Le parole, calate sul foglio, ascoltano i pensieri. I miei.
Le metto lì e loro stanno ferme. Quando decido di spostarne qualcuna, non vedo oppormi resistenza. Sanno che devono ubbidirmi, le parole scritte.
Non sono come quelle a voce che a volte scappano ed è difficile rincorrerle.
I suoni che provengono dalla gola spesso sono indisponenti. Di sicuro sono immediati.
A volte sono pure un poco azzardati.
Le dita sulla tastiera meditano bene le mosse, soppesano le pause. Correggono gli errori.
Le parole trasposte sulla carta sono attrici finalmente sulla scena, dopo settimane di prove nello scantinato.
E per questo esse non sono false. Si intenda!
Ciò che si decide di mostrare agli altri deve essere bello.
I vocaboli li dobbiamo vestire di pizzo, acconciare e profumare. Le espressioni vanno curate ed abbellite.
Come spose prima della funzione.
Dobbiamo rendere presentabile ciò che la voce, altrimenti, avrebbe costretto ad uscire di casa in vestaglia.
Io me le aggiusto bene, le frasi. Quando scrivo tiro fuori dal canterano tutti i merletti più belli.
Qualcuno potrebbe obiettare, dicendomi che troppi pizzi non li sopporta.
Ma non me ne curo. In fondo le parole sono mie e io le preparo come più mi piace, impomatandole con diligenza.
Mi metto a scrivere facendo molto esercizio.
Nel mentre giudico quale sia la forma più snella su cui servire le asserzioni, mi capita di rovistarmi dentro.
In quei momenti di grande impegno, mi trovo a spolverare impressioni e suggestioni, nascoste in anfratti che credevo scomparsi nelle cantine segrete.
Ne avevo dimenticato la collocazione e mi ero pure scordata di aver dato loro una sistemazione in punti strategici di quella zona mia di confidenza, che mantengo coperta, bene ammantata sotto la pelle.
Decido di dare una nuova possibilità ad impressioni e suggestioni, di toglierle dagli scatoloni e di lasciarle passeggiare all'aria, sulla pubblica piazza, accompagnate dalle parole belle che nel mentre sto aggiustando.
E mi seziono, mi rivolto.
Mi sopporto.
Di raro accade che mi sconvolgo.
Di sicuro leggo le mie debolezze.
E poi le perdono.
Concetta D'Orazio
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