martedì 30 dicembre 2014

Le parole che non mi permetto di utilizzare con troppa leggerezza




Non uso mai il termine cultura, una parola molto importante, troppo impegnativa.
Non la utilizzo con disinvoltura, nella sua valenza di complesso di conoscenze ed erudizione.

Quando ascolto persone che se ne impadroniscono, corro via, lontano.
Sì, leggete bene, ho scritto proprio “impadronirsi” della cultura, intendendo il significato di questo verbo nel senso di “appropriarsi con inganno”.

Chi può avere questa presunzione, cioè ritenersi detentore di cultura? A mio parere, solo chi è ben lontano dal frequentarla davvero riesce a pronunciare a cuor leggero questo termine. Se proprio ne avesse avuto esperienza, per averla incrociata nelle parole scritte o cantate, nelle azioni difese o nelle battaglie sostenute, nelle immagini guardate o ascoltate, in giro per il mondo e dentro a cuori illuminati, ci penserebbe tre o  mille volte, prima di permettersi di scomodare questo vocabolo e, peggio ancora, di farsene strenuo paladino. Avrebbe un gran rispetto per la pregnanza di volontà e l’abbondanza di vicissitudini meritevoli di lode, insite nel sentimento proprio di questo termine.

Il verbo cŏlo (cŏlis, cŏlui, cultum, cŏlěre,) indicava, in latino, l’azione del coltivare, ma non solo nel semplice significato di piantare e aspettare la crescita del frutto, bensì nel senso di curare e dunque adornare, abbellire. Seguire con apprensione, senza mai smettere.

Cultūra, pertanto, era, ed è, quanto ottenuto da una azione che non si risolveva nell'immediatezza del breve tempo della semina-crescita-maturazione, bensì nella preoccupazione, continua e senza fine, di accrescere il proprio sapere, in relazione a disparati campi. 
La cultura non si esaurisce in un momento, breve o lungo che sia, ma vuole essere seguita sempre, senza limiti cronologici che possano giustificarne un eventuale possesso.

Va da sé che chi la sbandiera ai quattro venti, non solo non la possiede ma pure non l’ha mai vista nell'operato degli altri.

Allo stesso modo, in vero, anche chi sottolinea con enfasi di averla incontrata in questo o in quel posto sta solo tentando di farsi bello. Con la cultura degli altri.

Non si arriva ad ottenerla, la cultura. E una cosa che non si padroneggia non può essere esibita, tanto meno ci si può presentare in qualità di strenuo difensore o di illuminato detentore.
Riconoscere, tuttavia, di averla incontrata in alcuni fatti o nelle testimonianze altrui, è azione di grande umiltà
Ma come si può riconoscerla senza sbandierarla? 
Sì, si può. Rimanendo in silenzio e non pronunciando parole che sono troppo “grosse” per noi. 
Si rimane in silenzio, umilmente.

E umiltà è sicuramente una caratteristica dell’individuo colto, di colui che non dice “io” (ho fatto, ho condotto, ho capito, sono riuscito).

Io non parlo di cultura. Non sono in grado di farlo.
Mi limito ad apprezzarla nelle persone che la mostrano nel silenzio. 
E lo faccio in silenzio, pur’io.

Concetta D’Orazio

Il 2014, i Pionieri e l'anno consumato

Questo è un messaggio che ho pubblicato stasera sulla pagina del gruppo dei Pionieri.
Un riassunto o una sintesi di un anno consumato.

Cari amici, l'anno è arrivato alla fine. Questa volta non mi va di stare a fare conti e resoconti, anche perché le nostre attività sono ferme da un pezzo e, dunque, ci sarebbe ben poco da tirare le somme. Rispetto all'anno passato (2013) e a quello prima (2012) avrete notato un mio graduale distacco dalle cose del Self Publishing. Non tanto da quelle strettamente personali ma sicuramente da quelle che prevedevano un’azione portata avanti a nome di gruppo più o meno compatto. Non posso dire che non mi interessi più nulla, sarei ipocrita ad affermarlo. La verità è che mi sento molto demotivata a proseguire quella che fu un tempo una “campagna” che ci vedeva tutto sommato uniti o comunque incentivati da un interesse comune, quello per l’auto-pubblicazione o per la scrittura in genere. Oggi, a distanza di quasi tre anni dalla nascita della primitiva comunità dei Pionieri, posso affermare, con poco orgoglio, che un fallimento ogni tanto deve essere accettato. E lo accetto.
Forse voi no, ma io mi sento così, rovinosamente sfiduciata. E lo scoramento è nei confronti di quella che fu un tempo una realtà collettiva, sia chiaro.
Ognuno di noi ha preso la sua strada e dunque lo spirito comunitario probabilmente non ha più ragione di essere. L’originario entusiasmo verso la costituzione di una concretezza che ci potesse raggruppare in molti, sotto l’egida di una comune esigenza di visibilità, ha ceduto il posto ad intraprendenze personali e limitate. Di alcune di esse ho apprezzato l’evoluzione, di altre non posso dire la stessa cosa. E infatti non la scrivo.
Quello che è sicuro è che non provo nessun interesse per iniziative che abbiano come finalità la gretta competizione o l’asettica e sterile imitazione di un’idea, di un lavoro, di un’iniziativa che altri hanno ideato/lavorato/organizzato prima.
Che l’anno nuovo sia buono per molti.

lunedì 29 dicembre 2014

Un pensiero per la fine dell'anno e l'inizio del nuovo

Cari amici, 
volevo segnalare la promozione gratuita del mio Nero di memoria, nei giorni dal 30/12/2014 al 01/01/2015

Antonio e Filomena, una storia nella Storia.
Amanti lontani, esistenze separate dalla guerra.


Seguendo questo link avrete modo di leggere la storia della nascita del romanzo.

Come nasce Nero di memoria
Le storie che avevo fatte mie, nel corso della esistenza, in quella parte della esistenza che è di prima vita, sono state il primo anello di collegamento al mio scritto. Queste storie però le custodisco solo grazie al prodigio del ricordo, prodigio che, ahimè, con il trascorrere degli anni, è destinato a perdere di intensità e ad esaurirsi. [...]



domenica 28 dicembre 2014

La fragranza dell'assenza




Maria Celeste: una donna dalla sensibilità marcata. La sua anima è lontana dal quotidiano confronto con la vita di tutti i giorni, fatta di lavoro, amicizia ed un legame di affetto superficiale.


Trascorre un'esistenza "di forma", dietro la quale nasconde i suoi ricordi e un dolore misterioso. 
L'affanno che accompagna ogni suo movimento trova una spiegazione lontano, nel passato di una relazione che si è interrotta in seguito a motivi apparentemente inspiegabili.

L'angoscia accompagna ogni suo gesto e si ripercuote sul rapporto che la giovane farmacista ha con il suo corpo.
In una sorta di tortura contro il suo essere, Maria Celeste costringe il fisico a fare a meno del nutrimento necessario.

Le note, che ascolta dal pianerottolo della sua abitazione, la accompagnano a trovare uno strano biglietto che qualcuno ha infilato nella cassetta della posta.

La fragranza dell'assenza, rimpianti, rimorsi e una nota di dolcezza.


#dolcezza #amore #tenerezza #ebook 


giovedì 18 dicembre 2014

Cucina abruzzese dalle finestre



Tu prova a passare davanti alla finestra di una cucina abruzzese, verso le diciassette, diciassette e trenta, nel periodo più soporifero dell'anno, nell'autunno bicolore, a gradienti.

Dietro il vetro, potrai osservare nugoli di farine, sbuffati nell'aria, alzarsi e poi velocemente ricadere su spianatoie vecchie di cent'anni. Quelle che le nonne tre volte nonne hanno lasciato alle pronipoti, che a loro volta hanno ceduto alle cugine, che le hanno imprestate alle comari.

Sì, perché noi siamo moderne, ma con stile. Lo stile dell'abitudine e del riguardo alle tradizioni.
Siamo moderne un po' antiche, ecco. Come dire: un occhio al Social e uno al matterello.

Che poi abbiamo tutti i nostri pc, le nostre belle tavolette elettroniche, da cui soffiare via ogni tanto quei residui della farina di cui sopra.

A me è capitato pure, lo confesso, di dover grattare un'eccedenza di ghiaccia che avevo preparato per decorare i biscotti. Quella poltiglia di zucchero a velo, mescolato all'albume, con un paio di gocce di limone. Sì, quella che si chiama ghiaccia reale
L'ho trovata appiccicata alla tastiera del portatile. 
Dev'essere accaduto quando mi sono affacciata sul Web, a controllare le notifiche. Lo faccio, ogni tanto, così tanto per non sentirmi troppo antica. 
Mi si è incollata alla T, la ghiaccia monella. Ma poco, eh. 
Una goccia di ghiaccia.

Le cucine abruzzesi, dicevo, le vedi dalle finestre, passandoci davanti, ma anche soltanto annusandone gli effluvi da poco lontano. Il naso riconosce le mezze tinte dei profumi culinari. Proprio quelli che riescono ad attraversare le barriere delle finestre. Le finestre di prima.
Le narici individuano gli aromi salati, amalgamati con la pasta madre.
Oppure sentiamo (le sentite?), inspirando dentro, le comodità gustose di zuccheri mescolati ad olio buono, o ad un burro ammorbidito.

Le cucine, viste da fuori, hanno la capacità di trasmettere quel sentore, non solo profumato, ma pure colorato, che ci riporta ai nostri anni belli. Quelli dell'infanzia e della età adulta giovane. Quelli di quando non c'era ancora l'oppressione che avvertiamo oggi, trasmessa in tv, sottolineata sul Web: il senso cupo di una società che annaspa. Di una malinconia globale che travolge gli individui e li spinge ad estraniarsi dal mondo. 
E a volte pure verso da sé stessi.

Tu prova a passare davanti a quei pertugi da cui, in autunno alla fine, puoi osservare il calore della quotidianità, illuminato dalle lampadine precoci di un primo pomeriggio a metà settimana.
Potrai osservare sorrisi distaccati da quel grigio di rassegnazione che ormai, oggi più di ieri, avvolge il mondo.

Concetta D'Orazio









mercoledì 17 dicembre 2014

La "Fragranza dell'assenza" - Vi presento i protagonisti - Maria Celeste

Qualche giorno fa avevo iniziato a raccontarvi di Maria Celeste, la giovane donna protagonista del mio ultimo libro.

È molto bella e cura il suo essere esteriore con scrupolo.
Anche troppo.

Maria Celeste condanna il suo corpo a privazioni irragionevoli. Si accorgerà delle sue esagerazioni quando il suo fisico risponderà con rabbia a quelle astinenze.
Continuerà, tuttavia, ostinata, a perseverare in quei comportamenti irragionevoli: è convinta di poter deviare così l'attenzione da quel dolore che le affligge l'anima, ormai da tempo.
Qui altre notizie.

La fragranza dell'assenza è online, in promozione per tutto il periodo delle feste natalizie.

martedì 16 dicembre 2014

lunedì 15 dicembre 2014

La fragranza dell'assenza - I protagonisti

I personaggi che la mia penna/tastiera ha da poco dato alla luce.
Quasi quasi ve li presento. Non tutti insieme però.


Maria Celeste

Chi è?
La mia protagonista è una giovane farmacista. Lavora con contratto a tempo determinato, vive a Roma. La sua è una esistenza ordinaria solo all'apparenza. Un grande dolore la tormenta e riempie di una strana fragranza le sue giornate.


È convinta di poter supplire all'assenza che devasta i suoi ricordi, rendendo piacevole il suo aspetto fisico. Si accorge che alcuni suoi comportamenti eccessivi la stanno rovinando, ma continua a perseverare in assurde privazioni. 
Un giorno si accorgerà che, suo malgrado, sta iniziando a seguire insolite disposizioni.



Natale: spese pazze, austerità dimenticata

"[...] I Mentasecca si sono più che mai convinti che, ora, austerità di modi e di abitudini s’impone per tutti.
La signora sembra la più consapevole. Deve solo fare la spesa per la cena. Nel portafogli non ha messo nemmeno la carta di credito, per evitare ogni tentazione.
Un giro nel centro, tanto per guardare le vetrine. Diamine! Ci sono già le decorazioni. Fare un salto per il corso sarà rinfrancante, almeno per lo spirito.
Vedo quella donna, la osservo mentre cerca di mandare avanti le gambe che non riescono a muoversi, a causa dei piedi inchiodati al suolo. E mentre quelle, le cosce, bramano di avanzare, le sue estremità grassotte, rinchiuse dentro stivali con il tacco, tentano un ammutinamento.
Niente da fare, i piedi sono fissi e decisi, proprio lì.
Certo, quella è una vetrina [...]

(Da "Bozzette nei pantaloni",
Riprendiamoci il Natale)

domenica 14 dicembre 2014

I bollini di qualità

In paese le persone si conoscono tutte. Ci conosciamo talmente bene che abbiamo accettato una sorta di catalogazione immaginaria di tutti i vari compaesani.

L’archiviazione è il risultato di anni di osservazione condotta da dietro alle finestre, oppure dai tavolini del bar. 

(Da "I bollini di qualità", Riprendiamoci il Natale)






Pranzi di Natale

La verità!

"Nella bocca senti ancora il sapore grasso delle lasagne e del brodo obeso del giorno prima. Lo stomaco non ha digerito, lo fa con lentezza, alternando timidi ruttini a più copiose rimpatriate di nausea."

(da Postfazione di Santo Stefano, Riprendiamoci il Natale)




mercoledì 10 dicembre 2014

Le mie donne

Dicono che scrivo sempre di donne. Forse solo quello so fare, pazienza.
Io, però, le stimo pure, le ammiro. Le amo, le mie donne.

Le mie donne.
Inizialmente erano sette, come i giri: Iulia e Atte dell'antica Roma, accomunate da un destino di silenziosa complicità. Iolanda, la fanciulla del Medioevo, mi piace che rappresenti l'ingenuità dell'intelligenza. Adele, Dora, Isabella ed Ines sono ragazze dei giorni nostri: si specchiano e si confondono nella modernità spesso banale ed insensibile.

Si è poi aggiunta Filomena (Nero di memoria): giovane sposa dall'animo granitico e dall'affetto sincero, sia pure con tutte le debolezze proprie della natura umana.

Da pochi giorni, ad esse si è affiancata la nuova arrivata: Maria Celeste. La protagonista de "La fragranza dell'assenza" vive sospesa nel ricordo di un dolore. Colpevolizza il suo corpo e lo costringe ad astenersi dal cibo. È impegnata a far finta di condurre una vita nella norma. Un messaggio cambierà, all'improvviso, quella quotidiana messa in scena di vita.

Le donne. Le mie.


domenica 7 dicembre 2014

Ci difendiamo



Ci difendiamo: si dice così, no?
Tredici anni fa, a quest'ora, dormivo?
Sicuramente dormivo. Io dormo sempre quando sono nervosa. 
Dev'essere un mio modo per esorcizzare l'ansia. Io dormo.

Tredici anni fa, a quest'ora, avevo freddo? Oppure avevo caldo? Questo non sono in grado di dirlo perché, tredici anni fa, sempre più o meno a quest'ora, ho smesso di poter contare su quegli indizi sensoriali che, di solito, mi permettono di avvertire i cambi di temperatura. Che so: caldo, freddo, nella norma e venti moderati.

Le sensazioni le avrei riacquistate a fatti avvenuti, cioè a cerimonia e post cerimonia completati. Insomma, un paio di giorni dopo. 

Mi raccontarono, poi, a questioni accadute, che la giornata fu fredda. Non come adesso.
Me lo narrarono gli altri sì, perché io non fui in grado di avvertire quel gelo, neppure con la gonna lunga, bianca, un po' bianca, tendente al panna, o forse poco chiara, ampia, di pizzo e senza pizzo, con le spalline o con lo scialle coprente.
Insomma: come ero vestita?   

Pure le scarpe con il tacco mi avrebbero fatto male, se solo avessi avuto a mia disposizione tutte le reazioni fisiche su cui di solito posso contare, proprio quelle che mi fanno maledire il momento in cui ho avuto l'idea brillante di infilarmele ai piedi. Proprio quelle che mi fanno contare al rovescio, moltiplicare al millesimo e dividere con il resto...  le imprecazioni contro quei rari momenti di vanità femminile da cui mi faccio cogliere. 
D'altronde sono donna. Ma questo lo sai.

Allora però, come ho già detto, non le avvertivo, le sensazioni, e dunque il tacco e la scarpa elegante non mi sconfinferarono manco di pezza.      
                                                                           
Tredici anni fa, dicembre fu un Signor Dicembre. Sì, proprio come noi, quando diventammo signori. Entrambi. Che coincidenza!

Che impressione mi faceva sentirmi chiamare così, "signora". 
Oh, bella impressione me la fa anche adesso, ma forse solo perché leggo in quella carineria tutta la pesantezza dell'età. La mia. 
Oddio, anche la tua.

Insomma, ora concludo perché un po' mi è venuto sonno. E non sono nemmeno nervosa. 
...Sì, va bene, non me lo ricordare: ho una certa età. Per questo motivo mi viene da appisolarmi anche da sveglia e in assenza di ansia. 

Tredici anni fa, però, ero proprio bella. Me lo dicesti, ricordi?
Sì, va bene, ora me lo ripeti ancora. Ma io lo so, sono consapevole, lo fai per gentilezza. 
Non occorre che tu faccia finta. Credimi. A casa nostra gli specchi funzionano bene. Lo hai dimenticato? Funzionano così tanto che io ci passo davanti "di sguiscio", cercando di guardarmicisivimi il meno possibile.

Torniamo a noi. Cosa dicevo? Sì, spiegavo che sono passati tredici anni e questo mi fa un po' pensare. Cioè non mi fa pensare. 
Te lo dico domani. Ora non lo so. È tardi.

Vado a dormire ché domani non devo sposarmi.

Buon anniversario.


Concetta D'Orazio


sabato 6 dicembre 2014

La fragranza dell'assenza

Cari amici, a poco più di un anno dalla pubblicazione di Nero di memoria, sono felice di presentarvi il mio nuovo e-Book La fragranza dell'assenza.

Sinossi

Cosa contengono quei biglietti che Maria Celeste riceve da insoliti personaggi? Sono lettere, come quelle di una volta, all'interno di buste color panna. 
Perché la giovane farmacista ubbidisce in maniera incondizionata a misteriosi comandi, recandosi di volta in volta in posti diversi, facendo incontri così singolari? 

Vissuto e presente, in una giostra di attese e di rievocazioni, lungo un sentiero che è di tenerezza ma pure di sofferenza. Su tutto, l'ombra di un amore, di una felicità che ha lasciato il posto all'angoscia dell'abbandono. 

Un ricordo che si fa affanno e che sfoga il suo dolore sul fisico della protagonista, impegnata a mantenere un’eccessiva linea esile. 
Maria Celeste si aggira intorno alla sua solitudine, con l'unica compagnia di una fragranza: un’emozione che non coinvolge il solo senso olfattivo ma si espande a toccare quelli più nascosti nel suo essere. 




sabato 29 novembre 2014

Paesaggio natalizio: osteria



La pioggia si affaccia, poi cambia idea, tornando sui propri passi. Il cielo non la segue, rimane cupo, dello stesso sentore di umido.

Le gocce si allarmano per questa sua ritrosia e decidono dunque di imitarlo. Si rimettono per strada, lungo il sentiero che le farà precipitare, dall'alto in basso, seguendo quel loro inesorabile destino.

I vetri della mia finestra sembrano storditi dall'incessante picchiettio a cui sono sottoposti. 
Il temporale si è già presentato e, sulla scena, perfeziona le proprie mosse, intensifica le battute. Recita la sua parte migliore, aspettando applausi da un pubblico assonnato.
E batte e gira. E illumina e poi rimbrotta, facendo ripiombare il mondo nell'incertezza del tempo.

Nei sotto-scala o nei laboratori approntati in emergenza, nulla pare più gradevole che dimenticare le scosse dei tuoni e gli abbagli dei lampi con il lavoro delle mani che rispondono ai progetti di un pensiero ingenuo e rilassato, ma sincero.

La composizione finale, è ormai deciso, sarà quella di un paesaggio natalizio. In fretta si pensa: c'è questo, c'è quello. Si fa così e si fa perché
La prima idea corre subito al ristoro, forse per il fatto che risponde pure all'esortazione dello stomaco che, in queste atmosfere, non sostiene lunghi periodi di digiuno.
E voi avete ormai già pranzato da un paio di ore.
Il ristoro, dicevo: la prima costruzione del paesaggio sarà un'osteria.

La colla è sul tavolo, insieme al cartone, ai colori e alle tempere.
Si dovrà giocare di taglio e frattaglie: incidere le finestre, aprire le porte, squadrare tegole e mattonelle.

Qualche foto, ma non c'è tempo, prima di finire.


Colori e correzioni. L'opera prima è terminata. 

L'assaggio iniziale ha ceduto il posto alla perfezione. Si comincia con poco, due pezzi di carta e un po' di colore. 
Si dice sempre così e poi si termina ad assottigliare pure sfumature.

Ed ecco il risultato.





Concetta D'Orazio





lunedì 24 novembre 2014

Fuori dal libro, capitolo III - Cappa e spada

FUORI DAL LIBRO CAPITOLO III – CAPPA E SPADA

Questo articolo esce contemporaneamente su quattro blog:

FUORI DAL LIBRO foto x cap 3
FUORI DAL LIBRO
Capitolo III– Cappa e spada
(Voce narrante) Iolanda, Martin, Antonio e il Professore si inoltrano nel parco, percorrendo un vialetto illuminato dalla luce della luna che filtra fra gli alberi. Camminano silenziosi e assorti nei propri pensieri.
(Martin, indicando avanti, sulla sinistra) Guardate, c’è qualcun altro. Laggiù oltre quel cespuglio.
(Iolanda) Non vedo nessuno, Martin, il cespuglio mi è nascosto dalle ombre che quel ramo di quercia antica fa calare davanti al mio viso. Forse devo venire più avanti. Aspettatemi, le caviglie mi fanno ancora male e le forze sono poche.
(Professore) Dove è finito? Sono convinto anch’io, come Martin, che ci fosse qualcuno… Antonio, tu l’hai visto?
(Martin) Ecco! C’è proprio qualcuno, e non una sola ombra ma diverse. Mi pare anche di sentire dei rumori. Rumori metallici…
(Voce narrante) Iolanda corre a nascondersi dietro un albero. Non sopporta l’eco di quel rumore di metallo.
(Iolanda) Martin, Professor Knowall, Antonio: vi prego salvatemi. Sono venuti a prendermi di nuovo. Avanzano. Sentite il rumore delle catene? Cercano me, lo so. Vi supplico, aiutatemi.
(Martin) Non posso crederci. Sono spade quelle che luccicano ai raggi di luna. E il rumore viene dal loro incrociarsi. Sarà meglio tornare indietro.
(Antonio) Eccomi Iolanda, dammi la mano, stiamo insieme agli altri, saremo più protetti se rimaniamo uniti.
(Professore) Giusto, giusto, consiglierei prudenza. Rimaniamo in disparte e aspettiamo l’evolversi della situazione. Vorrei capire che succede, le fronde ci impediscono una visione ottimale, ma… Perbacco! Martin, hai ragione, sono spadaccini, stiamo assistendo a un duello in piena regola!
(Voce narrante) Alla luce incerta della luna si distinguono alcune figure impegnate in un combattimento all’arma bianca, in mezzo agli alberi. La tenzone si risolve in fretta, i componenti della fazione sconfitta fuggono rifugiandosi nel folto del bosco, mentre i vincitori urlano contro di loro frasi di minaccia e scherno. Sul luogo del duello rimangono quattro uomini che, dopo aver rinfoderato le spade, si complimentano fra loro del successo ottenuto dandosi vigorose pacche sulle spalle. Nel buio si distinguono le silhouette dei loro corti mantelli e degli strani cappelli che indossano.
Martin e il Professore avanzano un po’, Antonio li segue, tiene per mano Iolanda che cerca di nascondersi dietro alle sue spalle.
La giovane donna appare ora in un atteggiamento insolito, a metà fra lo spavento e la curiosità.
Chi sono quegli uomini misteriosi?
(Professore, sottovoce) Ehm, che dite, ci facciamo vedere? Ora mi sembrano tranquilli, ma fino a un minuto fa combattevano con delle spade vere… D’altra parte, se ci vedono prima loro forse è peggio.
(Martin, incerto) Potrebbero essere attori… In tutti i casi sarà meglio parlare con loro, visto che non c’è modo di nasconderci. Mi sembra che siano voltati proprio da questa parte…
(Professore) E non spingere Martin! Va bene, ci parlo io.
(Voce narrante) I quattro uomini, nell’ombra, si mettono in guardia sentendo le voci. Uno di loro si fa avanti sguainando la spada. Ora la luna rivela il suo aspetto. È un uomo molto robusto con i capelli lunghi e una folta barba ben curata, indossa stivali alti e ha una croce ricamata sulla pettorina. Lo sconosciuto si rivolge al Professore.
(Sconosciuto 1) Poffarbacco! Chi va là? Fatevi avanti felloni!
(Professore, alzando le mani aperte per far vedere che non ha intenzioni bellicose) Calma, calma, signori! Non c’è bisogno di agitarsi, noi siamo qui solo di passaggio, abbiamo notato la vostra, ehm… discussione di poco fa. Stavamo solamente passeggiando in questo bosco in cerca della strada di casa. Ci stavamo chiedendo se voi potevate indicarci la via.
(Sconosciuto 2, più magro del compagno e anche più giovane) Dove sono le vostre spade? A quale guardia appartenete? Non ho mai visto divise come le vostre. (va verso Martin e il Professore, mentre Antonio continua a restare indietro con Iolanda)
(Martin) Non indossiamo divise e non abbiamo armi. Ci siamo solo persi. Sapete dove siamo?
(Voce narrante) Iolanda si stacca dalle spalle di Antonio, avanza con cautela. Si volta verso il Professore.
(Iolanda) Questi due sono anche diversi da voi. Non appartengono al vostro tempo, immagino.
(Sconosciuto 2) Una dama! (Si toglie il cappello piumato e si inchina rivolto verso Iolanda)
(Voce narrante) Di fronte a quel gesto, la giovane sorride, divertita ed incuriosita. I suoi affanni sembrano essere svaniti.
(Iolanda) Chi sei?
(Sconosciuto 2) Mademoiselle, il mio nome è D’Artagnan, moschettiere del Re. e Voi, come vi chiamate? (Poi si volta verso i compagni della giovane e, con tono ben diverso, le chiede) Siete forse in pericolo? Questi tali…
(Iolanda) Il mio nome è Iolanda. Vieni qui, avanza un po’, ti faccio conoscere i miei compagni. Li vedi quei due che ci camminano a fianco e quasi si spintonano? Si fanno chiamare scrittori. Uno è Martin e l’altro è il professor Knowall, che però dice di essere anche un pensatore. Questo amico vicino a me è Antonio: è lui che mi ha spezzato le catene, sai?
(D’Artagnan) Chi vi aveva imprigionata? Richelieu, il maledetto?
(Iolanda) Il maledetto? Chi è?
(Professore) Iolanda, sei un po’ troppo giovane per sapere chi è il Cardinale Richelieu… o forse dovrei dire: un po’ troppo “vecchia”? (Riflettendo a voce alta) Interessante paradosso, ci sarebbe da discuterne a lungo…
(Sconosciuto 1, affrontando con fare minaccioso il Professore) Quindi voi conoscete il perfido Cardinale! Se è vero che io mi chiamo Porthos, Barone du Vallon de Bracieux de Pierrefonds, voi avete tutta l’aria di essere una spia di quell’anima nera!
(Iolanda) Vecchia io?
(Professore, arretrando) Non lo conosco, diciamo che ne ho sentito parlare, ma non ho niente a che fare con lui. (Rivolto a Iolanda) Cara ragazza, non voglio dire che sei vecchia, anzi, sei molto giovane, quello che intendo è che tu non puoi conoscere persone che sono vissute molto dopo l’epoca da cui provieni. Come dicevo si tratta di un paradosso temporale, in questo luogo la linea del tempo come noi la conosciamo non sembra essere valida. Ci sei tu che vivi nel tardo medioevo, poi ci siamo noi tre, uomini del ventunesimo secolo, adesso sono apparsi questi signori che appartengono a un’altra epoca ancora, intermedia fra le nostre. Peraltro la loro effettiva esistenza non è del tutto certa, almeno come persone reali, dovrebbero essere solo dei personaggi di fantasia e…
(Porthos) Di cosa andate vaneggiando? Volete assaggiare il filo della mia spada per valutare se è reale o di fantasia?
(Voce narrante) Intervengono gli altri due sconosciuti, rimasti finora in disparte, per placare l’ira del loro focoso compagno.
(Sconosciuto 3) Lascia a riposo la tua lama, amico mio. Non vedi che quest’uomo è disarmato?
(Antonio) Siamo disarmati, confusi e bisognosi di aiuto, si dice che i Moschettieri siano generosi e dotati di grande senso dell’onore, forse potreste aiutare dei viandanti smarriti, stanchi e affamati?
(Sconosciuto 4) Parole sagge, signore, il combattimento di poc’anzi mi ha messo un certo appetito, e non disdegnerei neanche un boccale di birra fresca. Io sono Olivier de Bragelonne de la Fère, ma tutti mi conoscono come Athos. Voi a che casata appartenete?
(Antonio dopo un attimo di riflessione) Sono Antonio Scossa de Château Genzanò, umile vostro servitore, mastro ebanista e studioso.
(Professore, rivolgendosi allo sconosciuto 3) E quindi voi, tutto vestito di nero… lasciatemi indovinare, siete forse Aramis?
(Sconosciuto 3) René d’Aramis de Vannes, per la precisione. Vedo che la mia fama mi precede…
(Iolanda) Io…sono io, Iolanda. Non saprei cosa altro aggiungere. Lo stomaco brontola anche a me. Potrei cercare fra le erbe, magari trovo qualcosa di adatto per preparare una pozione di ristoro per le nostre forze. Capisco che a questa fame si debba rispondere con cibo robusto ma non so come rimediare. Martin, perché te ne stai in disparte? Tu hai fame?
(Martin) In questa situazione così strana non riesco a pensare al cibo. Vorrei capire dove siamo e perché. Il resto mi interessa poco.
(Porthos) Dove siamo? Dietro il Convento delle Carmelitane Scalze, perbacco.
(Athos) Porthos, temo che ti sbagli. Questo parco è simile, ma non è quello.
(Iolanda) Io invece ci penso alla fame. Sapete da quanto tempo è che sono a digiuno? A dire la verità, non ricordo neppure io quando è stata l’ultima volta che ho mangiato qualcosa. Quelli, prima di legarmi, non si sono preoccupati di darmi del cibo. Poi è arrivato il fuoco e non ho più pensato alla mia fame. Ora però mi sento più tranquilla e vorrei anche ritemprare le forze. Athos, Porthos: chi vi segue?
(Voce narrante) Altri quattro uomini si avvicinano, portando cesti e bagagli vari.
(Porthos) Mousqueton, eccoti qua! Muoviti, che mademoiselle Iolanda ha bisogno dei tuoi servigi, non dubito che riuscirai a mettere insieme qualcosa per rifocillare lei e i suoi compagni, oltre a noi quattro, dico bene Aramis? (Rivolto a Iolanda) è un briccone, come tutti i normanni, il mio Mousqueton, ma in fondo è un bravo ragazzo.
(Voce narrante) Athos fa un semplice gesto con la mano a uno dei nuovi arrivati, il quale, insieme agli altri tre, inizia a tirar fuori dai cesti diverse qualità di vettovaglie.
(Iolanda, agitando le braccia) Antonio, Antonio, vieni! Guarda. Ora sì che possiamo saziare la nostra fame. Porthos, ti rendo grazie. A te e ai tuoi amici.
(Voce narrante) Mentre la ragazza e i suoi compagni si avvicinano ai valletti e ai loro bagagli, accompagnati da Porthos e da D’Artagnan, gli altri due moschettieri restano in disparte, parlottando fra loro.
(Antonio) Mangiare non potrà che farci bene, niente unisce come consumare un pasto assieme, e magari ci renderemo conto se questo che ci appare come un sogno non sia invece una splendida avventura. Non so se vi rendete conto di come mi senta, stiamo per mangiare con i Moschettieri del Re!
(Voce narrante) In poco meno di cinque minuti, viene steso a terra un drappo bianco, simile ad un lenzuolo o ad una tovaglia. Su quella tavola estemporanea vengono appoggiati cibi succulenti, posizionati alla meglio su vassoi di fortuna, quali fogliame secco e pezzi di corteccia.
Antonio non crede ai suoi occhi: selvaggina alla griglia, pane integrale e frutta. Sì, anche mele e pere!
Iolanda sembra aver perso di nuovo la parola. È rimasta immobile davanti a tutta quella abbondanza.
Il Professor Knowall sorride sornione, in cuor suo è contento per quel cibo, ma cerca di non darlo a vedere: ha un ruolo da sostenere.
Martin pare quello più distaccato. Forse la sua smania di tornare alla vita normale gli ha fatto dimenticare persino la fame.
I valletti, intanto, invitano gli astanti a prendere posto intorno a quella mensa.
(Iolanda, rompendo all’improvviso ogni indugio) Amici, cosa aspettiamo?
(Voce narrante) Mentre gli altri fanno onore a quella mensa improvvisata Athos e Aramis, rimasti in disparte, richiamano i loro valletti personali che, dopo aver parlottato brevemente con i due moschettieri, si allontanano inoltrandosi nel folto del bosco.
Il professor Knowall ha notato questa manovra e raggiunge i due uomini.
(Professore) E voi signori, non avete fame? Dove sono andati i vostri servitori?
(Aramis) Questo posto non è sicuro. Sono quasi certo che non siamo più nei pressi di Chantilly, anche se il bosco è simile. Non capisco come siamo arrivati qui, ci eravamo appena riuniti, dopo avere viaggiato ognuno per conto proprio da Parigi, quando improvvisamente è calata una spessa nebbia, appena si è dissolta siamo stati attaccati dalle guardie di Rochefort, lo sgherro del Cardinale, ma siamo riusciti a batterli e sono fuggiti. Abbiamo mandato Grimaud e Bazin, i nostri valletti, sulle loro tracce, temo che stiano preparando una controffensiva.
(Athos) Io non credo che avranno voglia di farsi vivi tanto presto, hanno assaggiato il filo delle nostre lame e correranno con la coda tra le gambe per un bel pezzo prima di pensare a rifarsi.
(Porthos) Athos, Aramis! Cosa fate ancora là? Venite a mangiare insieme a noi e a questi nuovi amici. (Poi, rivolto a Iolanda e agli altri) Perché indossate abiti così strani? E portate capelli così corti?
(Iolanda) Avevo lunghi capelli biondi. Mi piaceva lisciarli alla sera, prima di stendermi sul giaciglio. Erano davvero belli, sapete? Poi…(la ragazza si piega su stessa, intonando un pianto senza consolazione).
(D’Artagnan, premuroso) Mademoiselle, non piangete. Chiunque siano i vostri nemici dovranno vedersela con me e i miei compagni. E sono davvero in pochi coloro che possono raccontare di aver duellato con noi…
(Antonio) La nostra amica ha sofferto molto a causa di ecclesiastici tutt’altro che animati da spirito cristiano. Veniamo da posti molto lontani tra loro e ci siamo incontrati per caso, o forse per destino. Ora non abbiamo una meta precisa, volevamo uscire da questo bosco.
(Martin) Dunque, se ho ben capito, nemmeno voi sapete dove siamo… (poi più piano, rivolto solo al Professor Knowall) Non riesco a capire come possiamo trovarci veramente davanti ai moschettieri. Credevo… (Si interrompe e scuote il capo). Niente.
(Professore) Martin, capisco le tue perplessità ma, in fondo, non abbiamo già accettato la presenza fra di noi di una ragazza che viene dal medioevo? Non vedo che differenza possano fare quattro guardie del Re di Francia. Anche se, in effetti, loro sono dei personaggi partoriti dalla fantasia di uno scrittore, o forse i moschettieri sono esistiti veramente e questi sono i soldati a cui Dumas si è ispirato… Con questo non voglio dire che la situazione non sia strana comunque, tutt’altro.
(Porthos, addentando una coscia di pernice) Messere Knowall, voi siete un uomo di lettere, vero? È per questo che parlate in maniera così strana? Venite qua, prendete un boccale di questo ottimo borgogna, magari vi schiarirà le idee. Dal nome mi sembrate inglese, non credo che nella vostra isola nebbiosa si trovi facilmente un nettare così prelibato.
(Professore, sorridendo) In realtà sono nato in Nuova Zelanda, una terra che nella vostra epoca non è ancora stata… ehm, lasciamo perdere. Certo, signor Porthos, assaggio volentieri un po’ di vino.
(Iolanda) No, no, non piango più. Questo cibo è molto buono e voi siete tutte brave persone. Certo, non capisco niente di quello che dite ma non mi importa. Non so quali domande vi assillano e non comprendo perché volete andare via da qui. Io sto così bene!
(Martin) Non ti preoccupare, dubito che riusciremo ad andare via da qui.
(Professore, rivolto a D’Artagnan) Messere, se non sono troppo indiscreto, posso chiedervi per quale motivo le guardie del Cardinale vi stanno dando la caccia?
(D’Ardagnan, sulla difensiva) Signor Knowall, la nostra missione è segreta. Posso solo dirvi che ne va dell’onore della Regina di Francia. Vi prego di non chiedermi altro.
(Professore) Non insisto, perdonate la mia curiosità.
(Voce narrante) Il gruppo riprende a mangiare e a bere, accantonando per un poco gli interrogativi e le ipotesi. Mentre il Professore propone un brindisi per festeggiare l’incontro e la merenda consumata insieme, una figura sbuca in lontananza e si avvicina correndo.
(D’artagnan) Athos, guardate, Grimaud.
(Aramis) Deve avere notizie sugli sgherri del cardinale.
(Voce narrante) Intanto il servitore ha raggiunto i commensali e riprende fiato.
(Athos) Allora, Grimaud, cosa ci dite?
(Grimaud) Le guardie hanno incontrato un altro drappello e stanno tornando verso questo bosco.
(Aramis) E Bazin?
(Grimaud) È rimasto indietro per controllare i movimenti delle guardie.
(Athos) Quanto sono lontane?
(Grimaud) Pochi minuti.
(Voce narrante) Il professore, Martin e Antonio si scambiano uno sguardo preoccupato. Iolanda li osserva, allarmata, anche se non le è ben chiaro cosa deve temere.
(Iolanda) Professore, Martin, Antonio: ditemi, siamo forse in pericolo?
(Professore) Cara Iolanda, credo che sia arrivato per noi il momento di allontanarci. Questi signori sono uomini d’arme, penso che non sia il caso di trovarci coinvolti in una lotta, siamo disarmati e inesperti, non saremmo di nessun aiuto, anzi, potremmo rappresentare un intralcio per i valorosi moschettieri.
(Iolanda) Mi dispiace, stavo bene in loro compagnia. Abbiamo pure rifocillato lo stomaco. E, ditemi, amici, dove ci dirigeremo?
(Antonio) Be’ visto che le guardie del Cardinale stanno arrivando da quella parte, direi di svignarcela in direzione contraria.
(Athos) Avete ragione, dovete mettervi al sicuro e portare lontano mademoiselle Iolanda. Forse due dei nostri valletti potrebbero accompagnarvi.
(Bazin, sbucando di corsa dalla boscaglia) Padron Aramis! Rochefort e le sue guardie stanno arrivando!
(Aramis, sguainando la spada) Troveranno pane per i loro denti! Presto, Martin, Antonio, Professore, mettete in salvo la donzella, allontanatevi da qui, se volete che Mosqueton o un altro dei nostri servitori vi accompagni per proteggervi…
(Professore) No, grazie, nobili signori, voi avete un compito importante da compiere, avrete bisogno di tutto il supporto che i vostri aiutanti potranno darvi. Ce la caveremo da soli. Noi non abbiamo niente da temere da quei soldati, se non ci troveranno qui non sapranno neanche della nostra esistenza. È stato un onore e un piacere incontrarvi, vi siamo debitori, ma non sapremmo come aiutarvi, è meglio se ce ne andiamo.
(Porthos) E allora fuggite. Moschettieri del Re! Tutti per uno…
(Gli altri moschettieri, in coro, incrociando le spade) …e uno per tutti!
(Voce narrante) Il Professore, Martin, Iolanda e Antonio cominciano ad allontanarsi, quest’ultimo, però, fatti pochi passi si volta e grida all’indirizzo dei moschettieri.
(Antonio) Amici, ricordate, non fidatevi delle belle ragazze bionde!
(Professore) In effetti, se non ricordo male, nel libro Athos dice più o meno: “Mio caro, io diffido delle donne; che volete, ho le mie buone ragioni, specialmente delle donne bionde. Perché Milady è bionda, così mi avete detto?” E visto che un tempo lei era stata sua moglie ha tutte le ragioni di…
(Martin) Cosa glielo dici a fare? Non credo si possa cambiare la loro storia.
(Iolanda) Storia? Di cosa parlate? Martin, Professore: conoscevate già queste persone?
(Martin) Non esattamente. Nel senso che non si può parlare proprio di conoscenza. Ad ogni modo credo che sarebbe meglio rimandare il discorso a quando saremo più lontani e intanto allungare il passo.
(Iolanda) Mi dispiace lasciare quelle persone ma mi rimetto alla vostra volontà, amici. Siete voi quelli che ho deciso di seguire e con voi voglio venire.
(Antonio) Andiamo, sono certo che se la caveranno benissimo da soli. Sono Moschettieri del Re signori miei, Moschettieri del Re!
(Voce narrante) Detto questo Antonio senza altro indugio riprende il cammino. Iolanda lo segue prima titubante, per poi accelerare il passo mentre dietro di lei si accodano Martin e il Professore, che camminando continuano a voce bassa la discussione. Nel frattempo comincia a calare nuovamente la nebbia…
(continua nel capitolo IV)