Non uso mai il termine cultura,
una parola molto importante, troppo impegnativa.
Non la utilizzo con disinvoltura, nella sua valenza di complesso di conoscenze ed erudizione.
Non la utilizzo con disinvoltura, nella sua valenza di complesso di conoscenze ed erudizione.
Quando ascolto persone che se ne impadroniscono, corro via, lontano.
Sì, leggete bene, ho scritto
proprio “impadronirsi” della cultura, intendendo il significato di questo verbo
nel senso di “appropriarsi con inganno”.
Chi può avere questa presunzione,
cioè ritenersi detentore di cultura? A mio parere, solo chi è ben lontano dal frequentarla davvero riesce a pronunciare a cuor leggero questo termine.
Se proprio ne avesse avuto esperienza, per averla incrociata nelle parole
scritte o cantate, nelle azioni difese o nelle battaglie sostenute, nelle
immagini guardate o ascoltate, in giro per il mondo e dentro a cuori illuminati,
ci penserebbe tre o mille volte, prima
di permettersi di scomodare questo vocabolo e, peggio ancora, di farsene
strenuo paladino. Avrebbe un gran rispetto per la pregnanza di volontà e
l’abbondanza di vicissitudini meritevoli di lode, insite nel sentimento proprio
di questo termine.
Il verbo cŏlo (cŏlis, cŏlui,
cultum, cŏlěre,) indicava, in
latino, l’azione del coltivare, ma non solo nel semplice significato di piantare
e aspettare la crescita del frutto, bensì nel senso di curare e dunque adornare,
abbellire. Seguire con apprensione, senza mai smettere.
Cultūra, pertanto, era, ed è,
quanto ottenuto da una azione che non si risolveva nell'immediatezza del breve
tempo della semina-crescita-maturazione, bensì nella preoccupazione, continua e
senza fine, di accrescere il proprio sapere, in relazione a disparati campi.
La cultura non si esaurisce in un momento, breve o lungo che sia, ma vuole essere seguita sempre, senza limiti cronologici che possano giustificarne un eventuale possesso.
La cultura non si esaurisce in un momento, breve o lungo che sia, ma vuole essere seguita sempre, senza limiti cronologici che possano giustificarne un eventuale possesso.
Va da sé che chi la sbandiera ai quattro venti, non solo non la possiede ma pure non l’ha mai vista nell'operato degli altri.
Allo stesso modo, in vero, anche
chi sottolinea con enfasi di averla incontrata in questo o in quel posto sta
solo tentando di farsi bello. Con la cultura degli altri.
Non si arriva ad ottenerla, la
cultura. E una cosa che non si
padroneggia non può essere esibita, tanto meno ci si può presentare in qualità
di strenuo difensore o di illuminato detentore.
Riconoscere, tuttavia, di averla
incontrata in alcuni fatti o nelle testimonianze altrui, è azione di grande
umiltà.
Ma come si può riconoscerla senza sbandierarla?
Ma come si può riconoscerla senza sbandierarla?
Sì, si può. Rimanendo
in silenzio e non pronunciando parole che sono troppo “grosse” per noi.
Si rimane in silenzio, umilmente.
Si rimane in silenzio, umilmente.
E umiltà è sicuramente una caratteristica
dell’individuo colto, di colui che non dice “io” (ho fatto, ho condotto, ho
capito, sono riuscito).
Io non parlo di cultura. Non sono
in grado di farlo.
Mi limito ad apprezzarla nelle
persone che la mostrano nel silenzio.
E lo faccio in silenzio, pur’io.
E lo faccio in silenzio, pur’io.
Concetta D’Orazio
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