sabato 17 aprile 2021

La lingua italiana in agonia

 Una spietata, ahimè inesorabile, agonia sta consumando la lingua che i nostri padri ci hanno consegnato, limandola e perfezionandola nel tempo.


L'italiano è ormai giunto ad uno stadio terminale. Secoli di salvaguardia, di ripetizioni e di coniugazioni, di segni rossi sui compiti in classe, buttati nel gabinetto.

È stato sufficiente che qualcuno dicesse che scrivere un messaggio sulla tastiera di un telefonino, limitato nei numeri e nei caratteri, fosse più importante che una sana e corretta ortografia, per dare inizio alla fine. 
Alla fine della lingua italiana.

Come se per dire "sto bene, arrivo" fosse necessario accoppare un numero di inconsapevoli vocali, beffandosi di qualunque segno di interpunzione.
E ai messaggi sul cellulare hanno fatto seguito quelli sulle bacheche virtuali dei social.
Le storture hanno avuto il sopravvento, ci si è sentiti improvvisamente autorizzati a scavalcare, quasi con orgoglio, le regole basilari che hanno fatto illustre la nostra lingua.
Come per sortilegio malvagio, sono sparite le lettere maiuscole, non giustificate da alcun segno di punteggiatura. Sì, fare una pausa nel discorso ormai è diventata azione obsoleta.
In compenso hanno fatto irruzione sulla scena numerosi altri segni che, fino a questo tempo, avevano ricoperto un ruolo marginale nell'economia della costruzione delle parole. Le cappa, per esempio.

Così tanti altri simboli strani, comparsi di recente ed assurti a ruolo legittimo di #accompagnatori di parole.
La mostruosità non concerne soltanto l'uso dell'ortografia ma si è allargata anche a coinvolgere l'aspetto propriamente sintattico della questione. 

Chi ha detto che i soggetti devono essere sempre concordati con i verbi o che i complementi meglio che siano presenti ed appropriati?
Forse un tempo ma non oggi. 
Ora si scrive l'essenziale, cosa volete che interessi degli inutili complementi? Lo spazio è poco, il numero delle lettere limitato. Non si può strafare.

Se l'estensione a disposizione per l'espressione scritta è ristretta, tanto vale restringere pure le proposizioni, lasciandole esigue, ridotte all'osso.
Tutto ciò mi provoca dispiacere, ancor di più se si considera che questo stravolgimento non è da imputare unicamente a "penne giovani", vale a dire alla maniera di scrivere che si sta affermando tra le nuove generazioni. 
No, il rammarico è aumentato dal fatto che fra i sovvertitori della lingua ci sono pure tanti adulti, tra cui persone acculturate, insegnanti, insomma proprio chi dovrebbe difendere a spada tratta la conservazione del nostro idioma.

A questi dico: vi costa tanta fatica scrivere con giudizio? È troppo impegnativo lasciar scorrere qualche virgola ogni tanto? 
Che coscienza avete a piantare in giro tutte quelle cappa? E come acconsentite al sacrificio delle vocali? 
Proprio voi che avete l'obbligo di insegnare vi permettete di sgarrare?

Concetta D'Orazio



mercoledì 14 aprile 2021

La condivisione veloce delle informazioni

La lingua latina, dicevo tempo fa, è viva e fresca. 


La cultura classica non soltanto ha tratto giovamento dalle nuove possibilità offerte dalle moderne tecnologie, in termini di archiviazione e conservazione delle notizie, delle fonti e dei reperti storico-archeologici ma riscopre nuove splendore, per ciò che concerne l'uso, direi quasi redivivo, delle sue potenzialità.

Le risorse che un tempo, non molto trascorso, erano limitate a gruppi ristretti di studiosi del settore, quali la consultazione di archivi e biblioteche, ora sono alla portata di tutti e fruibili in larga misura gratuitamente. Possiamo disporre dei testi in latino e greco antico, della loro traduzione. Abbiamo la fortuna di poter condividere immagini, pensieri, opinioni sugli argomenti inerenti alla cultura classica.Esistono dizionari online, enciclopedie gratuite, pure in lingua antica. 
Possiamo addirittura usufruire di applicazioni che ci rendono più semplice scrivere lettere ed accenti.

E soprattutto ci sono le persone che si confrontano, in un dibattito pressoché immediato, pur nei limiti delle varie progressioni del fuso orario.Come sarebbe stato possibile, poco più di un decennio fa, dissertare di un qualsiasi argomento e farlo in lingua latina? Lo si poteva fare attraverso uno scambio epistolare privato o come trattazione di tipo specialistico su scritti di settore. 
I tempi erano lunghi, aumentati dalla distanza delle informazioni e dunque dalla difficoltà di condivisione.

Oggi è sufficiente un click e e spartire con altri il risultato delle proprie ricerche, o semplicemente dei contenuti trovati in Rete, è atto immediato.Tutto questo è possibile in ogni ambito scientifico. Lo è pure in campo umanistico.
Oggi ci si può loggare ad una qualche piattaforma di "scambio sociale" e trovare persone che salutano con ave atque vale, oppure ringraziano con un tibi gratias ago

L'antico che ritorna?Direi piuttosto l'antico che si muove e diventa tangibile.


Concetta D'Orazio

Quando le lingue classiche ci aiutano: αὐτός, ἐκεῖνος, οὗτος

La lingua italiana è compiuta: non esiste emozione, concetto, espressione, pensiero che non possano essere resi con una parola oppure con una articolata perifrasi. 

Insomma, nella redazione, niente deve essere lasciato al caso perché il caso produce confusione e la confusione genera errori.

Chi scrive per un pubblico deve necessariamente essere consapevole della grande ricchezza di sfumature che il nostro idioma ha.
A maggior ragione, chi scrive per trasmettere emozioni non può ignorare la regola che io giudico fondamentale per la redazione di un testo: impegnarsi a rendere viva e vera l'immagine che stiamo dipingendo con la penna.
E come possiamo rispettare questa regola? L'unico strumento che abbiamo è la parola

Della parola dobbiamo utilizzare tutta la profondità. Così dobbiamo godere di tutta la generosità.
Pure della rotondità toccherà tenere conto.

La ricchezza della lingua va, tuttavia, perdendosi sempre più nell'esperienza molto sintetica della comunicazione attuale.
Avevo già espresso le mie preoccupazioni a riguardo, in un articolo.
In un altro brano, invece, mi ero soffermata ad analizzare l'impoverimento della lingua italiana, già per altro "assottigliata" nelle gradazioni di significato, rispetto al latino.

Per evitare di proseguire lungo questa via decadente di riduzione e impoverimento dei significati e dei significanti toccherà tenere presente, come al solito, la ricchezza semantica delle lingue classiche. Inutile dire che sarebbe opportuno anche imitarla questa ricchezza o, quanto meno, adoperarci a non farla andare perduta.

Qualche tempo fa, riflettevo su quanto noi "moderni" stiamo diventando pigri nel cercare soluzioni alternative a termini di uso frequente. Fra questi, il primo posto ahimè in quella triste graduatoria di depauperamento, ci sono senza dubbio i pronomi, soprattutto i dimostrativi.

Il pronome più utilizzato (anche troppo) è: questo
Siamo diventati così indolenti che lo adoperiamo sempre, a volte addirittura in sostituzione di quelloquasi che la parlata veloce e quotidiana ci autorizzi a non tenere conto della differenza semantica.

Quante volte è capitato di ascoltare o leggere frasi del tipo:

Cosa mi dici di questo? 

All'apparenza la frase sarebbe corretta, se non fosse che colui che la sta pronunciando si riferisce ad un uomo (o ad un oggetto) non presente o comunque non vicino agli interlocutori, bensì lontano nel tempo e nello spazio. 
La giusta espressione sarebbe stata dunque: 

Cosa mi dici di quello?

Ribadisco che per cercare di arginare il fenomeno dell'impoverimento della lingua italiana, occorre tenere presente l'esperienza delle lingue classiche.
A proposito dei pronomi dimostrativi, in greco e in latino si utilizzavano diverse forme per le più svariate occasioni.

In particolare il greco, oltre ai due pronomi corrispondenti ai nostri questo quellohic ille in latino, ne aveva anche altri.

ἐκεῖνος, ἐκείνῃ, ἐκεῖνο = quello, quella, quella cosa = ille, illa, illud.
οὗτος, αὕτη, τοῦτο questo, questa, questa cosa = hic, haec, hoc; iste, ista, istud.
ὅδε, ἥδε, τόδε = questo, questa, questa cosa = hic, haec, hoc.
αὐτός, αὐτή, αὐτό = stesso, stessa, stessa cosa = ipse, ipsa, ipsum.

A questi si aggiungevano altri pronomi. Vale la pena di ricordarne alcuni: τοσοῦτος (tanto grande), τοιοῦτος (tale), τηλικοῦτος (di tale età) e così via.

Ho portato l'esempio dei pronomi ma potrei aggiungerne molti altri, a dimostrazione che, purtroppo, con l'avanzare dei tempi, l'espressione verbale perde sempre più di intensità e di ricchezza lessicale.


Concetta D'Orazio

Latino, italiano e la Social espressione

 




Le lingue si evolvono naturaliter. La lingua italiana è diretta conseguenza di quella latina ma non per essersene distaccata in maniera decisa ed improvvisa.
Il passaggio dal latino alle lingue romanze è stato graduale.  
La successione da un tipo di codice, parlato e scritto, ad un altro viene costantemente alimentata, senza che noi possiamo esserne immediatamente consapevoli.
Accadeva così che il latino non diventasse subito italiano ma attraversasse un periodo di trasformazione lento ma necessario. 

Il latino classico si ammorbidì lentamente nelle parlate di quelle persone che, per abitudini di vita e di lavoro, conducevano la loro esistenza lontano dai luoghi classici della diffusione del sapere.
Contadini e persone del popolo, vulgus, iniziarono, a poco a poco, a cambiare alcuni termini, ad "addensare" i dittonghi che caratterizzavano le desinenze dei casi della declinazione della lingua latina. 
Sì preferì così, per praticità e per velocità, porre attenzione a quanto si ascoltava e si comunicava verbalmente, dunque alla pronuncia, piuttosto che stare a preoccuparsi della lunghezza delle vocali o della desinenza delle  parole scritte.
A saper leggere e scrivere erano pochi. La moltitudine, invece, ascoltava e parlava.
Si creò un doppio canale di comunicazione: quello del latino ancora "nobile", utilizzato da persone colte e di chiesa e quello della nuova lingua che dal vulgus prese il nome di "volgare" appunto, in cui si esprimeva il resto del popolo, non colto e quasi sempre analfabeta.
Le due realtà di espressione, latino e volgare, continuarono a coesistere per molto tempo.

Di cambiamenti e passaggi, graduali e meno, ne abbiamo avuti tantissimi. La nostra lingua italiana si è trasformata fino ai nostri giorni.

Oggi però non sembra più tanto stabile, la lingua. La vediamo traballare, quasi alla stessa stregua del movimento ninnatorio che portò al lento passaggio dal latino al volgare. 
E se allora i luoghi idonei ad accogliere la novità della parlata più rozza, se confrontata con quella nobile dei letterati, furono le aeree rurali, oggi ci sorprendiamo a vedere come gli spazi dove più si assiste a scossoni rilevanti, ai danni della purezza della lingua italiana, sono quelli virtuali. 
Sì, è proprio qui, nei luoghi di aggregazione "moderni", nei Social e nella Rete in genere, che ci si permette di trasgredire, in nome di un non ben compreso novellino bisogno di velocità e stringatezza.
Quando le lettere si scrivevano su carta, con la penna, ci si imbarcava in operazioni epistolari che portavano via molto tempo. Nonostante ciò, si trovava anche il modo per riflettere su eventuali costrutti sbagliati e per rimediare, correggendo. 
Oggi si scrivono messaggi con il telefono o con il computer, si possono spedire e ricevere nell'immediatezza. 
Ogni cosa è veloce, velocissima. 
Non siamo però contenti, nonostante tutto, abbiamo bisogno di accelerare ulteriormente la nostra comunicazione.
Per questa necessità di tipo social abbiamo trovato una soluzione: comprimere le parole, sostituire le consonanti, eliminare le vocali, ridurle all'essenziale. 
Stiamo cambiando i connotati alla lingua italiana.

L'evoluzione della lingua è diventata, in realtà, involuzione.

Un ritorno al contratto, all'essenziale, quasi come lo era quel primitivo volgare.
Non disperiamo (ironico), male che vada, l'involuzione potrà riportarci a dover declinare le parole in latino.
Latino - volgare - lingua italiana. / Lingua italiana - social espressione - latino.
Non tutte le involuzioni vengono per nuocere.





Concetta D'Orazio

Il latino è vivo.

 




Ormai tanti anni fa, la prima volta, che scrissi "latino" nella barra di ricerca di un Social, lo  feci quasi per scherzo. Figuriamoci!Quello che scoprii, inutile dirlo, mi piacque molto. Trovai comunità virtuali di studiosi e appassionati che componevano post in latino, condividevano link a pagine di cultura classica, di filologia, di storiaE fu così che vidi il latino non più rigido e senza tempo, men che meno inanimato, vivacizzarsi di nuova vita, quasi come alla fine di un letargo temporaneo.Le declinazioni iniziarono a ravvivarsi davanti ai miei occhi: la prima, stringeva l'occhio alla terza; vedevo il cum narrativo inseguire il de, che a sua volta non si staccava mai dall'ablativo. Ed esso correva. Correva così velocemente da rimanere sempre in testa. In assoluto. Un ablativo assoluto insomma.
Erano tutti affannati ma contenti.
E poi zompettavano, sperimentando un girotondo di quelli di tipo classico: utor, fruor e fungor si tenevano per mano, intonando strane melodie. Attorno ad essi. si succedevano, in ordine e con grazia, tutti i tipi di proposizione: c'era la consecutiva e c'era la finale. Vedevo poi l'ut con il congiuntivo. Ognuno provava passi nuovi ma tutti avevano un solo timore e rispettavano un solo comandante: la consecutio temporum.La lingua la conoscevo ma non riuscivo ad immedesimarla in quel contesto: un ambiente moderno, lontano, Social insomma.E chi l'avrebbe mai detto? Quelle parole, quei costrutti, lì, proprio lì. Quello che fu per me ancor più sorprendente è stato trovare persone che si esprimevano in lingua latina come se così parlassero correntemente tutti i giorni, a casa propria. Salutai e mi presentai. Da quel momento entrai anch'io nel foro latino più virtuale che avessi mai potuto immaginare.In un secondo tempo ho scoperto che tanti gruppi di  latinisti si trovano su Facebook. Ad essi sono iscritti persone che abitano in diverse parti del mondo. Incredibile. Loro si salutano, si nominano, si ringraziano. Sempre in latino.La scelta di scrivere in questa lingua li ricompensa con la possibilità che essa ha di esprimere le sfumature di significato, di uso e di  direzione delle parole.Avete presente quante sono le soluzioni, tanto per fare un esempio, per il sintagma verbale "dico"? Utilizziamo aio, ma anche dico. Sceglieremo di scrivere loquorferoinquam, narro  e altro ancora, a seconda di quanto viene riferito negli altri segmenti della frase.Il latino originario si presta ad indicare le azioni, i pensieri e le emozioni di ognuno in maniera variegata. Certo, dobbiamo anche pensare che, tuttavia, questa lingua ha pure i suoi annetti. Se li porta bene, forse anche troppo, ma qualche volta ha necessità di essere impinguata di nuovi vocaboli, laddove gli originali non siano adatti a delimitare e determinare con precisione situazioni e prodotti del presente. Gli amici latinisti però non si perdono d'animo e cercano di aggirare l'ostacolo, ricorrendo a perifrasi appropriate o a vocaboli di nuovo conio. In situazioni estreme adattano anche le parole primitive a circostanze moderne.Capita che le belle foto che qualche amico ha pubblicato si trasformino in pulchrae (o pulcherrimae all'occasione) imagines. Solo per fare un esempio.Mi rintrona nella testa quella brutta figurazione che delle lingue classiche ci hanno dato, definendole "lingue morte". Mi chiedo: come si fa a definire esanime un idioma che è invece così pieno di spirito? Che accomuna? Che favorisce?In rete il latino sta recuperando tutta la sua vivacità.E che questo sia chiaro, da cum dividere, insomma!Concetta D'Orazio