Editoria, etimologia
Il verbo latino ēdo, ēdis,
edidi, editum, ēdĕre ha vari significati che vanno dal mandare
fuori,
in senso generico, al produrre,
al partorire,
al divulgare, diffondere.
Con il termine editoria s'intende il complesso di tutte quelle attività che servono alla pubblicazione di contenuti, a stampa e digitali.
La diffusione può avvenire in varie forme, per vari canali, su diversi supporti, come ad esempio la carta o la pubblicazione via Web.
Un tempo l'idea di pubblicazione era pressoché riferita al campo dei libri, oggi essa include numerose modalità, di cui la produzione di testi cartacei rappresenta solo una parte: si pubblicano libri di carta, così come libri digitali, e-book, testi destinati alla comunicazione digitale.
Storia
Cicerone
riferendosi agli scriptores
affermava nisi
qui forte nondum ediderunt
(Cic, Leg. 1.7), se
non per caso coloro che hanno già pubblicato.
Certo,
ai tempi di Cicerone, pubblicare e dunque trasmettere un proprio
scritto aveva un significato diverso da quello che conosciamo noi. Il testo doveva essere ricopiato tante volte quanti erano i libri, i volumina,
che si desiderava ottenere. Le
difficoltà che questo tipo di edizione incontrava erano molteplici,
dal reperimento dei materiali da utilizzare come supporto, papiro o
pergamena, a quello delle persone che fisicamente erano preposte a
copiare. Non
esistevano editori veri e propri, la pubblicazione, cioè la
condivisione degli scritti, era attività favorita dall’entusiasmo
operoso
di alcuni animatori culturali, come nel caso di Attico, cui Cicerone
indirizzò le sue epistulae
(Epistulae
ad Atticum). Possiamo ritenere Tito Pomponio, detto Attico per via della sua passione per la cultura greca e la permanenza ad Atene, il primo editore, dato che, grazie ad una vasta schiera di copisti e lettori al suo servizio, pubblicò numerosi libri latini e greci e le opere di Cicerone.
Nel Medioevo, l'attività di redazione delle copie dei manoscritti (manu scriptus, scritto a mano), testi antichi e classici era affidata al lavoro degli amanuensi, monaci a cui era commissionato la preziosa mansione di trasmissione delle opere dei classici. Essi si impegnavano alacremente nei locali adibiti alla copiatura, gli scriptoria. Il lavoro svolto nello scriptorium comprendeva anche tutta la cura necessaria alla conservazione del manoscritto, il codex. I libri così ottenuti dalla copiatura venivano inizialmente custoditi in contenitori atti all'uso; più tardi nacquero le biblioteche.
I codici manoscritti venivavo ricopiati sulla pergamena, fatta di pelle di capra o di pecora, materiale che aveva sostituito il papiro, più fragile e più difficile da reperire.
Gli scriptoria medievali ebbero una fondamentale importanza per la conservazione delle grandi opere del passato, dell'antichità classica.
In questa fase di conservazione e trasmissione dei testi giocarono un ruolo molto importante le abbazie (Montecassino, Bobbio, Casamari ...).
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Abbazia di Casamari
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In epoca medievale, inoltre, esistevano anche alcune botteghe artigiane in cui si trascrivevano manoscritti. L'artigiano era dunque colui che produceva il libro, ricopiandolo o facendolo ricopiare. Una figura di editore sui generis, possiamo dire, diversa sicuramente da quella dell'editore moderno, in quanto egli poteva solo riprodurre i libri servendosi di amanuensi che replicavano il testo in un determinato numero di copie, che venivano quindi distribuite e vendute L'editore era anche libraio, anzi soprattutto libraio, e la sua sfera d'azione era molto ridotta, se paragonata a quella dei tempi moderni.
La maniera di pubblicare le opere scritte ebbe una decisiva evoluzione quando, a metà del millequattrocento, Johannes Gutemberg sperimentò la stampa a caratteri mobili: caratteri metallici venivano accostati su di un telaio e quindi inchiostrati, per essere poi impressi.
In realtà la stampa, seppur con diversa modalità e con matrici di legno, era già conosciuta in Cina.
Grazie alla tecnica con i caratteri mobili, nella nostra civiltà, veniva finalmene permessa la pubblicazione in serie dei libri.
I primi libri, stampati tra la metà del 1400 e il 1500, si chiamarono incunaboli, dal latino in cuna, nella culla, vale a dire libri in fasce, cosiddetti anche perché i caratteri mobili venivano tenuti fermi con delle fasce.
Le stampe prodotte dopo il 1500 furono dette cinquecentine.
In seguito alla grande scoperta della stampa a caratteri mobili, tutta la maniera di far conoscere le opere del passato nonché quelle contemporanee incontrò un naturale progresso.
Nacquero e si svilupparono le botteghe tipografiche, vale a dire piccole e grandi aziende che si occupavano di produrre libri e fogli stampati attraverso la nuova tecnica. Nel XV secolo, nel particolare, Venezia fu territorio fecondo per questo tipo di imprenditoria.
Nei primi anni del 1500, maestro dell'arte della stampa e della tipografia fu l'umanista Aldo Manuzio, considerato uno dei più grandi stampatori-editori del Rinascimento; a Venezia fondò la sua famosa tipografia, dove nacquero le Edizioni aldine. A Manuzio, oltre alla sistemazione della punteggiatura, alla numerazione per pagina, recto e verso, si deve il cosidetto aldino, il carattere tipografico corsivo.
Il carattere italic è chiamato così proprio perché questa forma fu ideata per la prima volta in Italia, appunto da Aldo Manuzio.
Grazie al corsivo, Manuzio potè stampare edizioni di piccole dimensioni, tascabili, in formato in ottavo. Con queste innovazioni, il libro, che prima era stato accessibile a pochi, diventò disponibile per un pubblico molto più vasto.
Il libro prodotto in serie acquistò, quindi, il carattere di una merce. Come tale, esso doveva essere perfetto o almeno cercare di non contenere un gran numero di errori. Nacquero una serie di passaggi, o di attività che dir si voglia, precedenti e successivi alla stampa, finalizzati all'ottenimento di una buona merce da distribuire.
Nelle stamperie e tipografie il lavoro necessario alla produzione di un libro iniziò a diversificarsi; ogni operazione, dalla messa a punto del testo, alla correzione delle bozze, alla cura editoriale, alla pubblicazione e alla distribuzione, favorì, a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, la nascita delle Case editrici, come noi le intendiamo.
A questo punto è necessario fare una doverosa precisazione: non è possibile parlare di editoria vera e propria fino a quando in Italia non si arrivò a concepire l'idea di una lingua unitaria. Ai tempi di Manuzio, le opere scritte, se non in latino e greco antico, erano in volgare.
I volgari erano diversi, a seconda delle diverse aree della nostra Penisola e così differenziati erano gli scritti dell'epoca.
La varietà di scriptae, cioè di lingue scritte, nel Quattrocento si andò via via evolvendo verso una forma comune che sul volgare toscano appoggiava le proprie basi, dato il prestigio da esso acquistato nel corso del Trecento.
L'attività di Manuzio si incontrò con quella di Pietro Bembo, che curò alcune opere delle Edizioni Aldine e che fu illustre attivista nella cosidetta Questione della lingua.
Nel Cinquecento si diffusero le prime grammatiche e i vocabolari (lessici).
Nacquero poi i primi periodici e si allargò il pubblico a cui le stampe erano destinate, soprattutto in seguito all'aumento del numero delle persone alfabetizzate; si rinnovarono biblioteche e accademie letterarie.
Solo nell'Ottocento, tuttavia, si può parlare di editoria nel senso moderno del termine, quando il pubblico si amplia, le collane si diversificano e la figura dell'editore assume un ruolo più definito, dovendosi egli occupare di curare l'intero progetto editoriale che ruota attorno alla produzione del libro, fatto di autori, redattori, revisori, grafici.
Ai giorni nostri l'attività editoriale ha dovuto adattarsi alle nuove forme di comunicazione aggiungendo al suo interno una vasta specializzazione ad essa riservata.
Il digitale si affianca alla stampa tradizionale. Le opere raggiungono i fruitori attraverso una serie di canali diversificati e complessi che l'editore non può non curare.
Concetta D'Orazio