Da qualche parte mi fermerò.
In un posto mi definirò. Finalmente.
Saprò stanziarmi lì dove avrò deciso, in conclusione, che è giunta l'ora di far respirare lo stanco pensiero.
Sì, perché le idee le ho consumate, nel passato, rivoltandole nei ragionamenti. Contenevo, nei sensi primari e nella mente, una segreta fiducia di veder realizzato quel mio sogno.
La speranza cominciò in maniera tranquilla.
Avevo tempo, mi dicevo.
Accadrà, mi ripetevo.
Prima o poi, mi consolavo.
Mi dava forza quella convinzione che, in fin dei conti, ero io quella che poteva decidere. Ero io a poter condurre la giostra che credevo fosse mia.
Presumevo, con ingannevole determinazione, fosse mia.
Accade però che non si può guidare sempre nella direzione stabilita.
Neppure si può conservare quell'idea che, in fondo, non ci è mai appartenuta.
Gli anni del tempo acuiscono le preoccupazioni della vita.
Le priorità di prima divengono fatti superflui del poi.
Gli anni del tempo consumano pure le energie dell'età. Da una parte.
E poi diminuiscono le possibilità di rigenerazione.
Nella mia vita, tutto ha avuto una precedenza. Eccetto quel mio sogno.
In fondo è solo un desiderio e dunque può aspettare.
Lasciavo decantare quelle mie illusioni.
Sapevo di farmi male, ogni volta, ma tutto mi sembrava necessario. Eccetto quel mio sogno.
Lo vagheggiavo. Desideravo. Ma poi ricacciavo quello dentro, quasi nell'imbarazzo di voler chiedere troppo, di desiderare un desiderio pretenzioso.
Ma è pretenziosa la propria felicità?
Forse è un'ambizione superflua la soddisfazione?
E poi la compostezza. Quell'orgoglio personale che si congiunge pure all'aspirazione di coloro che ti tieni vicino, nel cuore?
Vagheggiando quella fantasia, in prima fila fra i miei desideri, le età sono aumentate.
Mi sono ritrovata improvvisamente ad essere costretta a rimpiangere quel che non ho mai avuto.
Come si fa ad abbandonare un desiderio non goduto?
Come si fa a punirsi, per aver osato tanto, senza darsi mai riposo?
Ma quali alternative avevo, se non la resa?
Di sicuro, quel mio sogno l'ho dovuto nascondere.
Avrei dovuto buttarlo. Ma non ce l'ho fatta.
E oggi, è tornato più prepotente che mai. È arrivato con forza a snervare queste poche energie.
Oggi, l'ho scoperto: non era un sogno quello mio.
Mi sbagliai per interminabili anni: quello non si chiamava desiderio.
Ora mi devo fermare, devo pensarlo in altri modi e, soprattutto, nell'immediato.
Subito deve accadere, presto si deve appagare.
Non posso più attendere, non me lo merito.
Non posso procrastinare, collassandomi le energie.
Non posso più lacrimare, perché quel che ho sbagliato a nominare, credendolo solo un vezzo, si impone adesso con tutta la sua durezza. Mi lascia un limite, oltre il quale non mi è consentito andare. E mi ricorda che è una necessità.
Ho un sogno ma non di un gioiello, di un anello, di un filo di perle. Non è una voglia superflua.
Io ho un sogno legittimo. Giusto. Onesto e perfetto.
E non è mai stato un gioiello.
Concetta D'Orazio