Oggi vanno tanto di moda le interviste ai cosiddetti scrittori emergenti.
Quanti scrittori emergenti! Il web è pieno di scrittori che emergono.
Ma emergono da dove?
Avranno fatto naufragio nell'ormai mio noto mare del Web, avranno.
Mi sono sempre chiesta in quale limbo catartico debbano essere costretti a
soggiornare questi scrittori, per un determinato periodo di tempo, commisurato,
chissà, al numero degli avverbi in "mente" che hanno utilizzato nelle
loro opere di una vita precedente.
Insomma, il fatto è chiaro: c'è qualcuno che riesce a venire a galla
e qualcun altro, preferibilmente un collega, che deve notificare al pubblico
diversamente leggente questa emersione.
Ed ora eccoli qui gli scrittori affioranti, che, con la bocca finalmente a
portata di ossigeno, fanno grandi sospiri per riprender fiato.
E sono talmente contenti di riuscire infine a galleggiare, di essersi or
dunque ritrovati, che si abbracciano tra di loro e si parlano, si
raccontano.
Ci prendono così tanto gusto ci prendono, che si menzionano l'un l'altro,
intervistandosi.
Eh, sì, perché tra naufraghi ci si aiuta. E certo! Se non ci si aiuta fra
di noi!
Così qualcuno la prima volta ha avuto quell’originaria idea: l’intervista!
Non sappiamo chi fu. Il fatto si perde nei tempi dei tempi. Certo, mi
piacerebbe conoscerlo e chiedergli:
ma perché ti è venuta in mente? Avresti potuto pensare, che so, ad un
fantastico raduno in un fast-food del centro, molto economico, molto veloce
ecco. Oppure si sarebbe potuto organizzare un sit-in Biblioteca Nazionale, che
fa molto intellettuale. E invece no, tu hai architettato un artifizio
diabolico: l'intervista!
Riflettendoci, sia chiaro, non è poi una cattiva idea. Si ha l'occasione di
mettere nero su bianco, o bianco sul nero, a seconda dell'illuminazione dello
schermo, il vissuto dello scrittore che altrimenti andrebbe perso.
La cosa, poi, è semplice, veloce.
La cosa, poi, è facilmente pilotabile. Ma questo non lo penserà nessuno.
Insomma si procede all'abboccamento virtuale, concedendosi un margine
temporale di preavviso e di "studio delle carte".
Sì, allora, oggi a chi tocca? Facciamo così, inizio io. Ho delle domande.
Vedessi che domande!
Tu domani farai le tue. Oggi dai le risposte.
E tu li vedi che si affannano, gli scrittori, a predisporre lunghi ed
interessantissimi questionari, con tanto di quiz numerati, alla stregua di un
formulario prestampato da far opportunamente girare nel Web.
E gli emergenti si trovano dunque a studiare, a proporre, a limare. E fanno
test su test di preparazione. Perché la cosa è seria, lo si sappia.
Sono convinta che quelli più bravi abbiano frequentato anche qualche corso
di perfezionamento post lauream.
Dico la verità, questo mio scritto nasce da un sincero moto di invidia: io
li vedo tutti che si intervistano fra di loro, che si scrivono, che si
chiamano, che si piacciano e si condividono.
E mai nessuno che m'invita.
A loro chiedo, ai miei colleghi: che cosa ho che non va bene? Guardate che
se mi dite quel che devo rispondere, io rispondo. Se mi indicate con precisione
quel che devo domandare, io domando.
E diamine. Sono capace, cosa credete?
Cosa sono queste discriminazioni?
Anch'io ho un cuore. Lo sapete?
Anch'io ho una copertina. E una sinossi. E un report da controllare!
Ma forse è meglio che me ne faccia una ragione. Gli scrittori scrivono e,
pertanto, sono autorizzati a comporre chilometri e chilometri di interviste.
Scrittore è una parola troppo grande. Scrittore è una parola troppo
importante.
Me ne faccio una ragione. Mi rassegno.
Però la sogno sempre. La sogno sempre la mia intervista.
Nella solitudine dei miei pensieri mi ritrovo ad immaginare le domande. A
predisporre in silenzio le risposte. Le provo, fra me e me, le seleziono. Le
cambio. Le correggo.
A volte mi metto anche a girare sui blog e sulle pagine web degli
emergenti. Leggo quel che scrivono. Sono fantastici.
E intanto, nel mio piccolo, vagheggio anch'io la mia modesta
intervista.
Mi dico: cosa mi chiederebbero? E provo a farmi le domande. E provo a darmi
le risposte.
Avete presente quando si deve preparare un esame? Ecco, così faccio io,
cercando di indovinare la sorte.
La desidero. La desidero tanto la mia intervista che sono arrivata
addirittura ad immaginare la mise per quel giorno: un gessatino blu e décolleté con tacco modesto.
Ecco, lo so, lo so che non mi vedrebbe nessuno perché l'intervista è
rigorosamente virtuale!
Ma potrei sempre auto-scattarmi una foto con la web cam del pc e postarla,
ad attestar l'evento.
Lasciatemi sognare!
Concetta D'Orazio
Scrivente, non scrittore, io sono uno scrivente, come direbbe mio zio, che sarebbe potuto essere scrittore, se solo avesse accettato di non essere più scrivente. Ma si nasce scriventi, e scrittori si diventa, quando si campa dell'esser scriventi.
RispondiEliminaDivago, e lo faccio solo per poter dire che lo faccio, perché mi piace la parola.
Quanto ci piacciono le parole eh Concetta? Sono belle le parole, ma anche insidiose, perché vivono una loro vita e assumono significati che non volevamo dargli. Parole, distribuite con cura, coccolate, lungamente ricercate. Oh no, meglio dire: ricercate a lungo, ma che importa se il significato è lo stesso?
Ci importa perché non conta solo quello che la parola deve dire, conta il suo suono, il suo respiro, il ritmo con cui si allinea, l'assonanza o la voluta dissonanza. Conta tutto, e niente conta. Perché per quanti sforzi noi faremo, ci sarà sempre qualcuno pronto a sputare sulle nostre povere parole, una volta che saranno tutte sole, fuori, nel mondo. E non importa che magari abbia ragione, noi lo odieremo, perché quelle parole sono nostri figli, siamo noi, sono le nostre speranze, i nostri sentimenti, il nostro cuore aperto.
Anch'io, come te, Mario, sono semplice scrivente o se vogliamo autrice delle parole che metto giù.
RispondiElimina"Scrittore" è una parola troppo "grossa" per me.
Scrivo, è vero, ma cerco sempre di "scrivere meglio" della volta precedente.
In realtà il mio articolo sulle interviste voleva essere ironico.
Concordo con te riguardo al nostro essere gelosi delle parole che abbiamo "mandato fuori".