giovedì 28 dicembre 2023

I codici manoscritti, la stampa, la diffusione dei testi e l'editoria.





Editoria, etimologia

Il verbo latino ēdo, ēdis, edidi, editum, ēdĕrha vari significati che vanno dal mandare fuori, in senso generico, al produrre, al partorire, al divulgare, diffondere.


Con il termine editoria s'intende il complesso di tutte quelle attività che servono alla pubblicazione di contenuti, a stampa e digitali.
La diffusione può avvenire in varie forme, per vari canali, su diversi supporti, come ad esempio la carta o la pubblicazione via Web.
Un tempo l'idea di pubblicazione era pressoché riferita al campo dei libri, oggi essa include numerose modalità, di cui la produzione di testi cartacei rappresenta solo una parte: si pubblicano libri di carta, così come libri digitali, e-book, testi destinati alla comunicazione digitale.

Storia

Cicerone riferendosi agli scriptores affermava nisi qui forte nondum ediderunt (Cic, Leg. 1.7), se non per caso coloro che hanno già pubblicato.

Certo, ai tempi di Cicerone, pubblicare e dunque trasmettere un proprio scritto aveva un significato diverso da quello che conosciamo noi. Il testo doveva essere ricopiato tante volte quanti erano i libri, i volumina, che si desiderava ottenere. Le difficoltà che questo tipo di edizione incontrava erano molteplici, dal reperimento dei materiali da utilizzare come supporto, papiro o pergamena, a quello delle persone che fisicamente erano preposte a copiare. Non esistevano editori veri e propri, la pubblicazione, cioè la condivisione degli scritti, era attività favorita dall’entusiasmo operoso di alcuni animatori culturali, come nel caso di Attico, cui Cicerone indirizzò le sue epistulae (Epistulae ad Atticum). Possiamo ritenere Tito Pomponio, detto Attico per via della sua passione per la cultura greca e la permanenza ad Atene, il primo editore, dato che, grazie ad una vasta schiera di copisti e lettori al suo servizio, pubblicò numerosi libri latini e greci e le opere di Cicerone.

Nel Medioevo, l'attività di redazione delle copie dei manoscritti (manu scriptus, scritto a mano), testi antichi e classici era affidata al lavoro degli amanuensi, monaci a cui era commissionato la preziosa mansione di trasmissione delle opere dei classici. Essi si impegnavano alacremente nei locali adibiti alla copiatura, gli scriptoria. Il lavoro svolto nello scriptorium comprendeva anche tutta la cura necessaria alla conservazione del manoscritto, il codex. I libri così ottenuti dalla copiatura venivano inizialmente custoditi in contenitori atti all'uso; più tardi nacquero le biblioteche. 

I codici manoscritti venivavo ricopiati sulla pergamena, fatta di pelle di capra o di pecora, materiale che aveva sostituito il papiro, più fragile e più difficile da reperire.

Gli scriptoria medievali ebbero una fondamentale importanza per la conservazione delle grandi opere del passato, dell'antichità classica.

In questa fase di conservazione e trasmissione dei testi giocarono un ruolo molto importante le abbazie (Montecassino, Bobbio, Casamari ...).


Abbazia di Casamari




In epoca medievale, inoltre, esistevano anche alcune botteghe artigiane in cui si  trascrivevano manoscritti. L'artigiano era dunque colui che produceva il libro, ricopiandolo o facendolo ricopiare. Una figura di editore sui generis, possiamo dire, diversa sicuramente da quella dell'editore moderno, in quanto egli poteva solo riprodurre i libri servendosi di amanuensi che replicavano il testo in un determinato numero di copie, che venivano quindi distribuite e vendute  L'editore era anche libraio, anzi soprattutto libraio, e la sua sfera d'azione era molto ridotta, se paragonata a quella dei tempi moderni.

La maniera di pubblicare le opere scritte ebbe una decisiva evoluzione quando, a metà del millequattrocento, Johannes Gutemberg sperimentò la stampa a caratteri mobili: caratteri metallici venivano accostati su di un telaio e quindi inchiostrati, per essere poi impressi.
In realtà la stampa, seppur con diversa modalità e con matrici di legno, era già conosciuta in Cina.
Grazie alla tecnica con i caratteri mobili, nella nostra civiltà, veniva finalmene permessa la pubblicazione in serie dei libri.
I primi libri, stampati tra la metà del 1400 e il 1500, si chiamarono incunaboli, dal latino in cuna, nella culla, vale a dire libri in fasce, cosiddetti anche perché i caratteri mobili venivano tenuti fermi con delle fasce.
Le stampe prodotte dopo il 1500 furono dette cinquecentine.
In seguito alla grande scoperta della stampa a caratteri mobili, tutta la maniera di far conoscere le opere del passato nonché quelle contemporanee incontrò un naturale progresso.
Nacquero e si svilupparono le botteghe tipografiche, vale a dire piccole e grandi aziende che si occupavano di produrre libri e fogli stampati attraverso la nuova tecnica. Nel XV secolo, nel particolare, Venezia fu territorio fecondo per questo tipo di imprenditoria.
Nei primi anni del 1500, maestro dell'arte della stampa e della tipografia fu l'umanista Aldo Manuzio, considerato uno dei più grandi stampatori-editori del Rinascimento; a Venezia fondò la sua famosa tipografia, dove nacquero le Edizioni aldine. A Manuzio, oltre alla sistemazione della punteggiatura, alla numerazione per pagina, recto e verso, si deve il cosidetto aldino, il carattere tipografico corsivo
Il carattere italic è chiamato così proprio perché questa forma fu ideata per la prima volta in Italia, appunto da Aldo Manuzio. 
Grazie al corsivo, Manuzio potè stampare edizioni di piccole dimensioni, tascabili, in formato in ottavo. Con queste innovazioni, il libro, che prima era stato accessibile a pochi, diventò disponibile per un pubblico molto più vasto.

Il libro prodotto in serie acquistò, quindi, il carattere di una merce. Come tale, esso doveva essere perfetto o almeno cercare di non contenere un gran numero di errori. Nacquero una serie di passaggi, o di attività che dir si voglia, precedenti e successivi alla stampa, finalizzati all'ottenimento di una buona merce da distribuire. 
Nelle stamperie e tipografie il lavoro necessario alla produzione di un libro iniziò a diversificarsi; ogni operazione, dalla messa a punto del testo, alla correzione delle bozze, alla cura editoriale, alla pubblicazione e alla distribuzione, favorì, a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, la nascita delle Case editrici, come noi le intendiamo.

A questo punto è necessario fare una doverosa precisazione: non è possibile parlare di editoria vera e propria fino a quando in Italia non si arrivò a concepire l'idea di una lingua unitaria. Ai tempi di Manuzio, le opere scritte, se non in latino e greco antico, erano in volgare.
I volgari erano diversi, a seconda delle diverse aree della nostra Penisola e così differenziati erano gli scritti dell'epoca. 
La varietà di scriptae, cioè di lingue scritte, nel Quattrocento si andò via via evolvendo verso una forma comune che sul volgare toscano appoggiava le proprie basi, dato il prestigio da esso acquistato nel corso del Trecento.
L'attività di Manuzio si incontrò con quella di Pietro Bembo, che curò alcune opere delle Edizioni Aldine e che fu illustre attivista nella cosidetta Questione della lingua.

Nel Cinquecento si diffusero le prime grammatiche e i vocabolari (lessici).
Nacquero poi i primi periodici e si allargò il pubblico a cui le stampe erano destinate, soprattutto in seguito all'aumento del numero delle persone alfabetizzate; si rinnovarono biblioteche e accademie letterarie.

Solo nell'Ottocento, tuttavia, si può parlare di editoria nel senso moderno del termine, quando il pubblico si amplia, le collane si diversificano e la figura dell'editore assume un ruolo più definito, dovendosi egli occupare di curare l'intero progetto editoriale che ruota attorno alla produzione del libro, fatto di autori, redattori, revisori, grafici.

Ai giorni nostri l'attività editoriale ha dovuto adattarsi alle nuove forme di comunicazione aggiungendo al suo interno una vasta specializzazione ad essa riservata. 
Il digitale si affianca alla stampa tradizionale. Le opere raggiungono i fruitori attraverso una serie di canali diversificati e complessi che l'editore non può non curare.



Concetta D'Orazio


venerdì 3 novembre 2023

Mente, fisico e natura

 



In simbiosi con la mia mente
è il mio fisico.
E fisico e mente, poi, procedono in empatia con i capricci della natura.
Come quel suono sbarrato, a metà fra un singulto e uno sbadiglio sbagliato, è portato dal vento, così un rumore molesto colpisce la mia riservatezza.
Un soffio molto spinto di folata, di raffica e sbuffo: a questo risponde il mio corpo, innervosito dal rumore, fa sentire le sue giunture scricchiolanti.
La testa si piega di qua e di là, quasi ad assecondare l'aria che rimbomba e squassa e raglia con una voce arruginita.
Vorrei che tutto questo finisse, che la terra si potesse finalmente quietare, godendo del riposo stagionale che le è concesso.
Che il suono di disturbo di questa corrente così aggressiva lasci il posto al sussuro, lieve e frizzante, dell'aria novembrina, lo desidero.
E che io possa finalmente respirare un pezzo di tranquillità.
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venerdì 27 ottobre 2023

Scrivere per campare

 



Scrivere per campare


Chi è lo scrittore fantasma?
Un ghostwriter è la persona che, per così dire, ti impresta la penna.
Per essere precisi: è lo scrittore che scrive al tuo posto, poi ti vende la carta (scritta), dietro compenso deciso in precedenza.
Non è corretto quindi dire che lo scrittore fantasma ti presta la penna; egli ti permette di far credere tuo ciò che tuo, in effetti, non è.

E cosa può scrivere un ghostwriter?

Non ci sono limiti: articoli, romanzi, saggi, recensioni, addirittura tesi di laurea, discorsi politici, interventi destinati alla televisione. Insomma il ghost può scrivere tutto. Di certo sarà necessario che egli s'informi prima su argomenti che non padroneggia, su situazioni che non conosce.

Si potrebbe pensare che lo scrittore fantasma sia un autore di seconda scelta, perché scrive per campare e si adatta a tutto.

Si potrebbe credere che il ghostwriter sia un romanziere che non ce l'ha fatta.
È vero semmai il contrario: questo professionista deve accomodare la sua penna alle esigenze del cliente. Deve scrivere con il suo (del cliente) animo e con il suo (del cliente) cervello.
Deve, infine, convincere il cliente della sua (del professionista) bravura.
Pensate che sia facile tutto ciò?
Il ghostwriter dunque è maestro nell'adattare, nell'adeguarsi, nell'aggiustarsi all'occasione.
Più che maestro è un mastro. Un artigiano della parola.

Occorre poi considerare il lato affettivo della questione: sapete com'è difficile partorire un brano e darlo subito dopo in adozione?

È un po' come sentire quel tuo pezzo (nel senso lato ma anche preciso del termine), che rimane sempre in fondo al tuo cuore, anche se magari sai bene che, in fondo, è solo la descrizione meticolosa delle istruzioni da seguire, per montare una motozappa a benzina!

Concetta D'ORazio


#ghostwriter

Il vento

Il vento è come la rabbia,

fa avanti e indietro, si accanisce sul momento, poi si ritira.
Potrebbe trasformarsi in carezza, addolcendo le sue maniere,
ma questo il vento non lo sa.
Vuole farsi sentire, proprio come la rabbia, che non accetta di passare inosservata.
Essa si sente una regina.
Non lascia andare avanti nessuna collega, perché lei è sovrana e non ha compagne di lavoro.
Gentilezza, eleganza, educazione.
La rabbia sa che potrebbero oscurarla, perciò le tira da parte.
Essa primeggia.
Così il vento si impone sulla tranquillità, sulla brezza, sulla luce delle ore.
Le sferzate di rumore si avventano sulla quiete della giornata, rendendola insopportabile.
Finirà quel fiato a raffica, con il suo anelito confuso, aggrovigliato nella distruzione.
Le folate di ira si scanseranno, lasciando nuovi spazi a novella pace.

giovedì 12 ottobre 2023

Consapevolezze

 Consapevolezze


Potrei rubare i momenti,
ma gli attimi non si prendono, si sorprendono.
Potrei strofinare il tempo,
ma l'età non si stropiccia, si accompagna.
Potrei respirare il nuovo,
se solo la novità mi lusingasse ancora.
Eccomi ad accettare finalmente le mie insicurezze,
a farne sfoggio,
come se fossero la mia bandiera.
Esibisco le incertezze, mostro i miei dolori.
Non li nascondo, quasi me ne vanto.
Ora posso, adesso ho l'età.

giovedì 25 agosto 2022

L'incipit

 




Importanza dell'incipit


Incipio in latino significa intraprendo, comincio; nell'uso filologico con la parola incipit, terza persona singolare del verbo incipio appunto, s'intende l'inizio di un testo, in riferimento alla prima parola o alle prime parole.

Volendo estendere il significato del termine, in relazione al campo editoriale, si può affermare che l'incipit non è solo limitato alla parola o alla frase iniziali di un testo, una pubblicazione, ma esso abbraccia tutto un intero brano o paragrafo.

Gli autori lo sanno, l'incipit è fondamentale come un asso nella manica.

Eh, va bene, ma perché dare tanta importanza all'inizio? 

Esso è la nostra presentazione! 

Prima di acquistare una copia cartacea di un libro, qual è la cosa che facciamo, oltre a dare uno sguardo alla copertina e alla quarta di copertina? Senza dubbio è quella di leggere l'overture del romanzo.

Allo stesso modo, prima di scaricare una copia digitale, clicchiamo sul pulsante "leggi l'estratto" e cerchiamo di capire se quello è un e-book che fa per noi. Per questi motivi l'inizio di un romanzo non deve mai deludere le aspettative del lettore: egli lo abbandonerebbe prima ancora di averlo acquistato.

Con la lettura del prologo, il lettore inizia ad avvicinarsi all'autore, ne palpa l'essenza, ne immagina i contenuti, ne studia la forma. Chi legge è già in grado di capire se quella storia potrà appassionarlo, se la forma narrativa si addice alle aspettative che nutre in quel momento.

L'incipit dunque dev'essere accattivante, seducente; dev'essere inoltre preciso nella resa sintattica, non che il resto non debba esserlo, s'intende, ma, piazzare un refuso, o peggio ancora un errore di ortografia, proprio all'inizio, non è che faccia fare una bella figura all'intero libro.

Non ha importanza cosa scriverete nel prologo: una descrizione? Un dialogo? Una riflessione? Con qualunque cosa abbiate deciso di iniziare, voi dovete riporre in essa tutta la vostra attenzione! 

Buon lavoro.


Concetta D'Orazio


Sì, perché le prime impressioni sono quelle che contano. Lo dicono sempre quelle persone che insegnano a scrivere.  
Le stesse che consigliano di non dilungarti, di non divagare, di non associare, di non aggettivare. Di non perderti d'avverbio. 
Di tirare dritto e mantenere il passo.
Di contare le battute e di misurare le vocali. (rif.articolo)


mercoledì 24 agosto 2022

Editing e correzione bozze: differenze



CORREZIONE DI BOZZE ED EDITING

Nell'ambito dei miei ragionamenti sulla questione relativa alla pubblicazione di un testo, rivolta soprattutto agli autori cosiddetti indipendenti, vale a dire a coloro che non si avvalgono del patrocinio di una casa editrice, volevo chiarire una questione importante.
Una volta terminato, il manoscritto deve seguire numerosi passaggi prima di essere pronto e perfetto. Tra gli amici autori, cioè tra coloro con cui scambiamo vicendevolmente favori in fatto di letture e revisioni, sono diversi coloro che mi scrivono per chiedere indistintamente un aiuto per la correzione delle bozze e per l'editing, dimenticando spesso che fra queste due attività editoriali c'è una notevole diversificazione. 

Qual è la differenza?
Dunque, la mano del correttore di bozze individua e corregge:

- refusi;
- errori di tipo sintattico, vale a dire gli sbagli inerenti alla struttura della frase;
- resa della punteggiatura;
- uso impreciso dei caratteri, delle spaziature, secondo le direttive che ogni autore indipendente ha scelto di seguire oppure secondo le indicazioni della casa editrice;
- alcuni aspetti dell'impaginazione.

Cosa fa un editor?

L'editor è una figura più complessa che si affianca di pari passo all'opera dell'autore, rendendone chiari gli intenti e aiutandolo nella resa della narrazione.
Questa figura è indispensabile alla buona riuscita del libro: autore ed editor devono procedere in perfetta simbiosi empatica, nel corso della scrittura. 
L'editor si preoccupa di analizzare ogni brano di un'intera opera e vedere se essa è:
- congruente;
- lineare;
In fase di editing si analizzano ed eventualmente si correggono:
- le caratterizzazioni dei personaggi;
- la coerenza delle azioni;
- la congruenza fra epoca storica di ambientazione, usi e costumi, linguaggio utilizzato.
Ultima ma non meno importante fase della revisione è quella dell'eliminazione di tutti i brani inutili alla narrazione.


Concetta D'Orazio

domenica 20 marzo 2022

Abruzzese, διάλεκτος, lingua




Il greco, il latino e l'abruzzese.


L'abruzzese è davvero un dialetto? 
Possiamo accostarlo ad un idioma completo ed indipendente?

Per prima cosa diamo corretta interpretazione dei termini. Le lingue classiche, come sempre, vengono in nostro aiuto grazie alla comune origine indoeuropea.

In greco antico, il termine διάλεκτος indica un modo di parlare definito dall'utilizzo in una determinata zona. Una lingua precisa usata in un preciso ambiente, circoscritto.
Il dialetto è un modo di esprimersi "usuale", comprensibile da tutti coloro che abitano in quel territorio.
Esiste un dialectus anche in lingua latina, con lo stesso significato.

Altra cosa è la κοινὴ, espressione al femminile dell'aggettivo κοινός, il cui significato è quello di "comune". 
La koiné è la modalità di comunicazione, vale a dire la lingua, utilizzata da un vasto numero di persone, insomma l'idioma considerato universale. Generalmente tale idioma si è formato da un dialetto "principale", cioè più diffuso e/o più conosciuto che, per così dire, prende il sopravvento rispetto agli altri.

L'aggettivo κοινὴ lo accostiamo a γλῶσσα, la lingua intesa anche come strumento per comunicare. Dunque molto più vicina, nel senso, alla lingua,ae  del nostro latino che, tra le diverse valenze di significato ha proprio quella che si riferisce alla parte anatomica.

Γλῶσσα κοινὴ, quindi, è lo strumento di comunicazione utilizzato da un nutrito gruppo di persone, generalmente una popolazione stanziata su un determinato territorio. Esse, per comprendere e farsi comprendere, adoperano un registro comune che risponde a dettami e norme precise, in fatto di grammatica, lessico, pronuncia, utilizzo dei termini. 
Ciò che caratterizza una lingua, dunque, è proprio il fatto che coloro che la utilizzano accettano di rispettare determinate regole.

Possiamo dunque argomentare una sostanziale differenza fra γλῶσσα κοινὴ, quella che in latino diventa communis lingua, e che in italiano ci limitiamo a definire lingua, e il dialetto. 
Quest'ultimo appare limitato ad una zona circoscritta, in termini di spazio geografico, utilizzato da un nucleo di persone ivi stanziate. 
È importante sottolineare che il dialetto non si distacca dalla lingua ufficiale, ma ne è una "propaggine" e come tale differisce solo in alcuni minimi aspetti, quali la pronuncia, la cadenza che produce la cosiddetta inflessione o accento, al limite l'utilizzo di qualche parola caratteristica.

Ma procediamo ancora nell'argomentazione di prima.
Analizzando la parola διάλεκτος con maggiore precisione, vediamo che essa deriva dall'unione di διά e di λέγομαι

La preposizione διά ha già in sé insito un significato di movimento, dunque contiene un'immagine di un luogo non predefinito ma in costante divenire. Il movimento "attraverso per" ci fa ragionare sulla natura di quanto intendiamo con il nostro dialetto, in lingua italiana.

Dunque διά λέγομαι equivale a "dico attraverso": il verbo indica la parlata in cambiamento, o meglio il cambiamento della parlata, attraverso lo spostamento fisico da un luogo ad un altro.
Possiamo affermare che il dialetto è una variazione territoriale della lingua comune ed ufficiale, che non differisce da essa in maniera considerevole, con variazioni grammaticali, ad esempio con differente utilizzo delle parole, con l'utilizzo o meno di determinati modi o tempi verbali.

Arriviamo ora a ciò che ha mosso all'origine questo mio studio. 
Quanto l'abruzzese può definirsi lingua e quanto invece dialetto?

Sulla differenza, in italiano, fra lingua e dialetto molto è stato detto e scritto. E ancora gli studi sono vivaci.

Ripeto che una lingua per essere riconosciuta come tale, da tante persone, deve avere insito in sé un meccanismo di comunicazione che si basa su norme determinate che la fanno diversificare da altri idiomi.
Tali norme riguardano la sfera sintattico-grammaticale, quella semantica, quella della pronuncia e quella della esperienza nel tempo, che porta all'evolversi di diversi termini o modi di dire.

L'abruzzese ha una grammatica che lo rende differente dall'italiano, risponde a regole fonetiche specifiche e vanta una lunga storia che ha visto questa parlata mutare nel tempo.

Persino la costruzione delle varie proposizioni spesso differisce dall'italiano.
Faccio qui solo qualche esempio.
La proposizione interrogativa, in abruzzese è spesso introdotta dal "che".

Che me le se preparate chela  carte? - Me l'hai preparata quella carta?

Il condizionale è pressoché inesistente.
La proposizione ipotetica, nelle sue valenze della possibilità e dell'irrealtà, infatti, trova accostati nella protasi e nell'apodosi due congiuntivi, in vece di un congiuntivo ed un condizionale.

Le facesse, se putesse. - Lo farei, se potessi.

Non esiste il futuro

Nell'abruzzese ci sono alcuni suoni che non troviamo in lingua italiana: tra questi, quello più comune, è la pronuncia sct del binomio consonantico st.

La strade = (pronuncia) la sctrade.

Altra differenza con la lingua italiana è la presenza della cosiddetta vocale finale (o anche intermedia) indistinta. La vocale c'è ma non si sente. (Ricordo che, per mia comodità l'ho indicata con un colore diverso da quello del resto della parola, evitando di ricorrere al simbolo ufficiale).

La cas= (pronuncia) la cas.

Non mi dilungo troppo con gli esempi. Concludo dicendo che l'abruzzese non può essere considerato come dialetto, vale a dire come una variante territoriale della lingua principale, cioè dell'italiano. 
Possiamo dunque classificarlo come lingua.
Naturalmente si continuerà a definirlo dialetto, sia per comodità, e sia perché, per assurgere al ruolo (titolo?) di lingua, è necessario anche il riconoscimento ufficiale da parte di comunità scientifiche.

Azzarderei affermare che proprio all'interno della lingua abruzzese si sono diversificate varie parlate, differenti soprattutto nel suono, ma non solo. 

Queste numerose parlate che esauriscono la loro valenza nell'ambito di realtà territoriali circoscritte potrebbero quasi essere assimilate a dialetti: dialetti derivanti dalla lingua abruzzese.

Concetta D'Orazio

martedì 25 gennaio 2022

Riflessioni a tempo - Allenamento

La mente va tenuta allenata al pari del fisico. Come quest'ultimo si affloscia con l'inerzia, così quella si adagia sulla confusione essendo trascurata.

lunedì 20 dicembre 2021

Calendario dell'Avvento d'Abruzzo - Lunedì, 20 dicembre 2021

Buonasera, nel nostro Calendario dell'Avvento d'Abruzzo, edizione 2021, siamo arrivati ad aprire la casellina relativa a lunedì 20 dicembre.

Vi propongo l'immagine della via in salita che conduce al Monumento ai caduti, posto in cima alla montagna di Ovindoli (AQ), ad un'altezza di 1400 metri circa. Da questo punto della città la vista si fa meravigliosa!



La città di Ovindoli si trova sull'Altopiano delle Rocche, nel Parco Naturale del Sirente Velino.
Splendida in tutte le stagione, in inverno è località rinomata per gli impianti sciistici.

A domani,
Concetta D'Orazio










Calendario dell'Avvento d'Abruzzo - Domenica 19 dicembre 2021

Nel Calendario dell'Avvento d'Abruzzo, edizione 2021, apriamo la casellina di domenica 19 dicembre.
Ricordiamo un cibo che sicuramente sarà presente sulla tavola dell Vigilia di Natale:
lu baccalà, il baccalà.




Sono molti i modi in cui proporre il baccalà: in umido con salsa semplice di olio e prezzemolo, arrosto oppure fritto.

A domani, 
Concetta D'Orazio





sabato 18 dicembre 2021

Calendario dell'Avvento d'Abruzzo - Sabato 18 dicembre 2021

Eccoci, ormai a Natale manca solo una settimana. Le cucine abruzzesi sono in fermento, le pentole fumano già. Da noi la preparazione alle cene e ai pranzi natalizi inizia con largo anticipo.




Nell'aprire la casellina di oggi, sabato 18 dicembre, del nostro Calendario dell'Avvento d'Abruzzo, edizione 2021, voglio riproporre la ricetta di alcuni dolcetti che sulla tavola della nostra famiglia non mancano mai, le totere.



Ingredienti

1 cucchiaio di olio e 1 cucchiaio di zucchero per ogni uovo (la dose media è di 4 uova).
Mezza bustina di lievito per dolci (aumentare la quantità a seconda del numero di uova. Mezza bustina va bene per circa 4 o 5 uova).
Farina quanto basta ad ottenere un composto morbido, malleabile ma resistente alla lavorazione.
Crema gialla o crema al cioccolato o crema chantilly per la farcitura.
Per la realizzazione di questa ricetta occorrono stampi a forma di cono.


Preparazione

Disporre tutti gli ingredienti sulla spianatoia ed impastare fino ad ottenere un composto che non si attacchi alle mani e possa essere lavorato facilmente nell'apposita macchinetta.

Dopo aver passato la pasta più volte nella nonna papera, avrete tante piccole sfoglie da tagliare in striscioline di larghezza di circa 4 cm.
Avvolgere le strisce attorno agli appositi stampini a forma di cono, avendo cura di stringere il più possibile la pasta, per evitare che si decomponga durante la frittura. 
Occorre quindi friggere i cannoli in olio molto bollente, girandoli in continuazione per evitare che la pasta si annerisca e si bruci. Disporre su un piatto i cannoli fritti, dopo aver fatto scolare l'olio.

La crema. Le possibilità sono due: o la fate o componete quella già preparata nelle bustine cui occorre aggiungere solo il latte freddo. Io preferisco le creme pronte, per motivi logistici ma anche perché sono molto buone. Dopo aver preparato la crema (gialla, al cioccolato, chantilly) introdurla (calda) nei cannoli fritti. Lasciar raffreddare, a temperatura ambiente, e servire.


A domani,

Concetta D'Orazio


venerdì 17 dicembre 2021

Calendario dell'Avvento d'Abruzzo - Venerdì, 17 dicembre 2021


Buonasera, eccoci ad aprire la casellina di venerdì 17 dicembre, nel nostro Calendario dell'Avvento d'Abruzzo, edizione 2021.




Questa occasione la dedichiamo ai rustici abruzzesi al formaggio di cui ho scritto più e più volte. I fiadonetti non mancano mai sulle tavole delle feste. Anche se vengono soprattutto preparati nel periodo pasquale, essi si ritrovano anche nei banchetti delle feste natalizie, spesso serviti fra gli antipasti.

Caratteristica dei fiadonetti è il goloso connubio fra formaggio, uova e vino bianco.


Ingredienti per l’impasto


1 bicchiere di olio
1 bicchiere di vino bianco
farina  ”ad occhio”, secondo la famosa teoria della farina che si tira l’impasto, nota anche come teoria ad occhio della genitrice.
due cucchiaini di sale

Ingredienti per il ripieno

250 grammi di formaggio morbido di mucca
250 grammi di formaggio rigatino
6 uova

Preparazione

Disporre la farina a fontana e versare nel mezzo il bicchiere di olio, il bicchiere di vino bianco e il sale.
Impastare, inglobando la farina gradualmente fino ad ottenere un composto morbido facilmente lavorabile con il matterello.
Stendere la pasta ad uno spessore di circa mezzo centimetro.
Con il bordo di un bicchiere (o con altra formina adeguata) tagliare dei dischi rotondi con i quali si andranno a foderare gli stampini di alluminio.

Preparare il ripieno, mescolando i due tipi di formaggio, con le uova e disporlo all'interno degli stampini.
Con la pasta avanzata, formare striscioline da applicare a croce sul ripieno.

Cuocere per 30 minuti circa, a forno preriscaldato a 200°.

A domani,
Concetta D'Orazio