lunedì 14 ottobre 2024

Colori di ottobre

 



Mi appresto all'autunno che ancora ha timori d'apparire.

Ti aspetto, mio adorato, con le tue fronde cariche di colori del porpora, del vermiglio e del cioccolato mandorlato.

Piacevoli evoco in mente quei tuoi abbracci di miele, di castagne e di profumi di mosto.

Ti aspetto, perché tardi a mostrarti?

Perché non lasci allungare i tuoi tepori, ma li mescoli ancora con l'afa arrugginita?

L'attesa, mi dirai, accresce l'emozione dell'incontro.

Hai ragione, ma non tardare oltremodo.

Concetta D'Orazio

sabato 12 ottobre 2024

Eruditus, πολυμαθής, erudito.


Erudita è la persona che possiede numerose conoscenze nell'ambito di una disciplina o anche in diversi campi del sapere. 

Il termine erudizione deriva dal latino [ērŭdĭo], ērŭdis, erudii, eruditum, ērŭdīre, verbo che ha il significato di istruire, ammaestrare. Generalmente è in costruzione con l'accusativo: erudimus iuventutem (Cic. Div. 2,4).

Nel secondo libro del De Divinatione, Cicerone scrive:

Quod enim munus rei publicae adferre maius meliusve possumus, quam si docemus atque erudimus iuventutem, his praesertim moribus atque temporibus, quibus ita prolapsa est, ut omnium opibus refrenanda ac coÎrcenda sit?

Infatti quale servizio maggiore e migliore io posso rendere allo Stato, che istruire e formare i giovani (la gioventù), soprattutto in questi costumi e in questi tempi, in cui essa, la gioventù, è sprofondata, affinchè la si possa frenare e contenere attraverso lo sforzo di tutti?

Possiamo dunque vedere che, in questo caso, Cicerone utilizza il verbo erudire con il significato di "formare". La formazione è quella educazione che non consiste soltanto nella trasmissione di nozioni su un determinato argomento, cioè l'insegnamento, ma va oltre: attraverso di essa si plasma in toto la persona, il discepolo, di cui ci si sta occupando. Certo, nel De Divinatione, siamo di fronte al  "Cicerone filosofo", che si premura di dare un aiuto alla formazione in larga scala, politica e sociale alla classe degli optimates.

Ritornando al verbo latino erudire, quando esso è utilizzato con de e l'ablativo,  assume il significato di informare o mettere al corrente: erudire aliquem de aliqua re, informare uno di una cosa.

Avendo insito anche il significato di insegnare, il verbo erudire può essere costruito con il doppio accusativo: (teneram prolem)...damnosasque erudit artes, gli insegna le arti rovinose. Così in Ovidio, nelle Metamorfosi (Met. VIII, 215), Dedalo insegna al figlio Icaro le arti distruttive, che lo porteranno alla morte.

Continuiamo la nostra analisi: nella parola erudire troviamo ex e rudis. Ex è la preposizione che in latino indica "fuori da", mentre rudis è l'aggettivo che ha il significato di "rozzo, grezzo, non lavorato". È dunque chiaro come con il verbo erudire si voglia sottolineare quel lavoro del togliere dallo stato grezzo.

L'equivalente dell'eruditus latino è il πολυμαθής nell'antica Grecia.

Πολυμαθής, [-ές] significa "erudito, in possesso di molte conoscenze", formato da πολύ, molto, e dal verbo µανθάνω, imparo. Quindi πολυμαθής: è molto istruito, ha imparato molte cose. 

A dir la verità, la Πολυμαθια, cioè il sapere molte cose, non è sempre vista di buon occhio (Eraclito).

Nel corso delle età e delle epoche, l'aggettivo erudito è rimasto ad indicare la qualità di chi possiede un notevole bagaglio di conoscenze, anche non affini, cioè non necessariamente riguardanti un'unica disciplina, spesso acquisite per piacere personale e studio autonomo. L'erudizione è cosa ben diversa dalla cultura, termine che abbraccia un vasto campo di qualità: conoscenze, abitudini, spirito critico, competenze, maniera d'essere.

E ai nostri giorni? Esiste l'erudizione fine a sé stessa? Come si acquisisce?

Per quanto questa mia convinzione possa sembrare esagerata, sono convinta che le possibilità che si hanno per accrescere le proprie conoscenze siano pressoché illimitate. Ogni persona, dunque, ha tutte le opportunità per imparare nozioni, acquisire competenze, scandagliare con minuzia le scienze.

Nel mondo virtuale, dove ognuno può proporre le sue ricerche e i suoi studi, il fruitore, occasionale o non occasionale, ha la possibilità di accrescere il suo sapere, allargandolo su vari fronti o specificandolo in determinate aree. Così, all'infinito.

Certo il rovescio della medaglia è dietro l'angolo: chi può con sicurezza sapere se le cose proposte, ricerche, tesi, monografie, testi, prodotti audio e prodotti video, sono davvero il frutto di un accurato studio oppure solo un modo come un altro per mettersi in mostra?

E ancora: assistiamo all'affermazione, sempre più in vari campi, della cosiddetta intelligenza artificiale, attraverso la quale pare che si aprano strade più semplici ed immediate, per risolvere parecchie questioni di studio. 

Possiamo includere anche questa forma d intelligenza fra le possibilità che l'uomo ha di accrescere la sua erudizione oppure dobbiamo tristemente ammettere che essa rappresenti un vero pericolo per l'evoluzione della ragione umana?


Concetta D'Orazio




mercoledì 24 aprile 2024

 


Ho una voglia di vita.

Ho un bisogno di urgenza, di immediatezza.
Ho necessità di respirare.
Voglio un sole, voglio una fontana fresca.
Chiedo un freddo, un caldo, una temperatura gradevole,
tutto quello che è esistenza dev'essere mio.
Desidero un'acqua, una bibita gassata.
Mangiare bene, riposare la mente,
adagiare il cuore su un cuscino.
L'ho tenuto troppo impegnato in un labirinto
il mio pensiero.
Adesso è stanco e vuole solo vivere.


C. D'Orazio

lunedì 22 gennaio 2024

La casa museo di Ignazio Silone, a Pescina

 



Ignazio Silone, pseudonimo di Secondino Tranquilli, nacque nel 1900, nella Marsica, nel paese di Pescina dei Marsi (AQ). 

Figlio di un contadino, ex emigrante, e di una tessitrice, Silone fu il primo scrittore ad introdurre nella letteratura la figura dei cafoni: i cafoni si somigliano in tutti i paesi del mondo, diceva. Lo scrittore, dopo aver riconosciuto l'universalità del cafone, lascia trasparire una nuova connotazione della parola, attraverso la quale, mostrando la sofferenza e lo sfruttamento delle classi più povere della società, si dimostra un'idea di orgoglioso rispetto per la persona a cui è riferita.
Dopo la perdita prematura del padre, Silone dovette affrontare anche la perdita di quasi tutto il resto della famiglia che, ad eccezione del fratello Romolo, perì a causa del terremoto che colpì la Marsica nel 1915. Fu accolto in diversi istituti religiosi; venne quindi ammesso al pensionato di Don Orione, a Sanremo.
Sin dalla giovane età, Silone prese parte alla vita politica, partecipando attivamente alla fondazione del partito comunista, da cui poi si distaccò.


Dopo varie vicissitudini politiche, fu in esilio in Svizzera, dove si dedicò alla scrittura, redigendo tra le altre cose, Fontamara (1934), Vino e Pane (1936).

Tornato in Italia, nel 1944 pubblicò Fontamara, nel 1956 Il segreto di Luca, solo per ricordare alcune opere.
Nel 1968 pubblicò il dramma teatrale L'avventura di un povero cristiano, racconto della vita di papa Celestino V, il papa del gran rifiuto.
Silone morì a Ginevra nel 1978.



A Pescina è stata recentemente restaurata la casa natale di Ignazio Silone. Situata nel centro storico del paese essa è diventata Casa museo, raccogliendo al suo interno una ricca serie di testimonianze storiche e personali dello scrittore.

Sono stati ricostruiti alcuni ambienti con mobili e oggetti di inizio '900.
Sono presenti una biblioteca e un archivio.
Diversi sono i riconoscimenti, i premi, i quadri.
Vi sono  libri, documenti e varie fotografie donati dagli eredi dello scrittore.





È possibile visitare la casa museo, in un percorso guidato e assistiti da personale preposto.
Ed è un'esperienza che consiglio sicuramente.

Concetta D'Orazio






venerdì 5 gennaio 2024

Il latino sui Social


Articolo da me già pubblicato nell'aprile del 2021



Ormai tanti anni fa, la prima volta in cui digitai la parola "latino" nella barra di ricerca di un Social, lo  feci quasi per scherzo. Figuriamoci!

Quello che scoprii, inutile dirlo, mi piacque molto. Trovai comunità virtuali di studiosi e appassionati che componevano post in latino, condividevano link a pagine di cultura classica, di filologia, di storiaE fu così che vidi il latino non più rigido e senza tempo, men che meno inanimato, vivacizzarsi di nuova vita, quasi come alla fine di un letargo temporaneo.Le declinazioni iniziarono a ravvivarsi davanti ai miei occhi: la prima, stringeva l'occhio alla terza; vedevo il cum narrativo inseguire il de, che a sua volta non si staccava mai dall'ablativo. Ed esso correva. Correva così velocemente da rimanere sempre in testa. In assoluto. Un ablativo assoluto insomma.
Erano tutti affannati ma contenti.
E poi zompettavano, sperimentando un girotondo di quelli di tipo classico: utor, fruor e fungor si tenevano per mano, intonando strane melodie. Attorno ad essi. si succedevano, in ordine e con grazia, tutti i tipi di proposizione: c'era la consecutiva e c'era la finale. Vedevo poi l'ut con il congiuntivo. Ognuno provava passi nuovi ma tutti avevano un solo timore e rispettavano un solo comandante: la consecutio temporum.La lingua la conoscevo ma non riuscivo ad immedesimarla in quel contesto: un ambiente moderno, lontano, Social insomma.E chi l'avrebbe mai detto? Quelle parole, quei costrutti, lì, proprio lì. Quello che fu per me ancor più sorprendente è stato trovare persone che si esprimevano in lingua latina come se così parlassero correntemente tutti i giorni, a casa propria. Salutai e mi presentai. Da quel momento entrai anch'io nel foro latino più virtuale che avessi mai potuto immaginare.In un secondo tempo ho scoperto che tanti gruppi di  latinisti si trovano su Facebook. Ad essi sono iscritti persone che abitano in diverse parti del mondo. Incredibile. Loro si salutano, si nominano, si ringraziano. Sempre in latino.La scelta di scrivere in questa lingua li ricompensa con la possibilità che essa ha di esprimere le sfumature di significato, di uso e di  direzione delle parole.Avete presente quante sono le soluzioni, tanto per fare un esempio, per il sintagma verbale "dico"? Utilizziamo aio, ma anche dico. Sceglieremo di scrivere loquorferoinquam, narro  e altro ancora, a seconda di quanto viene riferito negli altri segmenti della frase.Il latino originario si presta ad indicare le azioni, i pensieri e le emozioni di ognuno in maniera variegata. Certo, dobbiamo anche pensare che, tuttavia, questa lingua ha pure i suoi annetti. Se li porta bene, forse anche troppo, ma qualche volta ha necessità di essere impinguata di nuovi vocaboli, laddove gli originali non siano adatti a delimitare e determinare con precisione situazioni e prodotti del presente. Gli amici latinisti però non si perdono d'animo e cercano di aggirare l'ostacolo, ricorrendo a perifrasi appropriate o a vocaboli di nuovo conio. In situazioni estreme adattano anche le parole primitive a circostanze moderne.Capita che le belle foto che qualche amico ha pubblicato si trasformino in pulchrae (o pulcherrimae all'occasione) imagines. Solo per fare un esempio.Mi rintrona nella testa quella brutta figurazione che delle lingue classiche ci hanno dato, definendole "lingue morte". Mi chiedo: come si fa a definire esanime un idioma che è invece così pieno di spirito? Che accomuna? Che favorisce?In rete il latino sta recuperando tutta la sua vivacità.E che questo sia chiaro, da cum dividere, insomma!
Concetta D'Orazio

lunedì 1 gennaio 2024

Dal latino al volgare. La lingua evolve.



In un precedente articolo, dicevo che ogni lingua subisce nel tempo delle trasformazioni ma che queste avvengono in maniera graduale, naturaliter.

L'evoluzione si compie con una certa spontaneità, tanto che i soggetti interessati da tale cambiamento non sono esattamente consci di questa transizione oppure avvertono che, nel loro modo di esprimersi, iniziano a comparire, e soprattutto ad essere accettate, alcune novità, ma la loro consapevolezza a tal riguardo rimane confinata nel limbo delle situazioni a cui ci si deve adattare, senza fare tante domande. 

Alcune persone accettano di buon grado le innovazioni in campo linguistico, altre si chiedono la motivazione che ha portato ad approvare nuove parole, a crearne, a cambiare la sfumatura semantica di talune espressioni ma, infine, anche loro approvano il cambiamento e lo fanno proprio. Vi sono quindi i linguisti, gli esperti del linguaggio che di certo di fronte ai cambiamenti si impegnano a studiare le motivazioni che hanno portato a fare certe scelte, ne rinvengono le cause, ne valutano la necessità, propongono eventualmente altre possibilità.

Dunque l'evoluzione linguistica non è cosa che avviene dall'oggi al domani, a meno che non si tratti di una variazione linguistica pianificata o pianificazione linguistica: questa si ha quando, per determinati motivi o per specifiche esigenze, si decide di aggiungere, cancellare. modificare termini o espressioni in una determinata lingua. Questo tipo di influenza programmata può essere dettata da fattori di necessità, quando, ad esempio, bisogna nominare un oggetto, un comportamento, un'emozione, un'abitudine che prima non esistevano. Si corre allora a cercare la parola di cui si ha bisogno, magari prendendola da altre lingue oppure creandola ex novo. Si producono così prestiti e neologismi (νέος-λόγος, nuova parola).
La pianificazione linguistica, a volte, risponde anche ad interventi di tipo politico o sociale: si pensi a quando un determinato regime o una forza politica dominante impone specifiche regole sulla maniera di esprimersi.

In questo articolo voglio definire meglio un argomento che, come detto, avevo già accennato: come si evoluta la lingua italiana, nel particolare come dal latino si è arrivati alla nostra lingua romanza.

Nel II secolo d. C., il latino aveva iniziato a diversificarsi rispetto alla sua unità linguistica originaria, proprio quando l'impero romano raggiungeva il suo massimo splendore, con la conquista di un territorio sempre più vasto. Infatti quando una lingua interessa una zona estesa, essa diventa più soggetta a modifiche, sia perché incontra le differenziazioni linguistiche già in seno a quell'esteso territorio, sia perché inizia ad essere utilizzata da un numero di persone così vasto e così diverso dal punto di vista sociale ed economico, che inevitabilmente adatta la parlata alle proprie esigenze, al proprio contesto d'uso, alle proprie tradizioni.
Mentre il latino scritto rimaneva la lingua uguale a sé stessa ed utilizzata per finalità ufficiali, politiche o di cultura, il latino parlato andava perdendo la sua purezza, man mano che si avvicinava e si mescolava alle parlate autoctone, proprio nel periodo di massima espansione imperiale. Il latino cioè subiva contaminazioni, a seconda delle aree geografiche in cui fu introdotto. 
Certo, pur il latino scritto presentava a volte degli elementi ripresi dal parlato e dunque delle alterazioni, tuttavia il fenomeno rimaneva sempre abbastanza controllato quanto consapevole. 
In seguito all'incontro con le lingue locali, il latino parlato iniziò a diventare latino volgare, soggetto a sovrapposizioni e incroci con le parlate primitive, i volgari appunto, delle diverse aree linguistiche.
Con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente , il latino parlato si era mescolato con gli idiomi delle diverse zone: nacquero le lingue romanze. Questo processo durò alcuni secoli.

Il volgare, vale a dire la lingua parlata dal volgo, iniziò poi ad essere usato in alcuni documenti di uso pratico, quali ad esempio gli atti notarili o giuramenti (Placito capuano, X secolo). 
Interessante, ancor prima, nel IX, l'Indovinello veronese, formato da alcune righe messe a mo' di nota su una pergamena: vi sono mescolate parole in latino e parole in volgare. La nota, inoltre, è posta vicino ad un'altra tutta in latino corretto.

se pareba boves alba pratalia araba & albo versorio teneba & negro semen seminaba


Teneva davanti a sé i buoi, arava bianchi prati, e un bianco aratro teneva e un nero seme seminava.

L'indovinello, detto veronese perché rinvenuto a Verona, qui conservato, ma proveniente dalla Spagna nell'VIII secolo, allude probabilmente al lavoro di un amanuense,  il quale, come un agricoltore, mandava avanti le dita (i buoi), teneva in mano la penna (aratro), con la quale incideva (arava) bianchi fogli (prati), seminando inchiostro (nero seme). Esso è considerato il più antico testo scritto in lingua romanza, è una dimostrazione di come latino e volgare erano usati in contemporanea anche in alcuni testi scritti.

Solo nel Duecento il volgare iniziò ad essere usato come lingua letteraria, con la Scuola siciliana.


Concetta D'Orazio




giovedì 28 dicembre 2023

I codici manoscritti, la stampa, la diffusione dei testi e l'editoria.





Editoria, etimologia

Il verbo latino ēdo, ēdis, edidi, editum, ēdĕrha vari significati che vanno dal mandare fuori, in senso generico, al produrre, al partorire, al divulgare, diffondere.


Con il termine editoria s'intende il complesso di tutte quelle attività che servono alla pubblicazione di contenuti, a stampa e digitali.
La diffusione può avvenire in varie forme, per vari canali, su diversi supporti, come ad esempio la carta o la pubblicazione via Web.
Un tempo l'idea di pubblicazione era pressoché riferita al campo dei libri, oggi essa include numerose modalità, di cui la produzione di testi cartacei rappresenta solo una parte: si pubblicano libri di carta, così come libri digitali, e-book, testi destinati alla comunicazione digitale.

Storia

Cicerone riferendosi agli scriptores affermava nisi qui forte nondum ediderunt (Cic, Leg. 1.7), se non per caso coloro che hanno già pubblicato.

Certo, ai tempi di Cicerone, pubblicare e dunque trasmettere un proprio scritto aveva un significato diverso da quello che conosciamo noi. Il testo doveva essere ricopiato tante volte quanti erano i libri, i volumina, che si desiderava ottenere. Le difficoltà che questo tipo di edizione incontrava erano molteplici, dal reperimento dei materiali da utilizzare come supporto, papiro o pergamena, a quello delle persone che fisicamente erano preposte a copiare. Non esistevano editori veri e propri, la pubblicazione, cioè la condivisione degli scritti, era attività favorita dall’entusiasmo operoso di alcuni animatori culturali, come nel caso di Attico, cui Cicerone indirizzò le sue epistulae (Epistulae ad Atticum). Possiamo ritenere Tito Pomponio, detto Attico per via della sua passione per la cultura greca e la permanenza ad Atene, il primo editore, dato che, grazie ad una vasta schiera di copisti e lettori al suo servizio, pubblicò numerosi libri latini e greci e le opere di Cicerone.

Nel Medioevo, l'attività di redazione delle copie dei manoscritti (manu scriptus, scritto a mano), testi antichi e classici era affidata al lavoro degli amanuensi, monaci a cui era commissionato la preziosa mansione di trasmissione delle opere dei classici. Essi si impegnavano alacremente nei locali adibiti alla copiatura, gli scriptoria. Il lavoro svolto nello scriptorium comprendeva anche tutta la cura necessaria alla conservazione del manoscritto, il codex. I libri così ottenuti dalla copiatura venivano inizialmente custoditi in contenitori atti all'uso; più tardi nacquero le biblioteche. 

I codici manoscritti venivavo ricopiati sulla pergamena, fatta di pelle di capra o di pecora, materiale che aveva sostituito il papiro, più fragile e più difficile da reperire.

Gli scriptoria medievali ebbero una fondamentale importanza per la conservazione delle grandi opere del passato, dell'antichità classica.

In questa fase di conservazione e trasmissione dei testi giocarono un ruolo molto importante le abbazie (Montecassino, Bobbio, Casamari ...).


Abbazia di Casamari




In epoca medievale, inoltre, esistevano anche alcune botteghe artigiane in cui si  trascrivevano manoscritti. L'artigiano era dunque colui che produceva il libro, ricopiandolo o facendolo ricopiare. Una figura di editore sui generis, possiamo dire, diversa sicuramente da quella dell'editore moderno, in quanto egli poteva solo riprodurre i libri servendosi di amanuensi che replicavano il testo in un determinato numero di copie, che venivano quindi distribuite e vendute  L'editore era anche libraio, anzi soprattutto libraio, e la sua sfera d'azione era molto ridotta, se paragonata a quella dei tempi moderni.

La maniera di pubblicare le opere scritte ebbe una decisiva evoluzione quando, a metà del millequattrocento, Johannes Gutemberg sperimentò la stampa a caratteri mobili: caratteri metallici venivano accostati su di un telaio e quindi inchiostrati, per essere poi impressi.
In realtà la stampa, seppur con diversa modalità e con matrici di legno, era già conosciuta in Cina.
Grazie alla tecnica con i caratteri mobili, nella nostra civiltà, veniva finalmene permessa la pubblicazione in serie dei libri.
I primi libri, stampati tra la metà del 1400 e il 1500, si chiamarono incunaboli, dal latino in cuna, nella culla, vale a dire libri in fasce, cosiddetti anche perché i caratteri mobili venivano tenuti fermi con delle fasce.
Le stampe prodotte dopo il 1500 furono dette cinquecentine.
In seguito alla grande scoperta della stampa a caratteri mobili, tutta la maniera di far conoscere le opere del passato nonché quelle contemporanee incontrò un naturale progresso.
Nacquero e si svilupparono le botteghe tipografiche, vale a dire piccole e grandi aziende che si occupavano di produrre libri e fogli stampati attraverso la nuova tecnica. Nel XV secolo, nel particolare, Venezia fu territorio fecondo per questo tipo di imprenditoria.
Nei primi anni del 1500, maestro dell'arte della stampa e della tipografia fu l'umanista Aldo Manuzio, considerato uno dei più grandi stampatori-editori del Rinascimento; a Venezia fondò la sua famosa tipografia, dove nacquero le Edizioni aldine. A Manuzio, oltre alla sistemazione della punteggiatura, alla numerazione per pagina, recto e verso, si deve il cosidetto aldino, il carattere tipografico corsivo
Il carattere italic è chiamato così proprio perché questa forma fu ideata per la prima volta in Italia, appunto da Aldo Manuzio. 
Grazie al corsivo, Manuzio potè stampare edizioni di piccole dimensioni, tascabili, in formato in ottavo. Con queste innovazioni, il libro, che prima era stato accessibile a pochi, diventò disponibile per un pubblico molto più vasto.

Il libro prodotto in serie acquistò, quindi, il carattere di una merce. Come tale, esso doveva essere perfetto o almeno cercare di non contenere un gran numero di errori. Nacquero una serie di passaggi, o di attività che dir si voglia, precedenti e successivi alla stampa, finalizzati all'ottenimento di una buona merce da distribuire. 
Nelle stamperie e tipografie il lavoro necessario alla produzione di un libro iniziò a diversificarsi; ogni operazione, dalla messa a punto del testo, alla correzione delle bozze, alla cura editoriale, alla pubblicazione e alla distribuzione, favorì, a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, la nascita delle Case editrici, come noi le intendiamo.

A questo punto è necessario fare una doverosa precisazione: non è possibile parlare di editoria vera e propria fino a quando in Italia non si arrivò a concepire l'idea di una lingua unitaria. Ai tempi di Manuzio, le opere scritte, se non in latino e greco antico, erano in volgare.
I volgari erano diversi, a seconda delle diverse aree della nostra Penisola e così differenziati erano gli scritti dell'epoca. 
La varietà di scriptae, cioè di lingue scritte, nel Quattrocento si andò via via evolvendo verso una forma comune che sul volgare toscano appoggiava le proprie basi, dato il prestigio da esso acquistato nel corso del Trecento.
L'attività di Manuzio si incontrò con quella di Pietro Bembo, che curò alcune opere delle Edizioni Aldine e che fu illustre attivista nella cosidetta Questione della lingua.

Nel Cinquecento si diffusero le prime grammatiche e i vocabolari (lessici).
Nacquero poi i primi periodici e si allargò il pubblico a cui le stampe erano destinate, soprattutto in seguito all'aumento del numero delle persone alfabetizzate; si rinnovarono biblioteche e accademie letterarie.

Solo nell'Ottocento, tuttavia, si può parlare di editoria nel senso moderno del termine, quando il pubblico si amplia, le collane si diversificano e la figura dell'editore assume un ruolo più definito, dovendosi egli occupare di curare l'intero progetto editoriale che ruota attorno alla produzione del libro, fatto di autori, redattori, revisori, grafici.

Ai giorni nostri l'attività editoriale ha dovuto adattarsi alle nuove forme di comunicazione aggiungendo al suo interno una vasta specializzazione ad essa riservata. 
Il digitale si affianca alla stampa tradizionale. Le opere raggiungono i fruitori attraverso una serie di canali diversificati e complessi che l'editore non può non curare.



Concetta D'Orazio


venerdì 3 novembre 2023

Mente, fisico e natura

 



In simbiosi con la mia mente
è il mio fisico.
E fisico e mente, poi, procedono in empatia con i capricci della natura.
Come quel suono sbarrato, a metà fra un singulto e uno sbadiglio sbagliato, è portato dal vento, così un rumore molesto colpisce la mia riservatezza.
Un soffio molto spinto di folata, di raffica e sbuffo: a questo risponde il mio corpo, innervosito dal rumore, fa sentire le sue giunture scricchiolanti.
La testa si piega di qua e di là, quasi ad assecondare l'aria che rimbomba e squassa e raglia con una voce arruginita.
Vorrei che tutto questo finisse, che la terra si potesse finalmente quietare, godendo del riposo stagionale che le è concesso.
Che il suono di disturbo di questa corrente così aggressiva lasci il posto al sussuro, lieve e frizzante, dell'aria novembrina, lo desidero.
E che io possa finalmente respirare un pezzo di tranquillità.
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venerdì 27 ottobre 2023

Scrivere per campare

 



Scrivere per campare


Chi è lo scrittore fantasma?
Un ghostwriter è la persona che, per così dire, ti impresta la penna.
Per essere precisi: è lo scrittore che scrive al tuo posto, poi ti vende la carta (scritta), dietro compenso deciso in precedenza.
Non è corretto quindi dire che lo scrittore fantasma ti presta la penna; egli ti permette di far credere tuo ciò che tuo, in effetti, non è.

E cosa può scrivere un ghostwriter?

Non ci sono limiti: articoli, romanzi, saggi, recensioni, addirittura tesi di laurea, discorsi politici, interventi destinati alla televisione. Insomma il ghost può scrivere tutto. Di certo sarà necessario che egli s'informi prima su argomenti che non padroneggia, su situazioni che non conosce.

Si potrebbe pensare che lo scrittore fantasma sia un autore di seconda scelta, perché scrive per campare e si adatta a tutto.

Si potrebbe credere che il ghostwriter sia un romanziere che non ce l'ha fatta.
È vero semmai il contrario: questo professionista deve accomodare la sua penna alle esigenze del cliente. Deve scrivere con il suo (del cliente) animo e con il suo (del cliente) cervello.
Deve, infine, convincere il cliente della sua (del professionista) bravura.
Pensate che sia facile tutto ciò?
Il ghostwriter dunque è maestro nell'adattare, nell'adeguarsi, nell'aggiustarsi all'occasione.
Più che maestro è un mastro. Un artigiano della parola.

Occorre poi considerare il lato affettivo della questione: sapete com'è difficile partorire un brano e darlo subito dopo in adozione?

È un po' come sentire quel tuo pezzo (nel senso lato ma anche preciso del termine), che rimane sempre in fondo al tuo cuore, anche se magari sai bene che, in fondo, è solo la descrizione meticolosa delle istruzioni da seguire, per montare una motozappa a benzina!

Concetta D'ORazio


#ghostwriter

Il vento

Il vento è come la rabbia,

fa avanti e indietro, si accanisce sul momento, poi si ritira.
Potrebbe trasformarsi in carezza, addolcendo le sue maniere,
ma questo il vento non lo sa.
Vuole farsi sentire, proprio come la rabbia, che non accetta di passare inosservata.
Essa si sente una regina.
Non lascia andare avanti nessuna collega, perché lei è sovrana e non ha compagne di lavoro.
Gentilezza, eleganza, educazione.
La rabbia sa che potrebbero oscurarla, perciò le tira da parte.
Essa primeggia.
Così il vento si impone sulla tranquillità, sulla brezza, sulla luce delle ore.
Le sferzate di rumore si avventano sulla quiete della giornata, rendendola insopportabile.
Finirà quel fiato a raffica, con il suo anelito confuso, aggrovigliato nella distruzione.
Le folate di ira si scanseranno, lasciando nuovi spazi a novella pace.

giovedì 12 ottobre 2023

Consapevolezze

 Consapevolezze


Potrei rubare i momenti,
ma gli attimi non si prendono, si sorprendono.
Potrei strofinare il tempo,
ma l'età non si stropiccia, si accompagna.
Potrei respirare il nuovo,
se solo la novità mi lusingasse ancora.
Eccomi ad accettare finalmente le mie insicurezze,
a farne sfoggio,
come se fossero la mia bandiera.
Esibisco le incertezze, mostro i miei dolori.
Non li nascondo, quasi me ne vanto.
Ora posso, adesso ho l'età.

giovedì 25 agosto 2022

L'incipit

 




Importanza dell'incipit


Incipio in latino significa intraprendo, comincio; nell'uso filologico con la parola incipit, terza persona singolare del verbo incipio appunto, s'intende l'inizio di un testo, in riferimento alla prima parola o alle prime parole.

Volendo estendere il significato del termine, in relazione al campo editoriale, si può affermare che l'incipit non è solo limitato alla parola o alla frase iniziali di un testo, una pubblicazione, ma esso abbraccia tutto un intero brano o paragrafo.

Gli autori lo sanno, l'incipit è fondamentale come un asso nella manica.

Eh, va bene, ma perché dare tanta importanza all'inizio? 

Esso è la nostra presentazione! 

Prima di acquistare una copia cartacea di un libro, qual è la cosa che facciamo, oltre a dare uno sguardo alla copertina e alla quarta di copertina? Senza dubbio è quella di leggere l'overture del romanzo.

Allo stesso modo, prima di scaricare una copia digitale, clicchiamo sul pulsante "leggi l'estratto" e cerchiamo di capire se quello è un e-book che fa per noi. Per questi motivi l'inizio di un romanzo non deve mai deludere le aspettative del lettore: egli lo abbandonerebbe prima ancora di averlo acquistato.

Con la lettura del prologo, il lettore inizia ad avvicinarsi all'autore, ne palpa l'essenza, ne immagina i contenuti, ne studia la forma. Chi legge è già in grado di capire se quella storia potrà appassionarlo, se la forma narrativa si addice alle aspettative che nutre in quel momento.

L'incipit dunque dev'essere accattivante, seducente; dev'essere inoltre preciso nella resa sintattica, non che il resto non debba esserlo, s'intende, ma, piazzare un refuso, o peggio ancora un errore di ortografia, proprio all'inizio, non è che faccia fare una bella figura all'intero libro.

Non ha importanza cosa scriverete nel prologo: una descrizione? Un dialogo? Una riflessione? Con qualunque cosa abbiate deciso di iniziare, voi dovete riporre in essa tutta la vostra attenzione! 

Buon lavoro.


Concetta D'Orazio


Sì, perché le prime impressioni sono quelle che contano. Lo dicono sempre quelle persone che insegnano a scrivere.  
Le stesse che consigliano di non dilungarti, di non divagare, di non associare, di non aggettivare. Di non perderti d'avverbio. 
Di tirare dritto e mantenere il passo.
Di contare le battute e di misurare le vocali. (rif.articolo)