Quando incontriamo un accento, scrivendo o parlando, atteggiamo la voce, la moduliamo facendo scivolare il ritmo su una vocale o, meglio, tagliando quasi bruscamente l'intonazione della voce.
È un'abitudine naturale per noi, non ci facciamo caso perché ormai il nostro orecchio è avvezzo a individuare una determinata parola e il suo significato, a seconda della "marcatura" della voce.
Vi siete mai chiesti quale sia l'origine del termine accento?
In latino accentus è un sostantivo di IV declinazione. Il termine è cosi composto: ad + cantŭs.
Cantŭs, cantūs è un sostantivo maschile di IV declinazione che individua un prodotto musicale (canto, suono, musica, poesia).
La preposizione ad, in questa situazione, indica un moto a luogo o di fine.
Dunque l'accentus si muove verso la melodia, è un segno (grafico e orale) finalizzato ad ottenere un suono armonioso.
L'accento aveva ed ha una funzione precisa, quella di accompagnare, attraverso l'elevazione della voce, ad una resa sonora marcata.
Non a caso l'accentus latino era la traduzione di προσῳδία greca, termine che aveva appunto lo stesso significato, dato dall'anteposizione della preposizione προσ a ᾠδή (canto).
Tornando alla lingua italiana, l'accento può sottolineare diverse intonazioni e differenti significati della parola, all'interno o alla fine della quale è posizionato. Pertanto esso ha chiaramente un'importanza fondamentale.
Soprattutto per quei segni posti a fine di parola: sono preziosissimi, non fatene un uso sconsiderato, collocandoli magari a supplire persino l'apostrofo!
Concetta D'Orazio
Nessun commento:
Posta un commento
Scrivimi, leggerò con piacere. Grazie