lunedì 22 settembre 2014

FUORI DAL LIBRO Capitolo I – Personaggi smarriti




Questo articolo esce contemporaneamente su quattro blog:


 Un parco, forse un giardino, avvolto nella nebbia, figure che vagano incerte...

(Iolanda) Le vedo. Le ombre si allungano davanti a me. Ne scorgo una: pare uscire dalla nebbia. Adesso che fa? Si incammina verso il parco?
Riconosco quella figura. Sì, è Antonio. Provo a chiamarlo. La mia voce non riesce ad allungarsi fino a lui. Se ne sta su quella panchina. Un'anima sperduta e frastornata. Lo raggiungo. Mi muovo a fatica con queste catene alle caviglie: non mi permettono di camminare in fretta.

(Antonio) Di nuovo. Un attimo fa leggevo sulla panca, e ora sono qui, in questo parco perso nella nebbia, seduto su una panchina. Non è la prima volta che mi accade, ma è un sogno, un'allucinazione, pazzia, o devo credere nell'irreale e pensare che questo mi stia accadendo davvero?

(Iolanda) Antonio, ti ho visto da lontano. Cosa ci fai tutto solo in questo parco?

(Antonio) Iolanda! Anche tu di nuovo qui, sembra che i nostri destini siano collegati, almeno in questo sogno. Mi chiedevo se tutto ciò stia davvero accadendo, non saprei cosa credere, e mi sento perso in una situazione così irreale, che non posso spiegare razionalmente.

(Iolanda) Antonio, caro amico, ho le tue stesse sensazioni. Nemmeno io so spiegarmi cosa ci stia accadendo.

(Antonio) Forse in un sogno, o forse questo luogo è solo l’invenzione di qualche divinità sfaccendata... Ma se fosse così, perché proprio noi tra miliardi di persone?

(Voce narrante) Sul sentiero emergono dalla nebbia due figure...

(Iolanda) Non so, Antonio, ma pare che non siamo soli. Li vedi quei due? Stanno percorrendo la stradina, si dirigono verso di noi. Non li distinguo bene.

(Professore) Salve, buonasera, signore, signorina… Permettete che mi presenti, sono il Professor Knowall, Leonard Knowall. Stavo andando in biblioteca quando, prendendo questa scorciatoia che attraversa il giardino pubblico, mi sono perso, buffo, eh! Poi ho trovato questo giovanotto, sembra che anche lui abbia smarrito la strada, sapete per caso dov’è l’uscita?

(Iolanda) Mi dispiace, non sappiamo dove sia l'uscita. Anche noi ci troviamo qui per caso. Non capisco le tue parole.

(Professore) Vabbe’, non ha importanza… Piuttosto, cosa sono quelle catene che le imprigionano le caviglie e i polsi?

(Iolanda) Le mie catene, mi fanno male, mi stringono. Riesco a malapena a camminare, tenendo i piedi l’uno vicino all'altro. Me le hanno messe, non so perché. Dicono che ho peccato ma io non so cosa sia un peccato né credo di averne mai commesso.

(Professore) Non credo che tu sia qui per qualche peccato che avresti commesso! Davvero non sai cos’è una biblioteca? Ma… allora è chiaro solo a me? Forse è meglio che non dica altro, per il momento… Intanto cerchiamo di capire cosa ci facciamo qui.

(Martin) Temo che sia chiaro solo a lei, professore. Per me non lo è per niente. Adesso vorrei tornare a casa ma non ho idea della direzione da prendere. Mi scusi signora, e anche lei: non dico per voi, è solo che sono stanco. A proposito, il mio nome è Martin Iuppiter. Forse lo avete sentito, sono uno scrittore.

(Antonio) Salve Professore, salve Martin, io sono Antonio Scossa, faccio il falegname, o forse dovrei dire che sono pensionato e lavoro il legno per passare il tempo. Questa è la seconda volta che incontro Iolanda in questo posto dove ci ritroviamo trasportati senza preavviso, così come d’improvviso siamo ritornati nel nostro mondo. Per voi è la prima volta?

(Iolanda) Martin, anche tu in questo parco. Come ci sei arrivato?

(Martin) Non so, all’improvviso ero sotto un grande tiglio, e il professore era accanto a me. Non ricordo cosa stavo facendo prima, ma ero di certo nel mio studio. E adesso devo andarmene, il lavoro mi aspetta. Nessuno di voi sa come possiamo uscire di qua?

(Iolanda) Che strane vesti avete addosso!

(Professore) Se i nostri abiti le sembrano così strani che dovremmo dire noi dei suoi? Signorina, lei è un’attrice, per caso?

(Iolanda) Attrice? Che significato ha questa parola?

(Martin) Non mi sembra il momento di scherzare, signorina. Teatro o cinema?

(Iolanda) Teatro? Cinema? Non capisco.

(Professore) Martin, mio giovane collega - Sì, anch’io sono uno scrittore - penso che la signorina Iolanda sia più confusa di noi in questa situazione. In confidenza, comincio a sospettare che venga veramente da molto lontano… Ma dov’è Antonio? Era qui fino a poco fa.

(Martin) Da lontano? Ma se non sappiamo neppure dove siamo…

(Professore) Intendevo lontano dalla nostra società, dall’epoca alla quale, è evidente, noi altri tre apparteniamo.

(Martin) Un viaggio nel tempo? Anche lei ha voglia di scherzare? Ma le sembra possibile?

(Iolanda) Le caviglie mi fanno male. Queste catene stringono. Aiutatemi, vi prego.

(Antonio) Eccomi Iolanda, cercavo una pietra adatta per provare a spezzare la catena, ma poi mi è venuto in mente che ho in tasca un attrezzo forse adatto, se l’acciaio delle catene non è troppo resistente.

(Voce Narrante) Antonio estrae una piccola tronchese e si china sulle catene cominciando a lavorarci.

(Antonio) Incredibile, sono di ferro dolce, neppure troppo irrobustito, riesco a tagliarlo facilmente. Non avevo mai visto catene così malleabili. Ecco fatto, ora togliamo anche quelle ai polsi.

(Voce narrante) Iolanda è finalmente libera. Si massaggia i polsi, poi scende fino alle caviglie. I tre compagni di sventura sono fermi davanti a lei, ad osservarla.

(Iolanda) Perché mi guardate?

(Martin) Un momento… sono catene vere, pesano! E allora questi segni sul viso e sulle braccia… è sangue? Come si sente, signorina? Forse dovremmo cercare un ospedale.

(Professore) Credo che le sue ferite siano più profonde, meno visibili di quelle esterne… Iolanda, cosa ricorda di quello che le è successo prima di arrivare qui?

(Iolanda) Sono venuti a prendermi. Io non capivo. Mi hanno portato via. Via da casa, via dalla famiglia. Hanno legato le mie mani e i miei piedi.

(Professore) Chi le ha fatto questo? Chi erano questi uomini?

(Iolanda) Non lo so. Avrei voluto soltanto godere dell’esistenza e dei colori delle mie emozioni, come fanno tutte le persone. Loro sono venuti, mi hanno preso, con forza, con cattiveria.

(Martin) Come ha fatto allora a fuggire da questi uomini e a venire qui, nonostante quelle catene?

(Professore) Credo che le sia successo quello che è capitato a tutti noi, si è trovata in questo luogo, non ha scelto di lasciare il suo mondo. Del resto anche lei, Martin, non è venuto qui di sua spontanea volontà, vero?

(Martin) Venuto? No, certo. Ero nel mio studio, ho aperto la porta e davanti a me c’era questo parco. Ho fatto un passo indietro, ma lo studio era scomparso e dopo un momento ho visto lei, professore. Come in un incubo… Incubo, certo. Stiamo solo facendo un brutto sogno! Anzi: sto facendo un brutto sogno.

(Antonio) Solo quando ti svegli puoi dire di aver sognato.

(Iolanda) Io non ho fatto scelte, sto soltanto subendo le conseguenze di un destino che ora mi è sconosciuto. Anche voi siete nell'incertezza, proprio come me.

(Antonio) Ma di questi tempi nessuno incatena più le persone, come è possibile una cosa del genere?

(Professore) Sì, Antonio, ha ragione, in questa nostra epoca le catene non sono più fatte di metallo, sono intangibili, ma non per questo meno forti, anzi… Come avevo già accennato prima, penso che la nostra giovane amica non sia esattamente una nostra contemporanea. Lo so che avrete difficoltà ad accettarlo, ma sono ormai convinto che Iolanda appartenga a un’epoca meno civilizzata della nostra, un’epoca in cui le catene erano più materiali e meno simboliche e, come abbiamo visto, facilmente rimovibili.

(Martin) Insomma, lei è davvero convinto che la signorina abbia viaggiato nel tempo? Non riesco a crederci.

(Professore) Caro Martin, converrà con me che non ci troviamo in una situazione ordinaria. Le risulta così difficile accettare che, come noi abbiamo viaggiato nello spazio, perché è ormai chiaro che non siamo nel giardino pubblico della nostra abitale città, Iolanda potrebbe aver compiuto un viaggio di altro tipo? A giudicare dalle sue vesti e dalle catene che la imprigionavano credo che la signorina provenga da uno dei periodi più oscuri della nostra storia. Ma proviamo a scoprirlo chiedendole direttamente alcuni dettagli che potrebbero risolvere i nostri dubbi.

(Antonio) Iolanda, cara, dammi la mano, vieni a sederti. Non vedete che è sconvolta, lasciamola riprendere, non torturiamola con i nostri ragionamenti, è evidente che fa fatica anche a capire di cosa stiamo parlando.

(Iolanda) Vi rendo grazie, signori. Dove mi trovo adesso? Cosa mi è accaduto prima di arrivare qui? Ricordo solo paura e dolore.

(Voce Narrante) Martin appare insofferente e nervoso, si allontana dagli altri poi torna ad avvicinarsi di nuovo.

(Martin) Perché non cerchiamo di tornare a casa? Non dovremo restare qui per sempre, no?

(Professore) Martin, lei sembra molto impaziente di tornare a casa, qualunque significato vogliamo dare alla parola “casa” nella nostra condizione… Ha per caso delle questioni impellenti che deve affrontare?

(Martin) Lavorare. Devo lavorare. Uno come me non può permettersi di perdere tempo.

(Iolanda) Non c’è una via di uscita. Lo sento.

(Martin) Ci deve essere, invece. Siamo arrivati qui, no? E allora potremo anche tornare dove eravamo… a meno che…

(Professore) Non vorrei essere pessimista, ma come è evidente che non siamo qui per nostra volontà, credo che dovremo rimanere in questo luogo per tutto il tempo che sarà necessario. Non chiedetemi se c’è un disegno superiore in tutto questo, io sono agnostico e materialista, ma so adattarmi alle situazioni che non posso controllare.

(Martin) Insomma, professore. Secondo lei non è un incubo, però dobbiamo rimanere qui. Crede forse che siamo… morti?

(Antonio) Non credo proprio, se fossimo morti non potremmo stare qui a parlare tra noi. Però anche senza uscita, da questo posto si può andare e venire, io e Iolanda lo abbiamo già fatto, solo non saprei dire come, è semplicemente accaduto.

(Professore) ...come dicevo prima, non possiamo andare e venire da qui a nostro piacimento, dobbiamo semplicemente aspettare che succeda. Visto che probabilmente dovremo passare del tempo qui, che ne dite di conoscerci meglio? Magari ci aiuterà a capire il motivo perché ci troviamo qui e se ci sono delle affinità che ci uniscono.

(Iolanda) Mi appoggio su questa pietra. Riposo un po’. Voi iniziate pure a raccontare le vostre storie.


Il nostro esperimento di scrittura a più mani


Il secondo capitolo è in fase di pubblicazione sui nostri profili facebook 


Vai al capilo II

venerdì 19 settembre 2014

Ci viene ad aprire il figlio dei padroni di casa. Non è nostro cugino ma è come se lo fosse, non vuoi altro che per logicità di parentela. È molto più grande di noi. Papà dice che ha finito da tanto tempo le medie ma poi non ha voluto continuare a studiare. È rimasto a casa, guida il trattore ed è pure molto bravo.
(Da Riprendiamoci il Natale, dicembre 2013)


domenica 14 settembre 2014



Il giallo è più corto. Lo nascondo in fondo. Nessuno lo deve sapere che il giallo si è accorciato.
Anche il marrone è allo stesso livello. Entrambi sono quasi a metà.
La situazione del rosso e del blu è più drammatica. Hanno superato la metà già dalla scorsa settimana.

(da Riprendiamoci il Natale, dicembre 2013)


sabato 13 settembre 2014

Mi guardo le scarpe. Sono belle, bianche con due strisce verticali ai lati. A scuola mi hanno detto che non sono di marca. Non so nemmeno che significa. A me piacciono. Quelle buone bisogna andarle a comprare lontano e poi papà dice che costano troppo, dice pure che con un paio di quelle con la marca ci compra le scarpe per tutti.   

(da Riprendiamoci il Natale, dicembre 2013)



sabato 6 settembre 2014

Di stesura, di autori e di scrittori.


Quante persone, che di fatto compongono testi, hanno necessità di identificarsi in una categoria. Ma quale? Quella di chi crea un'opera (classe degli autori) o quella di chi compie l'atto pratico dello scrivere (compagine degli scrittori)? 

Saper definire la questione, a mio parere, non è semplice ma neppure impossibile.
In casi di incertezza nell'attribuire un significato ad una parola, la prima cosa da fare è quella di sezionarla, di ricostruirne la storia, valutarne la derivazione. Per la lingua italiana il passo indietro da compiere è molto lungo.

L'ho ripetuto parecchie volte nel gruppo degli Scrittori Pionieri: di ogni prodotto realizzato con la propria ispirazione (libri, dipinti ma anche altro tipo di creazioni, un maglione fatto a mano, una torta decorata, etcetera) si è autori.
Cercherò di spiegare questa mia tesi, ricorrendo all'aiuto prezioso del latino, il passo indietro lungo, appunto. Come si potrebbe non tenerne conto? 

Tra le varie possibilità di traduzione del verbo latino augěo, auges, auxi, auctum, augēre (da cui autore), troviamo innanzitutto: aumentare, arricchire
Il verbo augēre ha però in sé l'originario significato di dare vita, far nascere
L'auctor, dunque, è colui che si pone all'inizio dell'azione, cioè la persona che plasma, con le mani o solo con le idee, il prodotto. 
Considerarsi autori di ciò che si scrive non è sbagliato, allo stesso modo in cui si potrebbe essere autori di un componimento scritto di terza primaria o di un ricamo a punto e croce sulla stoffa. 
Si è autori di tutto quello a cui si dà nuova vita.

Diverso è il ragionamento inerente al termine scrittore. Anche in questo caso, a corredo del mio intervento nella questione, chiedo soccorso alla lingua latina.

Scriptor, stando alla natura originaria del significato del verbo dal quale proviene (scrībo, scrībis, scripsi, scriptum, scrībĕre), è colui che scrive, compie l’azione pratica di fare segni, disegnare utilizzando uno strumento. Li incide insomma, in senso lato.

Facile allora. Potremmo definirci tutti tranquillamente pure scrittori, oltre che autori, direste.
Invece no, qui si devono fare le pulci alle parole ed analizzare il verbo di origine, scrībo appunto, così come prima abbiamo testato il significato di augěo.

Con il verbo scrībĕre si indicava proprio l’atto pratico di segnare, di tracciare linee. Scrībĕre è dunque, a mio avviso, atto posteriore ad augēre. 

Potreste obiettarmi: se è vero che siamo autori, siamo anche scrittori. 
In effetti noi tracciamo linee (su foglio o su tastiera poco importa). Qui, tuttavia, a mio parere, si rende necessaria una ulteriore distinzione: siamo davvero scrittori solo per il fatto di saper comporre linee? Se fosse così, tutti dovrebbero esserlo, pure i bambini di seconda o terza primaria che scrivono frasi semplici. Tutti!  Eppure non ci sogneremmo mai di definire scrittore colui che ci passa un post-it dove ha precedentemente segnato i nomi dei prodotti in offerta al supermercato!

Il termine scrittore è passato ad evidenziare, nel corso dei secoli, la persona che ha affinato le capacità di trasporre graficamente parole, che riesce ad organizzarle in maniera originale.
Scrībĕre, ha avuto un'evoluzione, passando ad indicare la forma più nobile di quell'originaria arte pratica. Colui che scrive, dunque, deve saper gestire la regia delle parole che mette giù, organizzandole in coreografie dettate dal gusto personale e dall'ispirazione. 
Scrittore dunque non è soltanto colui che partorisce un testo, no, quello semmai è l'autore che, come abbiamo detto sopra, produce una trama, dei personaggi, crea qualcosa dal nuovo, insomma. 
Scrittore è colui che organizza un contenuto, precedentemente messo alla luce, in una forma elegante, facendo in modo che le frasi possano infervorare ed entusiasmare il pubblico.

Più semplicemente: lo scrittore deve sapere quello che fa, deve essere abile, bravo, esperto a muovere le sue pedine, le parole appunto. La materia di scrittura è quella che proviene dall’ispirazione antecedente all’atto pratico del trasporre su supporto. Chi esegue l’atto pratico deve essere esperto. 
Insomma non basta aver ideato una storia, aver dato vita a personaggi, averli posizionati in una determinata ambientazione, per essere definiti scrittori.

Stando a questa mia analisi, dunque, autore e scrittore sono termini che hanno significato differente e la loro utilizzazione non può essere giustificata in nome di una sinonimia che, all'origine, non esiste. 
La preferenza dell'una anziché dell'altra espressione può essere dettata da una soluzione di comodità, lo ammetto anch'io. È bene, tuttavia, essere consapevoli della loro sostanziale differenza.

L’abilità dello scrittore è posteriore a quella dell’autore.

L’atto dello scrivere è opera più specialistica di quella del creare. 

Insomma tutti possiamo plasmare tutto. Solo alcuni sanno trasporre bene le parole su supporto: gli scrittori.

Augěo, auxi, auctum...scrībĕre

Concetta D’Orazio

lunedì 1 settembre 2014

Neologismi autunnali



La casa torna a rianimare gesti e profumi soliti. L'atmosfera è lunga e sarà nostra compagna di inverno.

Il brodo buffeggia la sua schiuma nella pentola mentre il latte fumeggia, caldo, nelle tazze per la merenda.

I panni da stendere aggromeggiano nella vaschetta, flosci e mogi, per riprendere la sagoma delle corde su cui asciugare.

La mamma boffoneggia di qua e di là, senza sosta e con affanno.

Quel raggio, là fuori, non è più rigolucevole come ieri. S'intimidisce e sospira.

Oggi, l'autunno ci saluta, occhiaggioso.

Concetta D'Orazio

Sulla natura mutevole della consecutio e sul dislivello temporale delle idee - Il periodo ipotetico

Attenti alla consecutio! Quante volte lo abbiamo sentito ripetere e quante volte lo abbiamo a nostra volta raccomandato, appena giunti a quel soglio maturo di consapevolezza linguistica?

La giusta corrispondenza fra tempi verbali, la consecutio temporum appunto, richiede non solo un impegno sottile, da parte di chi scrive, nel rispettare le regole che la governano, ma pure una volontà di rimanere fermi in certune posizioni, quando si è consapevoli di aver scelto una determinata costruzione verbale, dettata da una personale necessità.

Sì, chi scrive ha naturale impellenza di voler trasporre in maniera statica, su foglio reale o virtuale che sia, il flusso in movimento dei suoi pensieri.
Le idee, tuttavia, nello scorrere incessante, non se li pongono proprio certi problemi. Non si preoccupano di andare in fila, di scalare la marcia. Non sanno se sono in regola con il foglio, rosa o bianco non importa, o se la loro posizione è di contemporaneità, in relazione a chi le segue e precede. Men che meno sono disposte a tornare indietro, per recuperare un eccessivo rispetto di anteriorità o, figuriamoci, si spingono avanti a scoprire una annoiata posteriorità.

Le idee sono irrequiete.

Mi direte: i pensieri in testa vanno così, a loro piacimento, ma colui che decide di trasporli sul foglio deve essere in grado di organizzare, li deve gestire, articolare, regolamentare. Come farà il lettore a poter ricavare un'impressione, benevola o malevola, da quel che si trova a leggere appunto, se non è in grado prima di tutto di comprenderlo?

E qui sono d'accordo. Come si potrebbe non esserlo?
L'autore deve lavorare come un abile regista: è necessario che si impegni a traslocare quei pensieri, rendendoli comprensibili a tutti. Per riuscire in questo, ha necessariamente bisogno di incanalare le frasi che gli arrivano dal cervello in quella complicata ma efficacissima macchina di resa scritta che trova la sua massima espressione nella consecutio temporum.

La consecutio, così per riassumere qui, in sintesi stretta, come ben sappiamo, regola i tempi verbali e il loro rapporto, considerandoli nel contesto delle proposizioni in cui sono inseriti, reggenti e subordinate.
La cosiddetta proposizione principale o reggente è quella che amministra le sue sottoposte, ancelle le diremmo, le proposizioni subordinate appunto. Queste ultime non possono fare quello che vogliono.
Scelto un tempo nella principale, di quello poi dovremo tenere conto nelle subordinate, naturalmente tenendo pure presenti i vari rapporti di anteriorità, posteriorità o contemporaneità.
Fin qui, tutto bene ed anche semplice, direi.

L'affare si complica quando ci troviamo a dover gestire periodi macchinosi, primo fra tutti il periodo ipotetico.

Questo è il costrutto del presumibile, in cui vengono anticipate le possibili conseguenze derivanti da una causa ipotizzata.
In tale periodo l'ipotesi è anticipata in quella frase detta protasi, nella quale viene espresso il fatto ipotetico (se Maria lo avesse conosciuto) e perfezionata nella seconda parte, chiamata apodosi, in cui si illustra la conseguenza (sarebbe riuscita a comprendere).

Non sono interessata a riassumere qui i caratteri e le peculiarità del periodo ipotetico e la diversa costruzione a seconda che l'ipotesi sia vista come possibile (periodo ipotetico della possibilità), impossibile (periodo ipotetico dell'irrealtà) o reale (periodo ipotetico della realtà). In Rete si trovano tanti schemi in cui sono illustrati i modi utilizzati e i vari tempi verbali che regolano le varie strutture.

Quello che mi preme approfondire, soprattutto per ricollegarmi alle considerazioni iniziali di questo articolo, è riuscire a capire quanto un costrutto tutto sommato così complicato possa e debba essere obbligato nei limiti della consecutio temporum. Non mi riferisco alla relazione fra protasi ed apodosi che deve essere necessariamente rispettata.

Cosa succede se un periodo ipotetico non è in perfetta concordanza con i tempi delle proposizioni inserite in uno stesso brano?
Anche in questo caso mi aiuterò con l'esempio, del tutto casuale, utilizzato prima, perfezionandolo:

Paola sorseggia il suo caffè. Passa una mano fra i capelli, raccoglie la forcina finita sul pavimento. Aggiunge un altro cucchiaino di zucchero. Riflette. Ora deve solo pensare al suo problema, proprio a quello che Maria sarebbe riuscita a comprendere. 

In questo periodo in cui tutti i verbi sono al presente indicativo, il condizionale passato (sarebbe riuscita) potrebbe sembrare fuorviante. Come? Ci si potrebbe chiedere: Paola compie tutte le azioni al presente fino a quando proprio un'azione contemporanea (Ora deve pensare al suo problema) viene messa in relazione con un condizionale passato (che Maria sarebbe riuscita a comprendere).
In realtà, anche se la concordanza verbale del periodo non sembra "incastrare" per bene tutti i tempi, il condizionale passato ha qui, e soprattutto nella mente di chi scrive, una sua spiegazione.
In realtà, la frase che Maria sarebbe riuscita a comprendere costituisce la apodosi di un periodo ipotetico irreale, la cui protasi è se lo avesse conosciuto, che l'autore ha volutamente omesso per motivi suoi di trama e di stile.

Provate ora a considerare come il tempo passato trova una spiegazione, alla luce del perfezionamento del periodo ipotetico in cui la frase è inserita.

Paola e Maria non compiono azioni contemporanee. Paola fa una valutazione al presente, nel ricordo di un'azione passata di Maria.
È chiaro che oggi Maria non ha compreso: in passato (ieri, il mese scorso ma anche qualche minuto fa), non ha conosciuto il problema di Paola.

Vi faccio l'esempio del periodo completo, introducendo anche la frase lasciata in ombra da chi scrive:

Paola sorseggia il suo caffè. Passa una mano fra i capelli, raccoglie la forcina finita sul pavimento. Aggiunge un altro cucchiaino di zucchero. Riflette. Ora deve solo pensare al suo problema, proprio a quello che Maria sarebbe riuscita a comprendere  - se (quella volta) lo avesse conosciuto -

È tutto più chiaro adesso.

Chi scrive non può concordare il condizionale agli altri tempi al presente, contenuti nelle frasi del brano, perché deve prima soddisfare l'esigenza di perfezionare un periodo ipotetico irreale di cui ha omesso volutamente la protasi, per ragioni sottese alla conduzione della trama.

Possiamo finalmente considerare che quello che dunque a prima vista può apparire improprietà, spesso non lo è.
Per esserne certi, naturalmente dobbiamo considerare il contesto in cui frasi e periodi sono inseriti.

La consecutio temporum è un sistema perfetto di norme di collegamento verbale che deve essere rispettato.

Ci sono casi, tuttavia, come nell'esempio riportato, che devono condurre chi legge ad una ricostruzione dei motivi che hanno spinto l'autore a quella che potremmo impropriamente definire "variazione sul tema".

Insomma, la lingua italiana, lo abbiamo più volte ripetuto, è capricciosa: spesso ammette divagazioni sul tema, personali, che è necessario che chi legge recepisca, valutandole e soppesandole.

Naturalmente le divagazioni possono essere accettate solo quando non sono errate, cioè non contravvengono alle regole grammaticali!

Concetta D'Orazio