Cronache di quarantena – 2
Posiziono il bollitore, lo
accendo e aspetto.
L’acqua è pronta, quando ormai ho
quasi smesso di desiderare la mia tazza pomeridiana di tè.
E infatti ho deciso che non voglio più un tè. Meglio una camomilla.
Giro lo sportello del pensile e
cerco di prendere una bustina. Ce l’ho, l’ho agguantata rovistando dietro al
barattolo dello zucchero.
Mi intrattengo scorrendo l’indice
sullo schermo dello smartphone; lo
abbandono per un momento sul tavolo di legno, nel mentre inizio ad immergere nell’acqua
bollente la bustina che ho finalmente sacrificato ai miei bisogni. Lenta, la
camomilla va giù e poi risale. Proprio come le immagini che tentano di entrare
a bagnarsi in quello stagno confuso che è diventato il mio cervello.
C’è di tutto infatti nella mia
mente.
C’è l’incertezza della novità
improvvisa. C’è l’incognita del chissà per quanto tempo. E c’è la paura del
conoscere la verità, in tutte le sue forme e variabili: la verità dei numeri,
la verità del contagio, la verità di chi ce la fa, la verità di chi potrà
raccontarla.
Di mille verità, io non conosco
nemmeno una. Lo stagno, con all'interno i miei ragionamenti, è pronto a vederne
affogati ancora altri tanti, senza saper dare risposte.
Chi avrebbe mai pensato, solo
qualche settimana fa, che il mondo si sarebbe bloccato, adagiandosi in uno
spaventoso silenzio? Chi mai avrebbe detto che tutto quello che prima ci
sembrava normale, abituale, scontato e dovuto ora è diventato vietato ed
impossibile?
Certo, per me che abito in una
casa fra i campi, con una strada davanti, nascosta fra le gradazioni del verde
della vegetazione, le notizie che leggo sullo schermo del cellulare
mi arrivano ovattate, quasi che l’esistenza abbia deciso di rendermele meno
drammatiche.
Del resto io vivevo normalmente
nel silenzio anche prima. Prima di questa sciagura. La mia vita di tutti i giorni era fatta di assenza di
rumore.
Adesso però questa mancanza di
baccano fa male anche a me che trascorro il mio tempo in solitudine. Oggi questa solitudine la sento più pesante, più ingombrante. La paragono all'abbandono che in così poco tempo ha colpito il mondo, senza dare alle persone il tempo
necessario per l’adattamento a questo nuovo modo di vivere, fatto di pochezza, di
rassegnazione e di attesa.
Ciao, Rosalba, che fai? – il messaggio
di Carla mi richiama alla realtà. Tiro indietro le labbra dal bordo della
tazza.
Sorseggio camomilla, facendo finta che sia
tè – le rispondo, a metà fra la presa in giro e la noncuranza.
Come stai? – Me lo scrive quasi con dolcezza. Se non la conoscessi. In realtà nasconde il suo bisogno di farsi leggere da qualcuno dietro una falsa apprensione per me.
Come al solito. Faccio crostate,
mi affaccio alla finestra, organizzo il guardaroba. -Rincaro la stilettata.
Certo, per te non è cambiato nulla! Ma sei al corrente di cosa sta accadendo nel mondo, vero? La capisci la gravità della situazione, mi auguro. – Le sue suonano come
parole di accusa e di sfida.
Io non aggiungo altro alla conversazione, tanto so già come finirà.
Finirà che inizierà a lamentarsi,
a ripetermi che è stanca e che vuole uscire. Finirà che litigheremo.
Proprio per questo non mi smuovo
nemmeno per visualizzare le ulteriori notifiche, mentre il cicalino del
telefono me le annuncia a ritmo di mitraglia.
[continua…]
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