martedì 30 giugno 2015

La terra d'amore.




Risvegli determinati. Il tempo fievole dell'inoperosità  pure oggi è concluso.

Occorre preparar le mani. 
Le affonderai presto nelle zolle dure da addomesticare.



Coraggio, gli indugi non hanno esistenza, a quest'ora bianca del mattino. 
La terra non perdonerà i tuoi ritardi. Il sostentamento: lo reclama a gran respiro tutto quel che essa ha prodotto.



Del sole non devi preoccuparti. Di acqua dovrai concederne in abbondanza.

E di carezze leggere a dare coraggio alle tenere piantine che affacciano le foglie alla prima vita.




Avrai lunghe ore da passare a controllare: la salute dei fiori, la resa dei colori. L'abbondanza del fogliame o la penuria di resistenza.

Tutto dovrà registrare il tuo allenamento contadino. Di tutto dovrà farsi carico la tua responsabilità di artefice del raccolto.



Ti accorgerai di quanto quella terra ha bisogno di te. Del tuo cuore ma pure della tua mente.
Del tuo affanno. E dei tuoi gesti rispettosi.



E tu la riempirai di delicatezze. Le concederai ogni capriccio.
Ti innamorerai di lei. 
Il pensiero spesso si fermerà a chiederti sue notizie, nei momenti di lontananza.

E quando non saprai rispondere con la coscienza, correrai in presenza, a tranquillizzare le tue ansie.
L'amore per la terra.
Una terra d'amore.

Concetta D'Orazio



lunedì 29 giugno 2015

Di verde, di rami e di sole.

















Hai visto quei rami? Con il verde che quasi pare grondare sul fusto, si inerpicano e si attorcigliano.
Si fondono con il celeste e poi chiamano a raccolta le ombre più scure.

Come la vita tua. I colori li hai divisi, poi li hai riavvicinati. 
Li separasti. E dunque ottenesti nuovamente l'armonia.
Il seppia di un momento fece da contralto al bianco e nero imperturbabile.

La vivacità di altri tempi si distanziò, facendoti intristire.

Sognavi la tenerezza.
Reclamavi dolcezza.
E i bisogni di bene si alternavano allo scuro. Come fusti secchi e cadenti.

Le corse senza termine, gli istanti vuoti. 
Le presenze dure, le assenze pregnanti e le pene d'amore.

Scale di grigio, insopportabili gradazioni di pochezza. 

Tutto fu importante, niente fu insignificante.
Per riconoscere il chiarore.
Per salutare la luce. 
Per vedere quel verde così verde.
Quei rami così arditi.
Quel sole tanto nuovo.

Concetta D'Orazio



Panegirico di un fiore

















Con questi occhi, non ti riuscivo a salutare.
Non ti sapevo riconoscere.

Eri tronfio. Di un'arroganza fuori dal comune.
O forse è meglio dire: fuori dal campo.
Lontano da quella campagna assolata da cui ti avevo tratto via stamattina. 


Ho agito. Con fatica ho cercato di ghermirti, mentre il sudore sulla fronte mi ricordava che sarebbe stato meglio far presto. 
Dovevo adoperarmi. Dovevo arrivare prima della tua trasformazione. 
O forse prima che il calore del giorno a venire avesse avvizzito il tuo splendore.

Come un borsaiolo, ho allungato le mani, per sottrarti a quella pianta da cui avevo deciso che dovevi allontanarti. 
Lo svezzamento mi parve necessario.

Ti ho infilato nel cesto. Ti ho promesso vita tua, collocandoti giusto sopra ai frutti, tuoi compagni di viaggio, nella borsa campagnola di vimini.
Non dovevi essere disturbato. Nessuno e nulla avrebbe dovuto turbare, pestandoti, la tua bellezza.
Ho tenuto sotto cetrioli e melanzane.
E tu in alto. Sua maestà.

Ho risalito il pendio, con te nel sacco. Ho cercato con tutta me stessa di essere tenera, di assicurarmi, di quando in quando, che tu giungessi illeso a casa.
E mentre respiravo con affanno, mi adoperavo ad assicurarti la salvezza della tua signorilità.

E dopo tutte le mie accortezze, tu mi hai ripagato con trattamento da altezzoso.
Ti ho notato, sai?
Eri superbo.
Pure arrogante, a tratti.

Troppo pieno di te.

E di un po' di mozzarella con il tonno. Questa è stata la pena che mi è parso giusto comminarti.
Non potevi trattare così la mia disponibilità. Ingrato.
Non sono stata forse io quella che ha curato la tua crescita, sommergendo ogni giorno di acqua tutte quelle zolle in cui tu hai trovato dimora?
Il tuo animo narciso non avrebbe dovuto trattarmi così.
Avresti dovuto rivestirti di candida umiltà.

Per questo ti ho tuffato nella farina. Girandoti nel bianco e accarezzandoti. 
Un bagno di talco del mezzogiorno. Era quel che ci voleva. Che ti serviva.





Con mozzarella e tonno dentro, con farina e uova fuori. La tua vestizione mi è sembrata adatta.
Ti ho visto pronto ad essere riscaldato. Ti ho donato qualche bracciolo e un salvagente.
Ti ho dato il permesso per il tuo bagno grasso, fra le onde vivaci del mezzodì.




Eccoti, ora. 
Sei fritto, amico mio.
E sei più bello di prima.
Più signore.
Più in odore.
Più croccante, insomma.

Guardati. Ammirati. 
Apprezzati ora. Fiore di zucca vanesio.

Concetta D'Orazio




Riflessioni a tempo - Un paio di occhiali

Lunghezze di focale rattrappite sulle larghezze.
Necessiti di perfezionare con lenti il difetto del tuo acume credulone.

giovedì 25 giugno 2015

Accompagnai il tramonto - Rocca Calascio

Salire a quell'ora era per me insolito. 
Avevo visto la Rocca diverse volte ma mai avevo affrontato le pendici scoscese del monte, inerpicandomi proprio negli istanti in cui il sole finisce il suo turno.
Ero sotto e volevo arrivare in alto.

In quel momento in cui la giornata si stiracchia, affaticata, già predisponendosi al riposo.
Ho iniziato a salire nel punto esatto in cui il tramonto si mette il camice un po' brumoso e rossiccio, per dare il cambio alla luce viva del dì.


                                                                                    
Sì, lo spazio sembrava fondersi con il tempo. Anzi erano proprio a braccetto, spazio e tempo. Luogo e ora.





Pareva che la luce volesse farmi uno scherzo, ché dapprima era viva ma, in poco meno di mezzo attimo, ha iniziato ad abbandonarsi sulle gambe. 
E con essa, il chiaro si è piegato. Si è accovacciato, defilandosi.



Per nulla meravigliata, ho cominciato a mettere i piedi uno davanti all'altro. 



Delizia! Stavo salendo e lo facevo dolcemente, per nulla appesantita da quello scherzo del tramonto. 
Non volevo arrivare entro un'ora determinata. La mia passione, in arrampicata, non aveva scadenza.
Le ombre non mi intristivano. Anzi, iniziavo con esse una gara di rincorsa: la mia dietro alle loro necessità.
Ero divertita.


 Non mi preoccupavo. Il lento mio incedere avrebbe trovato presto un'area aperta, subito dopo la vita racchiusa entro le spesse pareti del borgo, che il tempo ha segnato con un colore solo un poco più marcato di quello originario.

Avrei trovato infine quella maestosità della terra aperta in salita?
Avrei respirato quella libertà che non rincorrevo?

L'avrei fatto e al cospetto della Rocca.


Il rosso della sera intimidiva, con le prime ombre purpuree, persino la montagna.
Non me ne curavo, proseguendo nel mio gioco di ascesa. 
Avevo voglia di arrivare in alto, per poi forse lasciar cadere i miei pensieri in giù.

Ho continuato.



Guardavo da lontano e intanto affrettavo il passo. Ora sapevo di aver scelto un momento che, alla magnifica bellezza del castello, avrebbe forse aggiunto solo un po' di tremore. Ho lasciato che l'emozione mi abbracciasse. Ho proseguito, con l'unica preoccupazione di tenere ben saldi i piedi.

Salivo. Sembrava non avessi interesse per niente altro. Allora.

La sera iniziava a salutare me e tutti gli altri visitatori arditi.
Io continuavo.
Loro continuavano.
La sera perseverava anch'essa.


I primi bagliori della luna, infine, misero in evidenza il colore di cielo: il castello mi sembrò ancora più incastonato nel paesaggio circostante, quasi entrambi appartenessero ad una pittura, in cui mani esperte avevano composto le tonalità di grigio, di seppia e di blu.





Arrivai. 
Il fiato era corto ma non per la fatica della salita.
Fermai il respiro quando la distesa si presentò sotto di me, il cielo si posizionò sopra di me. E tutt'intorno i resti silenziosi.



Magia.
Incantesimo.
Seduzione. 

E infine la notte.



Concetta D'Orazio











La Rocca e il borgo si trovano nel Comune di Calascio (Aq).






mercoledì 24 giugno 2015

Quando scrivo non ragiono.

Quando scrivo non ragiono.
O ragiono troppo.
Urlo con la penna tutto quello che non posso urlare con la voce.
E nessuno mi sente. Quasi nessuno.

C.

Campagne abruzzesi - Gli arrosticini



Giornata all'insegna dell'anima abruzzese non è, ricorrenza paesana priva di essi non c'è.

Gli arrosticini per noi sono come le pizzelle: li troviamo in tutti i banchetti, in tutte le serate nostrane, nelle feste del borgo o del quartiere. 
La vampata fumante sotto alla grata non manca mai!

Il profumo è quello. Lo riconosceresti fra tanti: l'odore del fuoco che inizia a riscaldare la carbonella.

Piano piano il crepitio diventa vivace e tu sai già che, se non è nel tuo giardino, sicuramente è in quello del vicino che la brace sta diventando carica. 
La serata estiva, d'altronde, invoglia. E la compagnia non manca mai.





Il fuoco è pronto ad arrostire, ma non troppo, gli spiedini di bambù che fanno invidia a tanti.
Dovranno cuocere velocemente: solo così manterranno la giusta consistenza, senza seccare troppo.

Il padrone di casa, solitamente è addetto alla delicata operazione: le bacchette vengono posizionate sulla griglia ardente, quando la fiamma è appassionata ma doma. 
Non dev'esserci spazio fra l'una e l'altra. Lo sa bene chi le mette vicine vicine.

Intanto i commensali apparecchiano, hanno poco tempo, nemmeno una decina di minuti, per preparare l'insalata di pomodoro e il pane. 
Sanno bene che le fettine dovranno essere sottili: la bruschetta è sempre compagna degli spiedini!




I cieli di primavera e poi quelli estivi, nel nostro Abruzzo, sono sempre pronti ad accogliere il gusto saporito di arrosticini, spiducc, rustell.

Insomma, chiamateli come volete, ma accompagnateli sempre con il Montepulciano!



Concetta D'Orazio







martedì 23 giugno 2015

Quando si dice l'inizio della fine


Perché l'incipit è tutto.
Non componiamolo con i piedi.


Breve storia di un cominciamento sbagliato e di una trama sgangherata.


  


Al contrario, non puoi iniziare. Non lo vedi come sei sotto-sopra?

E poi, perché cominci dalla fine?
Non ce l'hai un incipit come tutti gli altri?

D'accordo, lo hai girato, vuoi mettere in evidenza le scarpette nuove. Ti dispiace farle passare inosservate.
Ci mancherebbe: con con tutta quella espressioncina che hai dovuto sfoderare al cospetto del consorte. Al consorte del cospetto. 
Insomma, davanti al coniuge. Che è pure tuo. 
Marito, appunto.

Ammettilo, di fronte alla vetrina di quel negozio di scarpe, facesti uso di faccia rattrappita, tendente all'emozionante. Una roba a metà fra una domanda laconica con presunzione di innocenza d'intenti e una risposta obbligata, misurata sulla metratura complessa della tua sensibilità
Sì, proprio quella che sbandieri nei momenti di maggior intensità di atmosfera.
Quando, esaurite le parole, non ti resta altro che perfezionare la tua opera di convincimento, allungando l'occhietto impesciolito, cioè annacquato e svigorito. 
Come triglia, ordunque.

Sì, quel visino consunto che accompagni con un paio di mossette dello zigomo destro. 
Che ti potrebbero arrestare per tentata convinzione!
Quella faccetta che sottintende un due o tre frasi semplici, pronunciate in silenzio. 
O anche di più.

Non vedi come mi piacciono? Che aspetti a prendermele? 
Ho rinunciato a tutto per te. Che vogliamo perderci per un sandaletto? Eh?
Ma no che non mi offendo. Non ho detto mica che lo VOGLIO. 
Potrei anche farne a meno, sai?

Quello blu. Mi raccomando!

Che poi, alla fine, avranno ottenuto più due promesse di arrendevolezza futura, con una mezza strizzatina, che tutto un repertorio di parole pronunciate a voce viva.


Ma torniamo all'incipit. Lo avevi collocato ad inizio, anche se un po' sghembo.
E poi hai perso il filo.

Meglio essere sincere: quell'incipit era proprio storto. E dopo hai pure divagato, con la storia del sandaletto nuovo. 
Insomma, non sei stata sul pezzo.
Nessuno potrebbe dire che sei un'eccelsa scrittrice.
E infatti nessuno lo dice.

Non perderti d'animo. Ripigliati le tue responsabilità. Magari raddrizzati.
Non tu, dicevo l'incipit. 
E già che ci sei, gli togli pure quelle scarpette troppo sbarazzine e lo abbigli a modo.

Un prologo che si rispetti deve contenere un cominciamento elegante. O quanto meno sobrio. 

Un mezzo tailleur insomma.
Uno di quelli che utilizzi per riunioni di circostanza. Che so io, per interesse o per necessità. 
Del tipo: me lo metto, ché ce l'ho anch'io
A scuola o in faccende per uffici.
E qui ci va una scarpina elegante. Sobria ma che faccia la figura sua.

Sì, perché le prime impressioni sono quelle che contano. Lo dicono sempre quelle persone che insegnano a scrivere.  
Le stesse che consigliano di non dilungarti, di non divagare, di non associare, di non aggettivare. Di non perderti d'avverbio. 
Di tirare dritto e mantenere il passo.
Di contare le battute e di misurare le vocali.

Che tu rimani lì a pensare. E ti viene l'ansia solo ad immaginare a quella bella figura.
Te lo rappresenti con la fantasia, il tuo inizio.
Ti riproponi di modificarlo. Fai promessa a te stessa di rimanergli fedele.
Non fai in tempo a girarti che già se n'è andato.
E torni a ricostruirlo.
Lo figuri nella mente. 
Lo immagazzini fra le tempie. 
Lo assaggi con la penna.


E allacciati quelle fibbie.

Concetta D'Orazio.


giovedì 18 giugno 2015

Campagne abruzzesi - Le gambette della principessa





Il profumo dai terreni, la voce della nonna, i fiori di campo che tenevo nelle manine bambine.

Il cielo si appesantiva, al lamento del tramonto. Il canto delle nubi diventava cinereo a poco a poco.
Non mi spaventava, sapevo che quel cambio di colori apparteneva ad un ciclo naturale, che alternava le ombre di campagna al nuovo sole. La luce del giorno a venire avrebbe dato vita a sfumature chiare, limpide. 
Ancora. Come ogni domani.

Quelle ombreggiature dispettose annunciavano il tempo di lasciare lo spazio verde e turchino, dove avevo trascorso gran parte della giornata, a giocare e rincorrere le lucertole. 
E quel momento, però, per quanto naturale e non pauroso, mi rendeva triste pur se consapevole del fatto che avrei ricominciato ancora.
Domani sarei tornata ad essere di nuovo un tutto con l'armonia serena dei campi. 

Così mi accovacciavo sulla soglia della piccola abitazione contadina, ne ascoltavo i rumori che provenivano da dentro. Ad ogni brusio davo un nome.

Riconoscevo quello dello strofinaccio a quadrettoni che veniva sfregato contro il piatto: la pastina dunque era già sul fuoco e presto avrebbe raggiunto il piccolo contenitore di porcellana un po' sbeccato, posizionato sulla tavola, al posto apparecchiato solo per me.

Davanti alla scodella fumante con la pastina, sarei diventata principessa. Servita e riverita.

Conoscevo pure il lieve tonfo del mestolo nella pentola. Significava che le patate di quel brodino forse si erano un po' attaccate sul fondo.

Sentivo, sì lo sentivo, il tremolio di quelle mani anziane e ruvide, un po' adirate per quella distrazione.
Me la immaginavo la regista di quelle dita, mentre sbuffava e si puliva i gomiti sul grembiule.

Sapevo che era arrivata l'ora del rientro. La fine della giornata all'aria aperta. Rimanevo accovacciata, ignorando i richiami che arrivavano infine da dentro.

Continuavo a fissarmi le gambette. Ero preoccupata, sì. Ma non temevo il tramonto, il buio.
Un unico pensiero fisso mi allarmava: quello sulle mie estremità secche.

Una principessa non può sedersi a tavola con le ginocchia sbucciate.

Concetta D'Orazio


 

martedì 16 giugno 2015

Riflessioni a tempo - Credici

Raccontati quelle stesse balle e poi inizia a crederci.
Almeno tu.

Un topo che osserva le briciole




Elena iniziò a trascorrere le sue serate a guardare le foto delle persone che conosceva, a ricordar di questo, a rammentarsi di quello, a controllare quell'altra, senza mai esporsi in prima persona, rimanendo nell'ombra dell’offline.

Un topo che osserva e studia le briciole dalla sua tana.

lunedì 15 giugno 2015

Un'altra donna: Elena e la sua coscienza






Crediamo di nascondere tutto per bene. Sigilliamo i ricordi, ben imbustati. Siamo bravissimi a prenderci in giro.

Anche Elena è convinta di esserci riuscita. Vive una normale, troppo normale, quotidianità, beffandosi della sua coscienza. 
Ma non si può tenerla dormiente per troppo tempo.

La tazza di tisana, all'improvviso. non è più sicura fra le sue mani, dondola insieme al tremolio di esse.
Uno strano messaggio che qualcuno ha lasciato sulla pagina del suo account si insinua nelle pieghe della intelligenza, facendola vacillare.

Inganni di coscienza, brevissimo scritto, è online dal 2012. Rappresenta il racconto di inizio della mia rassegna, in formato e-book, di profili femminili. Elena, dunque, è la prima donna di una lunga serie.

Come ho fatto e farò per le altre, l'accompagnerò, stando ben attenta ad ascoltare tutto quello che lei vorrà raccontarmi.

C. D'Orazio



Trovate l'e-Book qui


domenica 14 giugno 2015

Uncinetti, merletti. Di bianco e di ecrù




Le sue mani si accavallavano, veloci. Quasi in preda ad un'isteria che le proveniva da un desiderio: la speranza che quel filo si attorcigliasse nel modo giusto e desse finalmente vita ad un lembo di pezza artistica.

No, mi correggo, la sua non era una speranza. Le dita avrebbero fatto girare l'uncinetto con un'abilità che non era stata soltanto appresa da piccola: la maestria nello spostare il ferro, in fretta, senza esitazione, le arrivava da dentro.

La sua non era una speranza. Era una certezza.

Un' artista sì, non potevano che appartenere ad una artista quelle dita ossute.
Le sentivo quasi scricchiolare a comando, o meglio ancora intonare un motivo andante e vivace, come se componessero una musica.



Ai miei occhi di bambina, di adolescente, e quindi di adulta, quel lavoro assomigliava ad una creazione meravigliosa. L'uncinetto non produceva solo merletti. L'uncinetto metteva in posa un desiderio interiore che non si trasformava soltanto in materia bella. 

Quel merletto non era uno schizzo da perfezionare. Mai lei avrebbe permesso che dalla composizione musicale delle sue dita potesse venir fuori solo un abbozzo.
Doveva essere perfetto. Di quella perfezione che quasi mette in imbarazzo.

Era imbarazzo, infatti, la sensazione che inizialmente provavo, guardando quelle opere d'arte di curve e di brogli sinceri di filo. Un imbarazzo buono, di quello che ti lascia senza parole e che ti fa guardare con occhi di ammirazione l'artefice di quel composto eccelso.

E menava il filo. E lo riprendeva. 
Lo passava sotto e lo faceva salire, stirandolo con le dita.
Era incontenibile. Era instancabile.

Alla musica si aggiungeva pure il movimento a tempo delle sue mani.



Musica, movimento cadenzato. Il ritmo che ne derivava era pure scandito da quel che raccontava.
Qualcuno avrebbe dovuto accompagnare con la voce quelle composizioni verbali e quelle mosse sceniche, dalla coreografia impeccabile.
E la sua voce infatti veniva dietro a musica e all'attività armonica.

Ascoltavo, guardavo. Ammiravo quel ballo di immagini. Mi impressionavo ai racconti.
Tutto insieme.

Non ho imparato, a tempo, a comporre merletti anch'io. Me ne dispiaccio.
Mi piacerebbe riuscire ad utilizzare almeno la penna, così come mia nonna usava l'attrezzo a lei tanto prezioso.


***

Mentre quel ferretto con la punta incurvata lavorava, senza pause, mi riempivo gli occhi, la testa e le orecchie.
Scenografie perfette dell'uncinetto.


Concetta D'Orazio







sabato 13 giugno 2015

Maria Celeste e la sua solitudine debilitante





La fragranza dell'assenza: la storia di Maria Celeste e della sua solitudine debilitante.

La giovane farmacista accompagna il suo fisico verso una profondità che è fatta di ricordi, di profumi rimasti appigliati alle sue ossa stanche. 
Ed è pure intrisa di un'antica fragranza rimasta nella memoria.

Ella si rende conto che sta mettendo a dura prova il suo corpo, allontanandosi dal cibo ma, nello stesso tempo non riesce a dominare quelle sensazioni di abbandono.

Maria Celeste trascorre la sua apparente esistenza nella normalità ma è consapevole di trovarsi in una sorta di limbo, che delimita la condizione di donna innamorata prima e di anima sola poi. 

All'improvviso, proprio mentre tenta di mantenersi in bilico in questa dimensione diversa, la giovane conosce singolari personaggi. Ognuno di essi è anticipato dal nome di una destinazione, contenuto all'interno di inusuali biglietti che le vengono recapitati.

In questo modo, ubbidendo agli ordini che le impartiscono quei fogli, la farmacista si trova a fare incontri inusuali.
Conosce così Luigi, l'enigmatico signore anziano. 
Chiacchiera sulla spiaggia con le due bellezze al bagno, ingessate in abbondanti costumi, Fiammetta e Fortunata.
Scherza con Marco.
Ma...chi sono in realtà quelle persone?

Ho già promesso dolcezza, continuo a prometterne: accompagnate Maria Celeste nel suo viaggio verso la consapevolezza.

Grazie.
Concetta D'Orazio



Letture veloci del Web. Riflessioni a tempo, patatine croccanti

Il Web, si sa, è veloce, selettivo. Il Web è anche po' presuntuoso: non ammette di perdere tempo dietro a lungaggini di testo e a testimonianze pesanti di parole.

Un giorno di inizio anno mi venne una mezza ispirazione, o forse solo una insignificante riflessione, la buttai lì. Da quel testo corto nacquero le mie Riflessioni a tempo: sono come le patatine, una tira l'altra. A volte devo proprio bloccarmi, per non proporne troppe, per non importunare troppo spesso. 

Devo mettere cura a presentarne una ogni tanto, onde evitare possibili rigurgiti di tastiera.
E insomma da gennaio, su questo blog, c'è una sezione nuova. E sì che quella prima volta, lo ricordo bene, ero infuriata. 
E infatti queste riflessioni nascono ancora oggi dalle mie sensazioni immediate, a tempo appunto.

Voi prendetele come volete, con le pinze, con i guanti, con le molle o dentro la coppetta del gelato.
Io continuerò a scriverne e questa non vuole essere una provocazione, ma solo una previsione.

Lo so che non vi importa niente.
Neppure a me.

Concetta D'Orazio