Attenti alla consecutio! Quante volte lo abbiamo sentito ripetere e quante volte lo abbiamo a nostra volta raccomandato, appena giunti a quel soglio maturo di consapevolezza linguistica?
La giusta corrispondenza fra tempi verbali, la consecutio temporum appunto, richiede non solo un impegno sottile, da parte di chi scrive, nel rispettare le regole che la governano, ma pure una volontà di rimanere fermi in certune posizioni, quando si è consapevoli di aver scelto una determinata costruzione verbale, dettata da una personale necessità.
Sì, chi scrive ha naturale impellenza di voler trasporre in maniera statica, su foglio reale o virtuale che sia, il flusso in movimento dei suoi pensieri.
Le idee, tuttavia, nello scorrere incessante, non se li pongono proprio certi problemi. Non si preoccupano di andare in fila, di scalare la marcia. Non sanno se sono in regola con il foglio, rosa o bianco non importa, o se la loro posizione è di contemporaneità, in relazione a chi le segue e precede. Men che meno sono disposte a tornare indietro, per recuperare un eccessivo rispetto di anteriorità o, figuriamoci, si spingono avanti a scoprire una annoiata posteriorità.
Le idee sono irrequiete.
Mi direte: i pensieri in testa vanno così, a loro piacimento, ma colui che decide di trasporli sul foglio deve essere in grado di organizzare, li deve gestire, articolare, regolamentare. Come farà il lettore a poter ricavare un'impressione, benevola o malevola, da quel che si trova a leggere appunto, se non è in grado prima di tutto di comprenderlo?
E qui sono d'accordo. Come si potrebbe non esserlo?
L'autore deve lavorare come un abile regista: è necessario che si impegni a traslocare quei pensieri, rendendoli comprensibili a tutti. Per riuscire in questo, ha necessariamente bisogno di incanalare le frasi che gli arrivano dal cervello in quella complicata ma efficacissima macchina di resa scritta che trova la sua massima espressione nella consecutio temporum.
La consecutio, così per riassumere qui, in sintesi stretta, come ben sappiamo, regola i tempi verbali e il loro rapporto, considerandoli nel contesto delle proposizioni in cui sono inseriti, reggenti e subordinate.
La cosiddetta proposizione principale o reggente è quella che amministra le sue sottoposte, ancelle le diremmo, le proposizioni subordinate appunto. Queste ultime non possono fare quello che vogliono.
Scelto un tempo nella principale, di quello poi dovremo tenere conto nelle subordinate, naturalmente tenendo pure presenti i vari rapporti di anteriorità, posteriorità o contemporaneità.
Fin qui, tutto bene ed anche semplice, direi.
L'affare si complica quando ci troviamo a dover gestire periodi macchinosi, primo fra tutti il periodo ipotetico.
Questo è il costrutto del presumibile, in cui vengono anticipate le possibili conseguenze derivanti da una causa ipotizzata.
In tale periodo l'ipotesi è anticipata in quella frase detta protasi, nella quale viene espresso il fatto ipotetico (se Maria lo avesse conosciuto) e perfezionata nella seconda parte, chiamata apodosi, in cui si illustra la conseguenza (sarebbe riuscita a comprendere).
Non sono interessata a riassumere qui i caratteri e le peculiarità del periodo ipotetico e la diversa costruzione a seconda che l'ipotesi sia vista come possibile (periodo ipotetico della possibilità), impossibile (periodo ipotetico dell'irrealtà) o reale (periodo ipotetico della realtà). In Rete si trovano tanti schemi in cui sono illustrati i modi utilizzati e i vari tempi verbali che regolano le varie strutture.
Quello che mi preme approfondire, soprattutto per ricollegarmi alle considerazioni iniziali di questo articolo, è riuscire a capire quanto un costrutto tutto sommato così complicato possa e debba essere obbligato nei limiti della consecutio temporum. Non mi riferisco alla relazione fra protasi ed apodosi che deve essere necessariamente rispettata.
Cosa succede se un periodo ipotetico non è in perfetta concordanza con i tempi delle proposizioni inserite in uno stesso brano?
Anche in questo caso mi aiuterò con l'esempio, del tutto casuale, utilizzato prima, perfezionandolo:
Paola sorseggia il suo caffè. Passa una mano fra i capelli, raccoglie la forcina finita sul pavimento. Aggiunge un altro cucchiaino di zucchero. Riflette. Ora deve solo pensare al suo problema, proprio a quello che Maria sarebbe riuscita a comprendere.
In questo periodo in cui tutti i verbi sono al presente indicativo, il condizionale passato (sarebbe riuscita) potrebbe sembrare fuorviante. Come? Ci si potrebbe chiedere: Paola compie tutte le azioni al presente fino a quando proprio un'azione contemporanea (Ora deve pensare al suo problema) viene messa in relazione con un condizionale passato (che Maria sarebbe riuscita a comprendere).
In realtà, anche se la concordanza verbale del periodo non sembra "incastrare" per bene tutti i tempi, il condizionale passato ha qui, e soprattutto nella mente di chi scrive, una sua spiegazione.
In realtà, la frase che Maria sarebbe riuscita a comprendere costituisce la apodosi di un periodo ipotetico irreale, la cui protasi è se lo avesse conosciuto, che l'autore ha volutamente omesso per motivi suoi di trama e di stile.
Provate ora a considerare come il tempo passato trova una spiegazione, alla luce del perfezionamento del periodo ipotetico in cui la frase è inserita.
Paola e Maria non compiono azioni contemporanee. Paola fa una valutazione al presente, nel ricordo di un'azione passata di Maria.
È chiaro che oggi Maria non ha compreso: in passato (ieri, il mese scorso ma anche qualche minuto fa), non ha conosciuto il problema di Paola.
Vi faccio l'esempio del periodo completo, introducendo anche la frase lasciata in ombra da chi scrive:
Paola sorseggia il suo caffè. Passa una mano fra i capelli, raccoglie la forcina finita sul pavimento. Aggiunge un altro cucchiaino di zucchero. Riflette. Ora deve solo pensare al suo problema, proprio a quello che Maria sarebbe riuscita a comprendere - se (quella volta) lo avesse conosciuto -
È tutto più chiaro adesso.
Chi scrive non può concordare il condizionale agli altri tempi al presente, contenuti nelle frasi del brano, perché deve prima soddisfare l'esigenza di perfezionare un periodo ipotetico irreale di cui ha omesso volutamente la protasi, per ragioni sottese alla conduzione della trama.
Possiamo finalmente considerare che quello che dunque a prima vista può apparire improprietà, spesso non lo è.
Per esserne certi, naturalmente dobbiamo considerare il contesto in cui frasi e periodi sono inseriti.
La consecutio temporum è un sistema perfetto di norme di collegamento verbale che deve essere rispettato.
Ci sono casi, tuttavia, come nell'esempio riportato, che devono condurre chi legge ad una ricostruzione dei motivi che hanno spinto l'autore a quella che potremmo impropriamente definire "variazione sul tema".
Insomma, la lingua italiana, lo abbiamo più volte ripetuto, è capricciosa: spesso ammette divagazioni sul tema, personali, che è necessario che chi legge recepisca, valutandole e soppesandole.
Naturalmente le divagazioni possono essere accettate solo quando non sono errate, cioè non contravvengono alle regole grammaticali!
Concetta D'Orazio
Sì, chi scrive ha naturale impellenza di voler trasporre in maniera statica, su foglio reale o virtuale che sia, il flusso in movimento dei suoi pensieri.
Le idee, tuttavia, nello scorrere incessante, non se li pongono proprio certi problemi. Non si preoccupano di andare in fila, di scalare la marcia. Non sanno se sono in regola con il foglio, rosa o bianco non importa, o se la loro posizione è di contemporaneità, in relazione a chi le segue e precede. Men che meno sono disposte a tornare indietro, per recuperare un eccessivo rispetto di anteriorità o, figuriamoci, si spingono avanti a scoprire una annoiata posteriorità.
Le idee sono irrequiete.
Mi direte: i pensieri in testa vanno così, a loro piacimento, ma colui che decide di trasporli sul foglio deve essere in grado di organizzare, li deve gestire, articolare, regolamentare. Come farà il lettore a poter ricavare un'impressione, benevola o malevola, da quel che si trova a leggere appunto, se non è in grado prima di tutto di comprenderlo?
E qui sono d'accordo. Come si potrebbe non esserlo?
L'autore deve lavorare come un abile regista: è necessario che si impegni a traslocare quei pensieri, rendendoli comprensibili a tutti. Per riuscire in questo, ha necessariamente bisogno di incanalare le frasi che gli arrivano dal cervello in quella complicata ma efficacissima macchina di resa scritta che trova la sua massima espressione nella consecutio temporum.
La consecutio, così per riassumere qui, in sintesi stretta, come ben sappiamo, regola i tempi verbali e il loro rapporto, considerandoli nel contesto delle proposizioni in cui sono inseriti, reggenti e subordinate.
La cosiddetta proposizione principale o reggente è quella che amministra le sue sottoposte, ancelle le diremmo, le proposizioni subordinate appunto. Queste ultime non possono fare quello che vogliono.
Scelto un tempo nella principale, di quello poi dovremo tenere conto nelle subordinate, naturalmente tenendo pure presenti i vari rapporti di anteriorità, posteriorità o contemporaneità.
Fin qui, tutto bene ed anche semplice, direi.
L'affare si complica quando ci troviamo a dover gestire periodi macchinosi, primo fra tutti il periodo ipotetico.
Questo è il costrutto del presumibile, in cui vengono anticipate le possibili conseguenze derivanti da una causa ipotizzata.
In tale periodo l'ipotesi è anticipata in quella frase detta protasi, nella quale viene espresso il fatto ipotetico (se Maria lo avesse conosciuto) e perfezionata nella seconda parte, chiamata apodosi, in cui si illustra la conseguenza (sarebbe riuscita a comprendere).
Non sono interessata a riassumere qui i caratteri e le peculiarità del periodo ipotetico e la diversa costruzione a seconda che l'ipotesi sia vista come possibile (periodo ipotetico della possibilità), impossibile (periodo ipotetico dell'irrealtà) o reale (periodo ipotetico della realtà). In Rete si trovano tanti schemi in cui sono illustrati i modi utilizzati e i vari tempi verbali che regolano le varie strutture.
Quello che mi preme approfondire, soprattutto per ricollegarmi alle considerazioni iniziali di questo articolo, è riuscire a capire quanto un costrutto tutto sommato così complicato possa e debba essere obbligato nei limiti della consecutio temporum. Non mi riferisco alla relazione fra protasi ed apodosi che deve essere necessariamente rispettata.
Cosa succede se un periodo ipotetico non è in perfetta concordanza con i tempi delle proposizioni inserite in uno stesso brano?
Anche in questo caso mi aiuterò con l'esempio, del tutto casuale, utilizzato prima, perfezionandolo:
Paola sorseggia il suo caffè. Passa una mano fra i capelli, raccoglie la forcina finita sul pavimento. Aggiunge un altro cucchiaino di zucchero. Riflette. Ora deve solo pensare al suo problema, proprio a quello che Maria sarebbe riuscita a comprendere.
In questo periodo in cui tutti i verbi sono al presente indicativo, il condizionale passato (sarebbe riuscita) potrebbe sembrare fuorviante. Come? Ci si potrebbe chiedere: Paola compie tutte le azioni al presente fino a quando proprio un'azione contemporanea (Ora deve pensare al suo problema) viene messa in relazione con un condizionale passato (che Maria sarebbe riuscita a comprendere).
In realtà, anche se la concordanza verbale del periodo non sembra "incastrare" per bene tutti i tempi, il condizionale passato ha qui, e soprattutto nella mente di chi scrive, una sua spiegazione.
In realtà, la frase che Maria sarebbe riuscita a comprendere costituisce la apodosi di un periodo ipotetico irreale, la cui protasi è se lo avesse conosciuto, che l'autore ha volutamente omesso per motivi suoi di trama e di stile.
Provate ora a considerare come il tempo passato trova una spiegazione, alla luce del perfezionamento del periodo ipotetico in cui la frase è inserita.
Paola e Maria non compiono azioni contemporanee. Paola fa una valutazione al presente, nel ricordo di un'azione passata di Maria.
È chiaro che oggi Maria non ha compreso: in passato (ieri, il mese scorso ma anche qualche minuto fa), non ha conosciuto il problema di Paola.
Vi faccio l'esempio del periodo completo, introducendo anche la frase lasciata in ombra da chi scrive:
Paola sorseggia il suo caffè. Passa una mano fra i capelli, raccoglie la forcina finita sul pavimento. Aggiunge un altro cucchiaino di zucchero. Riflette. Ora deve solo pensare al suo problema, proprio a quello che Maria sarebbe riuscita a comprendere - se (quella volta) lo avesse conosciuto -
È tutto più chiaro adesso.
Chi scrive non può concordare il condizionale agli altri tempi al presente, contenuti nelle frasi del brano, perché deve prima soddisfare l'esigenza di perfezionare un periodo ipotetico irreale di cui ha omesso volutamente la protasi, per ragioni sottese alla conduzione della trama.
Possiamo finalmente considerare che quello che dunque a prima vista può apparire improprietà, spesso non lo è.
Per esserne certi, naturalmente dobbiamo considerare il contesto in cui frasi e periodi sono inseriti.
La consecutio temporum è un sistema perfetto di norme di collegamento verbale che deve essere rispettato.
Ci sono casi, tuttavia, come nell'esempio riportato, che devono condurre chi legge ad una ricostruzione dei motivi che hanno spinto l'autore a quella che potremmo impropriamente definire "variazione sul tema".
Insomma, la lingua italiana, lo abbiamo più volte ripetuto, è capricciosa: spesso ammette divagazioni sul tema, personali, che è necessario che chi legge recepisca, valutandole e soppesandole.
Naturalmente le divagazioni possono essere accettate solo quando non sono errate, cioè non contravvengono alle regole grammaticali!
Concetta D'Orazio
Consecutio e periodo ipotetico sono la croce (senza delizia) di chi scrive. Ben vengano questi tuoi chiarimenti , soprattutto se accompagnati dagli esempi che servono a chiarire situazioni veramente complesse: grazie, Concetta!
RispondiEliminaTi ringrazio, Sergio. Spero che questi appunti possano essere utili.
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