venerdì 20 marzo 2015

Editing. Un lavoro necessario?

(Articolo completo)

Inutile ripeterlo: oggi tutti sappiamo scrivere
Non aggiungo i consueti punti interrogativi, a coppie di due alla volta, o, peggio ancora, terni di esclamativi, a sottolineare che ho appena fatto una delle mie solite battute.

Ma torniamo a noi.
Dunque la verità è questa: tanti azzardano con la penna a comporre storie, più o meno entusiasmanti, più o meno lunghe, più o meno buone. 
Tutta la mia benedizione a questi molti, fra cui mi colloco anche io. Perché dovremmo rinunciarci? Lo avevo già detto (qui) ed è inutile che lo ribadisca ancora.

La questione si fa difficile quando tra tutti i "molti" di prima occorrerà fare una selezione fra le opere infinite che loro metteranno a disposizione di pubblico leggente.
Se tutti sappiamo scrivere, non è detto che tutte le opere (romanzi, racconti) siano perfette. 
Non lo sono perché non basta una penna sola per segnare una compiutezza del libro. Affinché un testo risulti ottimamente composito e naturalmente coerente, è necessaria l'interazione fra chi ha messo in atto lo scritto (autore) e chi ha occhi esterni al prodotto. Non mi riferisco ora al controllo di piccoli errori che possono essere di battitura o di disattenzione. Neppure alludo ad imprecisioni lievi in senso grammaticale. Per questi, è necessaria una visione da parte di una persona che abbia un allenamento adeguato a snidare eventuali sgrammaticature o segni fuori posto. 

L'osservazione altra, chiamiamola così, a cui un autore dovrebbe sottoporre il suo testo, è necessaria al fine di un miglioramento del libro sotto diversi punti di vista che, per questioni di spazio e di tempo, riassumo in: 

- questione linguistica;
- coerenza cronologica e di ambientazione;
- gestione della linearità e scorrevolezza del testo;
- rispondenza dei caratteri e delle caratteristiche dei personaggi;
- adeguamento del testo ad eventuali (sottolineo eventuali) necessità di pubblico a cui deve essere offerta l'opera;
- eliminazione di "materiale" inutile che appesantisce e rende difficoltosa la comprensione di tutto il testo.

Per non dilungarmi ulteriormente sulle diverse proprietà del lavoro di editing, vi rimando ad un mio precedente brano (qui).

Dunque, fatte queste premesse, chiediamoci: è proprio necessario sottoporre il testo ad un "ripensamento"?
Abbiamo bisogno di affidarci ad un editor?

Quando si affronta questo dilemma, solitamente, nasce spontanea un'altra questione: è cosa solo moderna tutto questo rimestar le carte, aggiungere, tagliare, assottigliare, cambiare di titolo, aggiustare il finale? Come facevano i "grandi" del nostro illustre passato letterario?

Per alcuni la risposta potrebbe scaturire velocemente: i nomi gloriosi della letteratura facevano tutto da soli, a differenza di alcuni (tutti?) autori moderni, che hanno bisogno di una figura professionale che li accompagni nella redazione, arrivando addirittura a capovolgerne alcuni tratti.
Sappiamo bene che così non è.
La storia della letteratura, come raccontano i miei adorati testi universitari, avalla piuttosto la tesi che le grandi opere letterarie sono frutto di contributi intellettuali, diretti e indiretti, di disquisizioni e carteggi.
E da tutto questo: quante correzioni, cambiamenti in itinere e conclusivi!

Certo, a seconda del periodo storico in cui questi libri nacquero, il "collaboratore" dell'autore non si chiamava editor, ma l'utilità e la convenienza della sua opera, così come quella di tanti professionisti moderni, non possono essere messe in discussione.

Pensiamo a Manzoni, per dire, che, secondo me, rappresenta proprio un esempio di autore che si avvale dei consigli di altri che, all'epoca, non si dicevano editor, ma che diedero un contributo, diretto e indiretto, alla nascita del capolavoro.

Ebbene il romanzo dell'illustre Alessandro è la dimostrazione di come il riesame di un'opera debba essere condotto servendosi della collaborazione di altre personalità o comunque figure professionali adeguate.

La  redazione del suo romanzo storico, dal Fermo e Lucia ai definitivi Promessi Sposi, fu il frutto di un'interazione costante con altre persone.
Conversazioni e carteggi ne sono la prova.
Insomma, l'autore arrivò alla edizione finale, avvalendosi di diversi "nutrimenti" critici e consigli di varia natura, seppur in variegata modalità e differente misura.
Anche in base a quelli, e non soltanto per considerazioni e ripensamenti personali, mutò la natura del suo testo, per alcuni aspetti.
Manzoni compì rivisitazioni e aggiustamenti continui, potendo contare sulla collaborazione di validi intellettuali.

Abbiamo detto collaborazione?
E cosa fa l'autore di oggi? Si avvale dell'assistenza di una figura professionale che ora ha un nome: editor.

Un tempo i "revisori" erano individuati nella cerchia di persone ritenute capaci di consigliare.
Oggi esiste la figura professionale vera e propria, l'editor appunto, che svolge il suo lavoro a pagamento. Il risultato è sempre lo stesso: lavorare insieme ad altri, al fine di ottenere un'opera compiuta e perfetta, sotto diversi punti di vista (coerenza, lingua, etcetera).

Ed eccomi infine a fornire una risposta alla  domanda iniziale: è necessario affidare la supervisione di un'opera a uno o più revisori?
Saper scrivere bene, l'ho appena detto, non è sufficiente per produrre un'opera perfetta. Chi scrive in solitudine non è più scrittore di chi cerca i consigli di altre persone, arrivando addirittura a ripensare alcune caratteristiche di quanto ha prodotto (libro).
Insomma, non si diventa automaticamente meno "grandi", a lasciarsi aiutare.
Anzi, l'aiuto esterno è importantissimo al fine di produrre un'opera "grande" appunto.

Quando la consulenza in termini di editing è assicurata dal patrocinio di una casa editrice, l'operazione, se vogliamo, diventa più semplice. Si viene seguiti, consigliati, incoraggiati.
Problemi diversi deve risolvere lo scrittore che si auto-pubblica (indie) che, tra le altre cose, deve affrontare pure la ricerca di un collaboratore, figura capace di affiancarlo, nel difficile cammino che porterà alla "produzione" dell'opera. Occorrerà quindi riuscire a trovare una persona con cui entrare in primo luogo in sintonia.

Per ricollegarmi alla figura del collaboratore nel corso dei secoli, vi lascio una domanda: forse che fare editing oggi non equivale ad uno scambio di vedute, a volte contrapposte, spesso antitetiche, attraverso un carteggio digitale?


Concetta D'Orazio

2 commenti:

  1. Certo, non vi è dubbio che anche lo scambio di vedute sia una forma di editing. Così è avvenuto in passato, tra persone che si conoscevano, che avevano interessi simili, e che ovviamente avevano una certa reciproca stima, e così avviene oggi. Il problema è che l'autore si affeziona la propria opera, quasi come un padre dei confronti del figlio, e quindi non tanto il pensiero di poter cambiare una parola, quanto quello di dover eliminare un'intera frase e, a volte, un intero capitolo, lo angoscia, lo rattrista, lo induce a coccolare amorevolmente La propria creatura e a respingere sdegnosamente le obiezioni che gli vengono fatte.Questo è un atteggiamento umano, anche perché lo scrittore, qualsiasi tipo di scrittore, è sempre un poco presuntuoso ed è più portato a pensare che siano gli altri che non riescono a penetrare la profondità del suo pensiero. Così non è stato nel caso del Manzoni, citato dall'autrice di questo blog. Chi ha avuto la fortuna e la possibilità di leggere le numerose stesure che hanno preceduto quella finale dei "promessi sposi" può facilmente rendersi conto di quali e quanti siano stati gli stravolgimenti completi che avuto l'opera nel suo complesso. Pagine e pagine di descrizioni, tra l'altro scritte benissimo, ma nel complesso noiosissime, sono state completamente eliminate. Anche se, con la mentalità moderna, persino il poetico "addio ai monti sorgenti dalle acque" suscita nei nostri irrequieti adolescenti una doverosa serie di sbadigli.

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  2. Lo scrittore ama la sua opera come se fosse un figlio. Ogni scrittore però dovrebbe saper affidare la cura delle sue produzioni ad altri occhi esterni che permettono uno sguardo d'insieme più distaccato e, per questo, più oggettivo. Io purtroppo sono la prima a non riuscire a distaccarmi da ciò che scrivo, dunque sono un pessimo esempio.

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Scrivimi, leggerò con piacere. Grazie