giovedì 18 giugno 2015

Campagne abruzzesi - Le gambette della principessa





Il profumo dai terreni, la voce della nonna, i fiori di campo che tenevo nelle manine bambine.

Il cielo si appesantiva, al lamento del tramonto. Il canto delle nubi diventava cinereo a poco a poco.
Non mi spaventava, sapevo che quel cambio di colori apparteneva ad un ciclo naturale, che alternava le ombre di campagna al nuovo sole. La luce del giorno a venire avrebbe dato vita a sfumature chiare, limpide. 
Ancora. Come ogni domani.

Quelle ombreggiature dispettose annunciavano il tempo di lasciare lo spazio verde e turchino, dove avevo trascorso gran parte della giornata, a giocare e rincorrere le lucertole. 
E quel momento, però, per quanto naturale e non pauroso, mi rendeva triste pur se consapevole del fatto che avrei ricominciato ancora.
Domani sarei tornata ad essere di nuovo un tutto con l'armonia serena dei campi. 

Così mi accovacciavo sulla soglia della piccola abitazione contadina, ne ascoltavo i rumori che provenivano da dentro. Ad ogni brusio davo un nome.

Riconoscevo quello dello strofinaccio a quadrettoni che veniva sfregato contro il piatto: la pastina dunque era già sul fuoco e presto avrebbe raggiunto il piccolo contenitore di porcellana un po' sbeccato, posizionato sulla tavola, al posto apparecchiato solo per me.

Davanti alla scodella fumante con la pastina, sarei diventata principessa. Servita e riverita.

Conoscevo pure il lieve tonfo del mestolo nella pentola. Significava che le patate di quel brodino forse si erano un po' attaccate sul fondo.

Sentivo, sì lo sentivo, il tremolio di quelle mani anziane e ruvide, un po' adirate per quella distrazione.
Me la immaginavo la regista di quelle dita, mentre sbuffava e si puliva i gomiti sul grembiule.

Sapevo che era arrivata l'ora del rientro. La fine della giornata all'aria aperta. Rimanevo accovacciata, ignorando i richiami che arrivavano infine da dentro.

Continuavo a fissarmi le gambette. Ero preoccupata, sì. Ma non temevo il tramonto, il buio.
Un unico pensiero fisso mi allarmava: quello sulle mie estremità secche.

Una principessa non può sedersi a tavola con le ginocchia sbucciate.

Concetta D'Orazio


 

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