Nel passaggio dalla versione originaria al
volgare, e quindi all'italiano, la lingua latina sembra aver perso la primaria
abbondanza di sfumature del senso da attribuire ai singoli termini.
La natura variegata delle possibilità di
significato ha subito sicuramente una limitazione, nel passaggio all’idioma
neolatino.
Tale limitazione delle accezioni delle
parole prosegue di pari passo con l’”ammodernamento” della lingua, quasi che il
bisogno odierno di espressione possa tendere all’essenzialità della parola.
La lingua italiana, infatti, quella più
antica e oggi vista come fuori moda e disusata, conserva ancora, nella sua
purezza, le caratteristiche sfumature del suo illustre antenato, il latino
appunto.
Oggi, però, non si avverte più il bisogno
di indicare un oggetto, un’azione, un’emozione attraverso un vocabolo, o una
combinazione di vocaboli, che meglio possa caratterizzarli.
L’odierno ciao, tanto per fare
qualche esempio, ha quasi sostituito del tutto, nel gergo dei più giovani, i
vari buongiorno, buonasera, arrivederci, bentrovato, benvenuto.
Ecco, per salutare una persona che va, che
arriva, che si attarda con l’orario o che è mattiniera, è sufficiente
pronunciare quattro lettere, ciao.
Anche i verbi che indicano un’azione di
spostamento da un luogo ad un altro, da una all’altra condizione, si sono, per
così dire, ridotti o sono confluiti nel semplice e globale andare. Oggi si va al lavoro, si va a pranzo e cena, si va dal dentista, si va in ritardo all’appuntamento,
laddove ieri ci si recava al lavoro o ci
si appropinquava al desco per la cena. Poteva
accadere, allora, che ci dovesse avviare o che ci si attardasse, si indugiasse, si procrastinasse.
E precedentemente, le fantasie semantiche
si adattavano ancora di più al bisogno. Prima di scegliere quale verbo potesse
esprimere lo spostamento che si voleva notificare, in latino, occorreva
analizzare pure da che verso procedesse tale movimento. Le preposizioni, ad
esempio, puntualizzavano il senso del verbo. Così veniva utilizzato abeo per indicare un allontanamento da un
determinato punto. Se invece si voleva sottolineare un movimento che portava
all’interno di un luogo, la forma più adatta era quella data dal verbo ineo. Il verbo eo e i suoi composti non erano i soli a
poter specificare l’azione del muoversi. Le possibilità erano infinite. Così ad
esempio, il verbo digredior designava una separazione non solo
fisica ma anche intellettuale da un determinato punto: da cui la nostra digressione. Si
utilizzava dispereo per indicare un decadimento verso la rovina, quella che noi chiamiamo disperazione.
In conclusione, oggi siamo più moderni,
più sbrigativi, quasi che antichità si identifichi con lunghezza e noia e modernità con brevità e velocità.
Mi chiedo spesso come sia possibile
rinunciare così a cuor leggero alla gamma infinita di tonalità semantiche che
le parole racchiudono in sé.
Per questo motivo mi piace spesso
ricordare la policromia non solo della lingua italiana un po’ datata ma
addirittura quella del latino.
Mi rendo conto, tuttavia, che
l’apprezzamento di quella policromia è destinato inevitabilmente ad essere
goduto in solitudine.
Concetta
D’Orazio
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