Quanto costa tenere
uno scarabocchio nel tiretto? Dipende da quanto è grande la vostra casa e da
chi vi gira dentro. Qualcuno potrebbe avere bisogno proprio di quel
tiretto.
Se questi
rivendica con autorevolezza il possedimento di quello spazio, siete
rovinati! Il vostro scarabocchio avrà il posto che merita: la soffitta.
Uno scarabocchio in
soffitta vive male. Lo sappiamo. Quanto è brulla una soffitta? Nessuno che
venga mai a spolverare quelle quattro chiacchiere messe giù, con il sudore
della stilografica o, peggio ancora, con la ginnastica compulsiva delle dita
sulla tastiera.
In soffitta la
vostra creatura avrà vita grama. Invecchierà di solitudine. Anche perché,
riconoscetelo, voi stessi vi dimenticherete di esservi sentiti un giorno
scrittori, con la esse maiuscola o minuscola non importa, e di aver partorito
una sequenza di segni riconoscibili ed universalmente intellegibili.
Non volendo scadere in un eccessivo
pessimismo, un’altra possibilità potrebbe rivelarsi al povero scrittore con
Esse incerta.
Potrebbe accadere che chi divide con voi l’abitazione, ma pur la
vita e la condotta, imbattendosi nel manoscritto che occupa abusivamente il
tiretto a lui riservato, sia preso da un’improvvisa pietà e compassione per le
vostre ambiziose prove di redazione e vi sussurri:
«Perché l’hai lasciato qui?
Non devi! Non puoi! Tutti devono sapere. Tutti devono conoscere. Tutti sapranno
riconoscerti.»
E voi, finalmente compiaciuti di esser
stati con dignità considerati, quando già vi eravate rassegnati alla solitudine
della genialità incompresa, lo bacerete con enfasi e con trasporto,
accompagnando i vostri abbracci con qualche timido:
«Ma dai, ma ti pare.»,
«Ma dai, è una sciocchezza. Una prova di gioventù.»
Perché, detto tra noi, tutto quel che
si scarabocchia con compulsione, nei momenti in cui vi capita di ascoltare
estaticamente i dettami dell’ispirazione maestra, è sempre “una prova di
gioventù”.
Anche se l’avete scritta dieci minuti
fa.
L’arte non ammette
umiltà. È arrivata l’ora di rendersene conto. Perciò, sicuri di essere stati
almeno compresi dall'altra metà del vostro essere, vuoi perché
davvero motivato a spronarvi nel cercare la giusta considerazione al vostro
estro, vuoi perché davvero bisognoso di occupare il tiretto di cui sopra, vi
concedete la meritata ricompensa alle vostre sacrosante velleità artistiche.
Ed eccovi sul motore
di ricerca a digitare all'impazzata frasi del tipo “Pubblicare in
cinque minuti”, “Pubblichiamo i nostri scritti”, “Pubblichiamoci allegramente”.
Lo so, è dura, ci son passata. Capisco.
E gira che ti ri-gira e leggi che si è
fatto notte,
arriverete infine ad occupare un agognato angolino di spazio Web.
E lo vedrete lì il vostro eBook, nella
vetrina dello store. Bello come il sole!
La copertina può essere migliorata,
d’accordo. Ma quante pretese! In fondo è la vostra prima prova! Vi
perfezionerete. Perché un vero autore self vuole prima di tutto questo: la
perfezione.
Un self aspira ardentemente a rendere
il suo prodotto preciso, completo, compiuto.
Non ci dorme la notte!
Quante notti ho trascorso alla ricerca
di notizie utili, alla condivisione di emozioni digitali. Quanto sonno buttato
nel Web.
È trascorso un anno dalla “mia prima
volta” in modalità di auto-pubblicazione. E ancora non la dimentico.
Perché, si sa, la prima volta non si
scorda mai!
In un anno ho imparato tante cose ma
non voglio soffermarmi in questa sede, in questa pagina volevo dire, in
dettagli di tipo tecnico ed in ragguagli di tecnicismo ad hoc. Quelli si
trovano dappertutto. Ormai ne è pieno il web!
Ciò che mi rimarrà
per sempre sono sicuramente le emozioni
derivanti dall'interazione con chi ha camminato insieme a me, o anche
di fianco, condividendo i miei stessi compiacimenti, i dubbi e le incertezze
che le nuove prospettive di pubblicazione ci hanno fatto conoscere. I colleghi del Self-Publishing!
Ho imparato che le parole non si
buttano alla rinfusa. Ogni pensiero, soprattutto se condiviso sul web, deve
essere attentamente valutato, soppesato, predisposto alla critica.
Ho imparato che non basta conoscere la
grammatica, la sintassi. La penna non si ferma alle nozioni. La penna si
esercita con le emozioni.
D'altronde ho
pure appreso il contrario: senza uno stile buono e corretto è inutile dire
qualcosa. Ma questo lo sapevamo già. Si spera.
Ho imparato che scriviamo non per
raccontare storie. Noi scriviamo per inventar bugie. Ma non le possiamo metter
lì, le bugie, alla mercé di chi saprebbe riconoscerle. No. Dobbiamo essere
abili ad abbellirle, a imbellettarle. A farle vere, anche se veritiere non
sono. Noi cerchiamo alibi che possano sembrar di ferro per nascondere panzane
grossolane. Nascondiamole bene, però!
Insomma, ho sperimentato per un anno
intero che, anche se impegnato a raccontare bugie e renderle favole che possano
far sognare chi ci legge, suo buon cuore, chi scrive deve essere persona
attenta, scrupolosa, diligente, leale ed onesta.
Viva l’autopubblicazione!
Concetta D'Orazio
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