Un estratto dalla mia raccolta di racconti "Riprendiamoci il Natale"
In
paese le persone si conoscono tutte.
Ci
conosciamo talmente bene che abbiamo accettato una sorta di catalogazione
immaginaria di tutti i vari compaesani.
L’archiviazione
è il risultato di anni di osservazione condotta da dietro alle finestre, oppure
dai tavolini del bar.
I migliori archivisti sono quelli che si affacciano dai balconi degli edifici, posti intorno alla piazza. Sono persone attente, ligie a quel dovere di selezione. Non mancano in ogni occasione di mettere un bollino di qualità sui singoli cittadini del piccolo paesello.
Il
catalogo dell’archivio prevede che i
compaesani siano prima isolati ciascuno nella propria area di competenza,
rilevata in base al sesso e all’età, adulta, giovane e quella dei bambini.
Seguono poi le distinzioni più specifiche che riguardano l’occupazione, gli
interessi.
La
colonna evidenziata, nell’immaginario schema di catalogazione generale, è
riservata all’attribuzione della qualità: adultera, tirchio, beone, viziosa,
pettegolo, megera e santona.
La
casella dei vizi, per fortuna, non ammette nomi di giovani e giovanissimi
infanti, anche se essi riceveranno poi il bollino di “erede-qualità”, calcolato
sui vizi dei genitori e dei parenti adulti prossimi. Così da essere indicati con perifrasi quali “il figlio di Smolletto
l’ubriacone” o “il nipote di Smezza la tettona”.
(Da Riprendiamoci il Natale, dicembre 2013)
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