martedì 10 marzo 2015

Un anno di Nero di memoria

Parte due - Abruzzo, il dialetto nel cuore - La cìtilanze

Lu citele, il figlio della memoria



«Filomena posso portare ‘stu cìtele  a vedere il treno? [...] »

Nel capitolo XX di Nero di memoria, zio Maurizio chiede a Filomena di poter portare con sé il bambino (lu cìtele) alla stazione, a guardare i treni.

Il termine cìtele ricorre spesso ad indicare, fra gli altri, il figlio più piccolo di Filomena, il terzo, Giovannino, Giannino. 

Anch'io sono stata una cìtele e tutti i miei compagni di giochi sono stati li cìtele. 

Questo vocabolo dialettale ha accompagnato la mia infanzia. 

Spesso la parola veniva sostituita con lu quatrale (la quatrale, li quatriele). A volte, i piccoli venivano chiamati li bardasce (la bardasce, lu bardasce).

In Nero di memoria ho preferito il termine cìtele. Il motivo è molto semplice: la parola fa nascere in me sentimenti di tenerezza, forse legati alla mia infanzia.

Cìtele, inoltre, mi pare meglio riferito ad un bambino molto piccolo, come lo è Giovanni appunto, il figlio della memoria.

Come tanti vocaboli del dialetto, il termine cìtele contiene, nella sua parte finale, la vocale indistinta e (che viene resa con il segno ë)
Per riuscire a comprendere quale sia il genere e quale sia il numero indicato dell'indeclinabile citelë, abbiamo pertanto bisogno di avvalerci dell'aiuto del rispettivo articolo anteposto alla parola.


Lu cìtelë è il bambino.

La cìtelë è la bambina;

Li cìtelë sono i bambini;

Le cìtelë sono le bambine.


Conviene aprire qui anche un'ulteriore parentesi: gli articoli, così come gli aggettivi e i pronomi, utilizzati nel dialetto abruzzese, (mi riferisco in questa sede alla zona Lancianese-Vastese), sono di chiara derivazione dal latino


- lu (chelu cìtele, quel bambino) ricorda il latino ille (quello);

- la (chela cìtele, quella bambina) ricorda il latino illa (quella);

- li (cheli cìtele, quei bambini) ricorda il latino illi (quelli);

- le (chele cìtele, quelle bambine) ricorda il latino illae (quelle).





Da citelë alla cìtilanzë: potremmo tradurlo come "infanzia", cioè età dei cìtelë. L'utilizzo più noto di questo termine è contenuto in un verso nella celebre canzone popolare abruzzese Vola, vola, vola (Albanese-Dommarco, 1908).


La mia cìtilanzë, e quella di gran parte dei miei coetanei, è trascorsa così, a raccogliere margherite nei prati, a correre, incuranti dei richiami dei nostri genitori che, contrariamente a quelli moderni,  lasciavano giocare i bambini molto liberamente nel parco vicino casa, tanto c'era sempre qualcuno, fra gli adulti, che, passando, davë 'n'uocchie a le cìtelë (dava uno sguardo ai bambini), per controllare che tutto fosse sotto controllo.

Amo il nostro dialetto, soprattutto perché capace di trasfigurare significati e significanti nelle varie utilizzazioni delle parole, che resteranno per sempre nel mio ricordo.

Concetta D'Orazio












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