La pioggia si affaccia, poi cambia idea, tornando sui propri passi. Il cielo non la segue, rimane cupo, dello stesso sentore di umido.
Le gocce si allarmano per questa sua ritrosia e decidono dunque di imitarlo. Si rimettono per strada, lungo il sentiero che le farà precipitare, dall'alto in basso, seguendo quel loro inesorabile destino.
I vetri della mia finestra sembrano storditi dall'incessante picchiettio a cui sono sottoposti.
Il temporale si è già presentato e, sulla scena, perfeziona le proprie mosse, intensifica le battute. Recita la sua parte migliore, aspettando applausi da un pubblico assonnato.
E batte e gira. E illumina e poi rimbrotta, facendo ripiombare il mondo nell'incertezza del tempo.
Nei sotto-scala o nei laboratori approntati in emergenza, nulla pare più gradevole che dimenticare le scosse dei tuoni e gli abbagli dei lampi con il lavoro delle mani che rispondono ai progetti di un pensiero ingenuo e rilassato, ma sincero.
La composizione finale, è ormai deciso, sarà quella di un paesaggio natalizio. In fretta si pensa: c'è questo, c'è quello. Si fa così e si fa perché.
La prima idea corre subito al ristoro, forse per il fatto che risponde pure all'esortazione dello stomaco che, in queste atmosfere, non sostiene lunghi periodi di digiuno.
E voi avete ormai già pranzato da un paio di ore.
Il ristoro, dicevo: la prima costruzione del paesaggio sarà un'osteria.
La colla è sul tavolo, insieme al cartone, ai colori e alle tempere.
Si dovrà giocare di taglio e frattaglie: incidere le finestre, aprire le porte, squadrare tegole e mattonelle.
Qualche foto, ma non c'è tempo, prima di finire.
Colori e correzioni. L'opera prima è terminata.
L'assaggio iniziale ha ceduto il posto alla perfezione. Si comincia con poco, due pezzi di carta e un po' di colore.
Si dice sempre così e poi si termina ad assottigliare pure sfumature.
Ed ecco il risultato.
Concetta D'Orazio
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