Carnevale ogni scherzo vale? Chi ha rubato quel nostro sano Martedì Grasso che trascorrevamo con la busta di plastica in una mano e con l'altra inguantata alla meno peggio, a gironzolare per le case del quartiere?
Ve lo ricordate voi quando, impagliati nei nostri costumini di Arlecchino, Colombina e Zorro, sempre uguali, ci davamo appuntamento?
A scuola si stabilivano gli accordi: ci saremmo ritrovati in piazza, alle tre.
A quei tempi le tre erano proprio le tre, non le quindici.
Il cielo poi era sempre nuvoloso e minacciava pioggia. Era così burbero che ci costringeva a sperare che non piovesse.
E per fortuna che i pomeriggi di febbraio/marzo allora erano piuttosto brevi, non come quelli di adesso che sai quando cominciano ma non sai mai a che ora finiranno, quasi come quelli del mese di agosto.
Insomma, alle tre di un meriggio nuvoloso e tendente a pioggia, arrivavamo in piazza, trafelati, con le nostre buste di plastica vuote. Contavamo di riempirle al più presto, tenendo costantemente monitorato il contenuto delle nostre e quelle dei compagni di avventura.
A noi bambine le gonne di Colombina si intrecciavano sotto le scarpe. Va bene, le dicevamo gonne di Colombina, in realtà questo era quanto ci aveva assicurato nostra madre, allacciandoci addosso un cinturone che tenesse fermo il gonnellone che tenevano riposto, quasi mummificato, in soffitta. Di solito le premurose madri lo riportavano ai lumi del dì pochi giorni prima del Carnevale, preoccupandosi di dargli una spolverata e una mezza stirata all'occorrenza.
Ci facevano contente le nostre mamme: noi bambine saremmo state Colombina, con quel gonnellone.
Anche noi le rendevamo contente, le nostre madri, facendo loro credere di essere soddisfatte per quel travestimento. Sapevamo bene, per averlo studiato sul sussidiario, che le Colombine, quelle vere, non erano vestite così ma non dicevamo niente. Non è che poi ci interessasse tanto il travestimento. A noi stava a cuore il giro, la passeggiata in gruppo e le visite alle case.
Ci ritrovavamo tutti insieme con i mascheroni sulla faccia che niente avevano a che fare con il costume che portavamo. Quelli avevamo, o per averli acquistati al mattino, nell'edicola davanti alla scuola, utilizzando i soldi che portavamo in tasca per la pizza, o per averli ereditati da qualche magnanimo cugino.
Quelle erano le maschere che si trovavano allora in edicola, avevano caratteristiche un po' incerte, raffiguravano una commistione di personaggi. Pure il profumo della plastica con cui erano fatte pareva strano.
Del resto anche le edicole erano diverse da quelle di oggi. Beh, edicola è una parola grossa. I giornali allora si vendevano nella puteche (negozietto) ricavata al piano-terra dell'abitazione del proprietario, con il portone di legno che dava sulla strada. La carta dei quotidiani prendeva il profumo del salamino appena affettato che l'edicolante, cioè il gestore della puteche, aveva messo nei panini dei carpentieri che erano passati da lui, prima di recarsi al lavoro.
Ogni cosa, insomma, a quei tempi assumeva una valenza, un significato, un profumo poco definito e molto diversificato. I panini, i giornali.
E pure il Carnevale.
Nessuno di noi bambini aveva la maschera giusta per il travestimento giusto: nel nostro gruppo c'erano gli Zorro con la maschera da diavolo, c'erano gli Arlecchino con la maschera da maialino. Le Colombine poi erano tutte un programma, con quei gonnelloni multicolori e multitasche, rifiniti da visi di plastica raffiguranti vecchie befane, con un neo grosso proprio al centro del mento. Osservandole, osservandoci, non si capiva bene se eravamo state preparate per la festa di Carnevale oppure se eravamo in ritardo con i giri per le case, a finir di consegnare quello che ci era avanzato dall'Epifania.
Eravamo contenti. Aspettavamo il Martedì Grasso da parecchie settimane prima.
Quando ci ritrovavamo nella piazza, eravamo bambini buffi, un po' grotteschi nei nostri travestimenti insoliti ma cercavamo di mostrare i nostri "costumi", per quel che avanzava sotto il cappotto che ci avevano obbligato ad indossare. Come il mio loden verde che lasciavo sbottonato per paura che le persone, guardandomi, non apprezzassero la mise di una Colombina estemporanea.
Iniziavamo subito il giro delle case, dividendo il paese, per meglio organizzarci, in settori da raggiungere in blocco: il quartiere di sopra (lu quarte ammonte), quello di sotto (lu quarte a balle) e le zone periferiche (la vie de la stazione e 'ammonte verse lu campesante).
Bussavamo alle porte, attendevamo che ci aprissero. Recitavamo la poesia sul Carnevale che la maestra ci aveva fatto imparare, attendendo la nostra ricompensa.
Riempivamo le nostre buste di dolci, caramelle e cioccolatini.
A volte ci davano anche le uova e noi le bevevamo così, succhiando dal guscio. E la salmonella non sapevamo nemmeno cosa fosse. Neanche le nostre madri lo sapevano.
Tutto quel che non faceva venire immediato mal di pancia, serviva ad ingrassarci.
Ogni porta delle abitazioni che visitavamo si apriva su un mondo casalingo che la curiosità dei nostri occhi, impenitenti, ispezionava, rimanendo fermi e attenti sugli usci delle case.
Mi piaceva guardare dentro e osservare le vite altrui, cercare di scoprirne i segreti, sentire l'odore che proveniva dalle cucine.
Bambini negli anni '70, ci divertivamo, e veramente tanto, a gironzolare da soli per il paese, cantare, spintonarci e recitare le poesie.
Il nostro però non era il "dolcetto o scherzetto" di inizio autunno.
Eravamo in pieno inverno ed il nostro era Carnevale.
Carnevale e basta.
Come si fa a raccontarlo oggi? Da dove si comincia?
Le mascherine adesso sono tutte precisine: le bimbe con i loro pizzi e merletti da fatina. I bimbi mascherati di tutto punto, ad impersonare i personaggi dei cartoni.
Forse sono troppo perfetti.
Le mamme lo sanno. Ora questi travestimenti non possono rincorrersi lungo le vie del paese, insudiciandosi nelle poltiglie di fango, sfamandosi all'occorrenza con il contenuto di uova giammai pastorizzate.
È finita l'epoca delle poesie.
Caramelle e cioccolatini? Cosa vuoi che interessi oggi ai bimbi di riempire in questo modo le loro borsette?
Uomo Ragno, Batman, Spongebob, Occhi di Gatto hanno comprato chili di insignificanti coriandoli in mezzo a cui rotolarsi.
Le mascherine e i coriandoli hanno assolutamente bisogno di un'ambientazione colorata, splendente. Anche un po' dispendiosa. Non scherziamo.
I centri commerciali li hanno costruiti apposta per questo, no?
Ci ritrovavamo tutti insieme con i mascheroni sulla faccia che niente avevano a che fare con il costume che portavamo. Quelli avevamo, o per averli acquistati al mattino, nell'edicola davanti alla scuola, utilizzando i soldi che portavamo in tasca per la pizza, o per averli ereditati da qualche magnanimo cugino.
Quelle erano le maschere che si trovavano allora in edicola, avevano caratteristiche un po' incerte, raffiguravano una commistione di personaggi. Pure il profumo della plastica con cui erano fatte pareva strano.
Del resto anche le edicole erano diverse da quelle di oggi. Beh, edicola è una parola grossa. I giornali allora si vendevano nella puteche (negozietto) ricavata al piano-terra dell'abitazione del proprietario, con il portone di legno che dava sulla strada. La carta dei quotidiani prendeva il profumo del salamino appena affettato che l'edicolante, cioè il gestore della puteche, aveva messo nei panini dei carpentieri che erano passati da lui, prima di recarsi al lavoro.
Ogni cosa, insomma, a quei tempi assumeva una valenza, un significato, un profumo poco definito e molto diversificato. I panini, i giornali.
E pure il Carnevale.
Nessuno di noi bambini aveva la maschera giusta per il travestimento giusto: nel nostro gruppo c'erano gli Zorro con la maschera da diavolo, c'erano gli Arlecchino con la maschera da maialino. Le Colombine poi erano tutte un programma, con quei gonnelloni multicolori e multitasche, rifiniti da visi di plastica raffiguranti vecchie befane, con un neo grosso proprio al centro del mento. Osservandole, osservandoci, non si capiva bene se eravamo state preparate per la festa di Carnevale oppure se eravamo in ritardo con i giri per le case, a finir di consegnare quello che ci era avanzato dall'Epifania.
Eravamo contenti. Aspettavamo il Martedì Grasso da parecchie settimane prima.
Quando ci ritrovavamo nella piazza, eravamo bambini buffi, un po' grotteschi nei nostri travestimenti insoliti ma cercavamo di mostrare i nostri "costumi", per quel che avanzava sotto il cappotto che ci avevano obbligato ad indossare. Come il mio loden verde che lasciavo sbottonato per paura che le persone, guardandomi, non apprezzassero la mise di una Colombina estemporanea.
Iniziavamo subito il giro delle case, dividendo il paese, per meglio organizzarci, in settori da raggiungere in blocco: il quartiere di sopra (lu quarte ammonte), quello di sotto (lu quarte a balle) e le zone periferiche (la vie de la stazione e 'ammonte verse lu campesante).
Bussavamo alle porte, attendevamo che ci aprissero. Recitavamo la poesia sul Carnevale che la maestra ci aveva fatto imparare, attendendo la nostra ricompensa.
Riempivamo le nostre buste di dolci, caramelle e cioccolatini.
A volte ci davano anche le uova e noi le bevevamo così, succhiando dal guscio. E la salmonella non sapevamo nemmeno cosa fosse. Neanche le nostre madri lo sapevano.
Tutto quel che non faceva venire immediato mal di pancia, serviva ad ingrassarci.
Ogni porta delle abitazioni che visitavamo si apriva su un mondo casalingo che la curiosità dei nostri occhi, impenitenti, ispezionava, rimanendo fermi e attenti sugli usci delle case.
Mi piaceva guardare dentro e osservare le vite altrui, cercare di scoprirne i segreti, sentire l'odore che proveniva dalle cucine.
Bambini negli anni '70, ci divertivamo, e veramente tanto, a gironzolare da soli per il paese, cantare, spintonarci e recitare le poesie.
Il nostro però non era il "dolcetto o scherzetto" di inizio autunno.
Eravamo in pieno inverno ed il nostro era Carnevale.
Carnevale e basta.
Come si fa a raccontarlo oggi? Da dove si comincia?
Le mascherine adesso sono tutte precisine: le bimbe con i loro pizzi e merletti da fatina. I bimbi mascherati di tutto punto, ad impersonare i personaggi dei cartoni.
Forse sono troppo perfetti.
Le mamme lo sanno. Ora questi travestimenti non possono rincorrersi lungo le vie del paese, insudiciandosi nelle poltiglie di fango, sfamandosi all'occorrenza con il contenuto di uova giammai pastorizzate.
È finita l'epoca delle poesie.
Caramelle e cioccolatini? Cosa vuoi che interessi oggi ai bimbi di riempire in questo modo le loro borsette?
Uomo Ragno, Batman, Spongebob, Occhi di Gatto hanno comprato chili di insignificanti coriandoli in mezzo a cui rotolarsi.
Le mascherine e i coriandoli hanno assolutamente bisogno di un'ambientazione colorata, splendente. Anche un po' dispendiosa. Non scherziamo.
I centri commerciali li hanno costruiti apposta per questo, no?
Concetta D'Orazio
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