Tavola apparecchiata per tutti. La domenica era domenica. E non si discuteva.
Sono cresciuta con l'idea che il giorno festivo dovesse rendere indietro il tempo che avevamo consumato ognuno per proprio conto, occupato nelle personali attività, durante la settimana.
Così, di domenica, ciascuno dei componenti della famiglia andava ad occupare il posto assegnato a tavola, potendo finalmente godere di un margine di libertà dagli impegni del quotidiano: lavoro, scuola e così via.
Come pezzetti di puzzle che si incastravano a meraviglia, le parti recuperavano la loro identità di gruppo consanguineo.
E se la riprendevano attorno al desco.
La nostra, insomma, era la domenica come quella di tante altre famiglie, ma, come tutte le domeniche di ogni famiglia, quella era la nostra. E basta.
Ed ognuno aveva la propria.
Ed ognuno aveva la propria.
Avevamo le pietanze di gran cerimonia: la pasta fatta in casa, un secondo più elaborato. E finalmente il dolce. Quasi sempre.
I tempi sono cambiati ma ancora, oggi, mi piace sempre celebrare, sì, con gran daffare (mio) e magno cum gaudio (sempre mio) la giornata dedicata.
I fornelli si attivano dal pomeriggio prima, quando è possibile: preparo ragù, anticipo semmai per gli gnocchi del domani o comunque la pasta all'uovo fatta a mano.
Mi piace sottolineare che un giorno, quel giorno appunto, sia diverso dagli altri. Sia di "stacco" e di riposo, nonché di riflessione. Con i minuti pomeridiani consumati dentro casa.
Anche un paio di avvio-lavatrice poi ci stanno bene, eh.
Concetta D'Orazio
Nessun commento:
Posta un commento
Scrivimi, leggerò con piacere. Grazie