegue con molta immaginazione

Il racconto ha la presunzione di far rivivere, negli episodi che lo caratterizzano, quegli anni tremendi, dopo l'armistizio di Cassibile, nel settembre del 1943.

La storia è quella di Antonio e Filomena: l'uno impegnato in prima linea e poi internato come prigioniero, l'altra a casa, a tentare di mantenere in vita, sfamando i bambini, quel nucleo famigliare che hanno voluto costruire insieme, in un tempo vicino eppur reso lontano dalle tragedie della guerra.
Amore. Passione. Sofferenza. Tragedia. Questo è Nero di memoria.


Concetta D'Orazio




mercoledì 23 ottobre 2013

Marmellata con uva Isabella o uva fragola






L'uva fragola, detta anche "Uva Isabella"è troppo dolce per poter essere gustata a fine pasto, come semplice frutto. C'è anche chi lo fa ma la gran parte delle persone non sopporta quel retrogusto eccessivamente caramellato.
La povera uva Isabella, ahimè, viene così utilizzata come semplice decorazione di ingressi, destinata a vita grama, attorcigliata al ferro battuto, in prossimità di cancelli, pronta a morire ineluttabilmente a fine stagione.
Anche la mia uva fragolina sarebbe finita così. Se non mi fosse venuta un'idea. 
Per carità non ho pensato nulla di originale, la marmellata di uva fragola è ampiamente conosciuta ed usata! Ma io arrivo sempre dopo, in parecchie cose.
Per salvare la mia povera uva Isabella, mi son rimboccata le maniche, ho tagliato tutti i grappoli e li ho accuratamente portati in casa, al risciacquo nel lavandino.

Passiamo ora a fare la marmellata.


Ingredienti.

- 1 kg uva fragola

- zucchero, 800 gr. circa
- due cucchiaini di cannella in polvere
- due bicchieri vino bianco
- 1 bustina di pectina


 
E ora passiamo  ad esaminare il procedimento.


















Lasciare cuocere nel vino bianco per circa 15 minuti.
Passare gli acini con il passaverdura.
Cuocere per altri 15 minuti.


Dopo aver lavato accuratamente i grappoli, occorre staccare tutti gli acini. Sì, lo so, ci vuole pazienza! Scolare per bene tutta l'acqua.









Aggiungere al liquido ottenuto lo zucchero e la cannella.




Aggiungere la pectina



Mettere nei barattoli precedentemente sterilizzati. 
I barattoli vanno tenuti capovolti fino al completo raffreddamento.