domenica 14 giugno 2015

Uncinetti, merletti. Di bianco e di ecrù




Le sue mani si accavallavano, veloci. Quasi in preda ad un'isteria che le proveniva da un desiderio: la speranza che quel filo si attorcigliasse nel modo giusto e desse finalmente vita ad un lembo di pezza artistica.

No, mi correggo, la sua non era una speranza. Le dita avrebbero fatto girare l'uncinetto con un'abilità che non era stata soltanto appresa da piccola: la maestria nello spostare il ferro, in fretta, senza esitazione, le arrivava da dentro.

La sua non era una speranza. Era una certezza.

Un' artista sì, non potevano che appartenere ad una artista quelle dita ossute.
Le sentivo quasi scricchiolare a comando, o meglio ancora intonare un motivo andante e vivace, come se componessero una musica.



Ai miei occhi di bambina, di adolescente, e quindi di adulta, quel lavoro assomigliava ad una creazione meravigliosa. L'uncinetto non produceva solo merletti. L'uncinetto metteva in posa un desiderio interiore che non si trasformava soltanto in materia bella. 

Quel merletto non era uno schizzo da perfezionare. Mai lei avrebbe permesso che dalla composizione musicale delle sue dita potesse venir fuori solo un abbozzo.
Doveva essere perfetto. Di quella perfezione che quasi mette in imbarazzo.

Era imbarazzo, infatti, la sensazione che inizialmente provavo, guardando quelle opere d'arte di curve e di brogli sinceri di filo. Un imbarazzo buono, di quello che ti lascia senza parole e che ti fa guardare con occhi di ammirazione l'artefice di quel composto eccelso.

E menava il filo. E lo riprendeva. 
Lo passava sotto e lo faceva salire, stirandolo con le dita.
Era incontenibile. Era instancabile.

Alla musica si aggiungeva pure il movimento a tempo delle sue mani.



Musica, movimento cadenzato. Il ritmo che ne derivava era pure scandito da quel che raccontava.
Qualcuno avrebbe dovuto accompagnare con la voce quelle composizioni verbali e quelle mosse sceniche, dalla coreografia impeccabile.
E la sua voce infatti veniva dietro a musica e all'attività armonica.

Ascoltavo, guardavo. Ammiravo quel ballo di immagini. Mi impressionavo ai racconti.
Tutto insieme.

Non ho imparato, a tempo, a comporre merletti anch'io. Me ne dispiaccio.
Mi piacerebbe riuscire ad utilizzare almeno la penna, così come mia nonna usava l'attrezzo a lei tanto prezioso.


***

Mentre quel ferretto con la punta incurvata lavorava, senza pause, mi riempivo gli occhi, la testa e le orecchie.
Scenografie perfette dell'uncinetto.


Concetta D'Orazio







sabato 13 giugno 2015

Maria Celeste e la sua solitudine debilitante





La fragranza dell'assenza: la storia di Maria Celeste e della sua solitudine debilitante.

La giovane farmacista accompagna il suo fisico verso una profondità che è fatta di ricordi, di profumi rimasti appigliati alle sue ossa stanche. 
Ed è pure intrisa di un'antica fragranza rimasta nella memoria.

Ella si rende conto che sta mettendo a dura prova il suo corpo, allontanandosi dal cibo ma, nello stesso tempo non riesce a dominare quelle sensazioni di abbandono.

Maria Celeste trascorre la sua apparente esistenza nella normalità ma è consapevole di trovarsi in una sorta di limbo, che delimita la condizione di donna innamorata prima e di anima sola poi. 

All'improvviso, proprio mentre tenta di mantenersi in bilico in questa dimensione diversa, la giovane conosce singolari personaggi. Ognuno di essi è anticipato dal nome di una destinazione, contenuto all'interno di inusuali biglietti che le vengono recapitati.

In questo modo, ubbidendo agli ordini che le impartiscono quei fogli, la farmacista si trova a fare incontri inusuali.
Conosce così Luigi, l'enigmatico signore anziano. 
Chiacchiera sulla spiaggia con le due bellezze al bagno, ingessate in abbondanti costumi, Fiammetta e Fortunata.
Scherza con Marco.
Ma...chi sono in realtà quelle persone?

Ho già promesso dolcezza, continuo a prometterne: accompagnate Maria Celeste nel suo viaggio verso la consapevolezza.

Grazie.
Concetta D'Orazio



Letture veloci del Web. Riflessioni a tempo, patatine croccanti

Il Web, si sa, è veloce, selettivo. Il Web è anche po' presuntuoso: non ammette di perdere tempo dietro a lungaggini di testo e a testimonianze pesanti di parole.

Un giorno di inizio anno mi venne una mezza ispirazione, o forse solo una insignificante riflessione, la buttai lì. Da quel testo corto nacquero le mie Riflessioni a tempo: sono come le patatine, una tira l'altra. A volte devo proprio bloccarmi, per non proporne troppe, per non importunare troppo spesso. 

Devo mettere cura a presentarne una ogni tanto, onde evitare possibili rigurgiti di tastiera.
E insomma da gennaio, su questo blog, c'è una sezione nuova. E sì che quella prima volta, lo ricordo bene, ero infuriata. 
E infatti queste riflessioni nascono ancora oggi dalle mie sensazioni immediate, a tempo appunto.

Voi prendetele come volete, con le pinze, con i guanti, con le molle o dentro la coppetta del gelato.
Io continuerò a scriverne e questa non vuole essere una provocazione, ma solo una previsione.

Lo so che non vi importa niente.
Neppure a me.

Concetta D'Orazio

venerdì 12 giugno 2015

Riflessione a tempo - Silenzi

Se tutti i silenzi potessero parlare, ci sarebbe da turarsi le orecchie e stringere il naso.

Riflessioni a tempo - Libertà

Quando mi accordi la libertà di esprimere un mio giudizio, hai già dichiarato che sono di tua proprietà.
Viva la libertà.

martedì 9 giugno 2015

Riflessioni a tempo - L'uva

La volpe non arriva.
L'uva non è matura.
O sarà l'uva che non arriva.
La volpe maturerà.
Maturerà?

lunedì 8 giugno 2015

Riflessioni a tempo - Pensieri fra i denti

Non dite sempre quel che pensate.
Interlocutori selezionati in precedenza possono deludere, alla stregua di un seme che si incastra fra i denti.

venerdì 5 giugno 2015

Riflessioni a tempo - Coincidenze

Coincidenze che coincidono così perfettamente che quasi le penserei costruite di proposito. Le penserei.

lunedì 1 giugno 2015

mercoledì 27 maggio 2015

Riflessioni a tempo - Gli anni

Gli anni in meno, che tenti di dimostrare, si addizionano ai tuoi decenni manifesti.

Riflessioni a tempo - La spontaneità

Davvero credete a tutta la spontaneità che vi viene mostrata?

Riflessioni a tempo - Ingenuità

Non so quanto l'ingenuità possa muovere a condivisioni assurde o quanto essa sia solo un alibi, a promuovere condivisioni assurde.

martedì 26 maggio 2015

Risveglio







Mi svegliavo una mattina
già sapevo colorare.
Con occhi miopi coloravo il giorno,
sfumature liriche di grigio,
con quelle, il cominciamento del dì
io istoriavo.
Fra abbagli poco accecanti,
sceglievo il giallo per il mezzogiorno,
un ebete blu per le ore di calore,
abbandonandomi la sera
ad un verde vespertino.
E poi la notte la facevo scura,
ma di un opaco che rassicura

e non mette pena.
Per svegliarmi, infine, all’alba,
vuoi di bianca speme,

vuoi di incerto marrone bruno.

(Florilegio, 2012)



Riflessioni a tempo - La penna

Ognuno firma con la penna che ha.

venerdì 22 maggio 2015

Riflessioni a tempo - Piango ma rido

Piagnucolii gratuiti, a sostegno di cause insignificanti.
Lacrime tanto bugiarde quanto vantaggiose.
A me fanno ridere.

martedì 19 maggio 2015

Riflessioni a tempo - Finzione

Si impara a fingere e si diventa pure bravi. L'ipocrisia è finzione sublime.
Con l'esercizio quotidiano, hai davvero raggiunto il più alto grado di specializzazione.

lunedì 18 maggio 2015

Riflessioni a tempo - L'idea

Mi verrà un'idea. Come sempre. Nel mentre mi pulisco la terra dalle mani.

A difesa del dialetto

Noi siamo oggi quello che siamo stati ieri.
Alleniamoci affinché le nostre esperienze di ieri possano formare la nostra civiltà di oggi. 
La parlata dialettale è saggezza che, prima di tutto, appartiene al passato. È conoscenza, è ricordo, è consapevolezza della nostra storia locale. 
Non si deve proibire ai ragazzi di parlare in dialetto. Aiutiamo i nostri figli a capire le differenze fra la nostra parlata di origine e la lingua italiana e ad apprezzare la ricchezza semantica della prima e la squisitezza della seconda.
            
I giovani potranno solo trarre giovamento da questo prezioso bilinguismo di base.

giovedì 14 maggio 2015

martedì 12 maggio 2015

Scelte grafiche: i dialoghi

 Una condanna per gli autori che si auto-pubblicano?






Scelte grafiche: i dialoghi.
Una condanna per gli autori che si auto-pubblicano?

Il punto finale. Eccolo. Ho terminato.
Il mio scritto ha preso forma e consistenza, è diventato una storia, con tutti i suoi personaggi al posto giusto e con la battuta azzeccata.
Adesso tocca fare la revisione. Accidenti, lo so, questo è il momento più noioso, non tanto per aggiustare sfumature di sintassi, quanto per superare la famosa prova, quella della scelta dei caratteri, o meglio dei segni grafici, più adatti alla resa dello scritto.

Per molte questioni di tipo pratico, quali ad esempio la formattazione del testo, l’uso dei rientri e la misura dell’interlinea, possiamo reperire facilmente informazioni, anche adeguandole a quanto richiesto dalla piattaforma a cui abbiamo deciso di destinare il nostro libro digitale. Diverso è invece il problema relativo a scelte grafiche personali, per le quali non troveremo aiuto concreto, tanto meno regole fisse.

Una domanda su cui, ammettetelo, ammettiamolo, ogni volta perdiamo quelle mezze giornate, prima di prendere una decisione definitiva, è questa: come rendere le battute dei vari personaggi? E meglio: quali simboli utilizzo per la resa del discorso diretto?

Ho scritto parecchie volte sull’argomento, in articoli e interventi disseminati per il Web, perché ritengo che quello della resa dei dialoghi sia uno degli ostacoli più antipatici per gli autori che pubblicano i loro testi in maniera autonoma: devono assumersi la responsabilità della scelta dei “segnetti” giusti.
L’esperienza degli ultimi anni mi ha portato (finalmente?) a decidere per una soluzione che, conoscendomi, so già che non sarà quella definitiva. Ritiro il finalmente.
Questo è anche il motivo per cui ho deciso di scrivere un nuovo articolo sull’argomento: mi sento oggi più consapevole, da questo punto di vista, anche se sono sempre volta alla sperimentazione, come accade per la gran parte degli autori indipendenti. Da appartenente alla categoria, posso dire con sicurezza che, ad ogni nuova pubblicazione, i dubbi relativi alla questione del discorso diretto, anziché scemare, crescono.

Accade infatti che, nel mentre sei impegnato nella scelta, ricordi di aver letto il libro di quel collega che faceva parlare i personaggi, anteponendo alle loro battute un  trattino. Hai trovato che quella preferenza fosse della giusta essenzialità.
Poi ti è pure capitato di dare uno sguardo all’altro e-Book, scaricato da poco, ed hai visto che i dialoghi anticipati dai cosiddetti “” apici (virgolette alte) danno un effetto più vivace alla narrazione.
Sì, però è anche vero che il libro dell’altro amico, ad occhio attento, ha una grafica più elegante, grazie all’uso delle virgolette caporali «».

Insomma, come ho già detto, consumi più di un paio di ore in Rete a capire quale sia la forma grafica più opportuna.
Uscirai dal labirinto di informazioni in cui ti sei cacciato, dopo aver digitato sul motore di ricerca qualcosa come “resa dialogo casa editrice”, con un gran mal di testa. Sarai costretto a constatare che ognuno fa un po’ come gli pare. I grandi marchi, in genere, una volta stabiliti i segni da utilizzare, seguono con estrema precisione le loro regole.

E gli scrittori indipendenti? L’ho già detto: fanno come meglio credono.
Alcuni stabiliscono a priori regole personali e le rispettano ad ogni nuova pubblicazione. Altri sperimentano, cambiano. Non seguono uno schema prestabilito.

Io mi metto in questo secondo gruppo: ogni volta provo novità grafiche, insomma utilizzo nuovi segni grafici, forse per l’insicurezza che mi viene da una sorta di ansia da prestazione.
La mia preferenza, l’ho già detto altrove, è ormai accordata alle virgolette caporali: mi sembrano eleganti, raffinate.
E pure poco invadenti.
I dialoghi introdotti dai caporali, infatti, non creano confusione nel lettore, come potrebbe essere invece con gli apici: quante volte li abbiamo visti, a sottolineare il significato di termini inconsueti o singolari?
E non parliamo dei trattini ( rigati): potrebbero trarre in inganno, confondendosi magari con i segni simili, i - trattini di congiunzione, utilizzati per separare due o più termini.
Però il trattino a me piace, ­­fa pensare a dialoghi animati, veloci. Credo che sia preferibile in testi di ambientazione moderna. I caporali, invece, li vedo bene nei discorsi diretti, all'interno di scritti di contenuto più classico, storico.
Queste naturalmente sono solo mie opinioni.
Comunque sia, oggi posso dire che le cosiddette virgolette basse sono le mie favorite.
Attenzione, non confondiamo i caporali « » con << >>, che personalmente non userei mai.

Ho sperimentato tanto, prima di arrivare a questa conclusione, dai trattini agli apici doppi.
Nei miei scritti c’è la prova di questi esercizi di resa, chiamiamoli così.
Ogni autore indie d’altronde va avanti provando e riprovando.
Cerchiamo di perfezionarci, di migliorare.
L’esperienza, infine, porterà ad adottare sempre nuovi accomodamenti.


Concetta D’Orazio

Perché Maria Celeste punisce il suo corpo?


[...] mentre mi sbeffeggia sulla pancia, si dirama agli avambracci e scende giù nelle gambe, fino ai polpacci. Lo specchio non mi permette di vedere pure quelli ma già so che quella meschina rosetta è andata a lievitare anche lì.
Non mi sento troppo in colpa. Almeno non quando ho a portata di mano la soluzione.
Ed adesso ce l’ho.
Le dita in gola e la testa affacciata sul gabinetto.[...]




domenica 10 maggio 2015

Riflessioni a tempo - Il naso

Certi nasi non si scordano mai.

Riflessioni a tempo - Le righe dell'età

Ho letto la tua. Ce la siamo anche passata di mano, la foto.
Il gozzo tradisce tutti gli anni che nascondi dietro le menzogne.

Un bacio al mondo che cade

Mi addormento, piangendo insieme al mondo che piange.



Una tortura ogni sera, arrestare i pensieri e fermarli sul nero di un mondo che pare arrivato alla conclusione.

Mi dico: domani, forse, si rialzerà. 
Domani, è probabile, tornerà a cantare. 
E a brillare. 
E a non avere più fame.

Me lo sogno pure, quel desiderio. 
Come un disegno da colorare. 
Come una federa da ricamare.

Ma la notte si consuma con quell'illusione.

Domani sarà ancora giorno.

C. D'Orazio

Esile



Cosa contengono quei biglietti che Maria Celeste riceve da insoliti personaggi? Sono lettere, come quelle di una volta, all'interno di buste color panna. 

Perché la giovane farmacista ubbidisce in maniera incondizionata a misteriosi comandi, recandosi di volta in volta in posti diversi, facendo incontri così singolari?
Vissuto e presente, in una giostra di attese e di rievocazioni, lungo un sentiero che è di tenerezza ma pure di sofferenza. Su tutto, l'ombra di un amore, di una felicità che ha lasciato il posto all'angoscia dell'abbandono.


Un ricordo che si fa affanno e che sfoga il suo dolore sul fisico della protagonista, impegnata a mantenere un’eccessiva linea esile. 


Maria Celeste si aggira intorno alla sua solitudine, con l'unica compagnia di una fragranza: un’emozione che non coinvolge il solo senso olfattivo ma si espande a toccare quelli più nascosti nel suo essere
.

Un rosso di rimando

Sei qui.
La mia attesa è finita.
Hai impiegato un anno, dall'ultima volta. Questo lo sai.
Un anno. Comprendi il significato di tutto questo tempo perso?

Come credi che mi sia sentita io, senza di te?
Un vuoto. No.
Una voragine. Nemmeno.
Una nostalgia la miaSi faceva ogni giorno più impegnativa.

In tutti questi mesi ho dovuto far finta di niente. 
Immagina se qualcuno si fosse accorto. Immagina se qualcuno avesse capito la mia afflizione.
Sarei stata additata. E peggio: sarei stata calunniata e derisa.

Una come me che aspetta te?
Mi rendo conto? Ti rendi conto?
In tutto questo tempo, dunque, ho patito in silenzio, concedendomi solo qualche sospiro in gran segreto.

Ultimamente l'indugio mi era diventato intollerante.
Mi recavo lì, nel silenzio delle ore piene.
Proprio lì, nel luogo dove presumevo che avresti fatto ritorno.
Quel posto tutto nostro.

Adesso è finita. Ora ci sei. Un rosso che sfuma.
Lo osservo. Lo misuro.
Mi sembra quello dell'anno passato.
O forse è di una gradazione più vivace.

Fatto sta che è ancora immaturo. Acerbo. Intempestivo.
Proprio come te.
Basteranno un paio di giorni.
E poi sarai esigibile.
E io ti esigerò. Di certo.

Basterà allungare la mano.
Nella peggiore delle ipotesi, mi industrierò pure, arrampicandomi.

Rosso di rimando.

Ciliegia che non sei altro.

C. D'Orazio






lunedì 4 maggio 2015

Un silenzio di me. Una virtualità di troppo.




Mi ritrovo in silenzio, in questo tempo senza giorni e senza ora. Accade.
E mi allontano da quelle pagine che diventano moleste. Fastidiose. Insistenti.
Le pagine virtuali, sociali: teatrini di apparenze e di illusioni.

Non ho voglia di parlare e, vi dico la verità, ancor di più mi annoia leggere le parole cotte al vapore, che le stesse persone di sempre mettono in fila sui fogli virtuali del Web. 

Non dovrei dirlo, lo so, ma è più forte di me: rifuggo le banalità, intrise di sorrisi imperlati, di quanti vogliono mascherare comportamenti ipocriti ed indirizzati a questo o quello scopo. 

Non sopporto, inoltre, i lamenti incessanti. Patisco le parole urlate al soffio del garbino molesto, sulle pagine virtuali. Mi passano ogni giorno avanti agli occhi e non le vedo: frasi complicate e semplici di persone, impegnate in continue ed asfissianti lagnanze, ai danni ora di uno, ora di un altro. 
Individui tristi e polemici ad ogni ora. E mi chiedo: ma cosa vogliono questi? Stanno forse sottolineando, a suon di proteste, la loro perfezione?
O forse si sentono costretti a gridare al vento parole di critica. Di odio. 
Buttano in aria biasimo e rimproveri, nella speranza che almeno qualcuno li ascolti. 
Forse accadrà. Un domani troppo vicino al mai.


Mi ritiro, infine, tornando a considerare quello che davvero mi piace. Un tenero bagliore di sera, che mi rinfranca l'essere. Lontano dai frastuoni di colori e di parole inutili di quella virtualità disillusa. Ho bisogno dei miei cantucci ovattati, fra le ombre del mobilio di casa. Laddove arriva poca luce, di solito giungono le idee più importanti. E io le cerco. Le trovo. Le scansiono e poi me le dipingo di nuovo.

Mi accompagno con i miei giochi, che sono di carta, di pensiero, di pagine. Ho urgenza di fogli, come necessito presto di cibo al mattino, che dia pienezza di stomaco, ad accogliere il mio caffè.
Lo studio mi rinfranca. Mi calma l'affanno, come una bevanda di ristoro per quella sete che si rinnova sempre.

E poi mi ricordo. La memoria si piega a godere di tutto quello che ho sempre amato. E che amo.
Il pensiero mi aiuta a non dimenticare quello che mi piace.
Affondare le mani nella pasta, ad esempio, mi è d'aiuto e mi conforta. Non come una cuoca d'effetto ma solo  come una regina delle api, che prepara il necessario ma anche tutto ciò che fa felici. 
Rivisito ogni giorno i miei piatti: li presento imperfetti e senza l'eleganza di un vero cuciniere. Le pietanze mi piace metterle lì, quasi rustiche.
Le raffinatezze le lascio a chi cucina per mestiere. Io cucino per amore.

Ripenso ancora alle cose che preferisco. E pure a quelle che non preferisco.
Mi viene in mente che non amo i foulard, che non mi piace l'insalata di barbabietole. E poi ancora: sto lontana dai salotti e le mie letture me le leggo e me le canto. Non mi piace condividerle e infatti non le condivido. 
Non metto mai i libri in mano a chi non me li ha chiesti, men che meno quelli che mi appartengono.
In realtà non li consegno nemmeno a chi me li sollecita. È probabile che io sia egoista.

Mi sono fastidiose le borse. Quelle belle e di lusso non le so apprezzare e, perciò, mi stanno antipatiche. 
Anche sulle spalle delle altre. Ma non lo dico mai.



E poi mi piace passeggiare in montagna.
Fischiare in silenzio.
Cantare da sola.
Urlare di rabbia, quando nessuno mi sente.
Appoggiare i gomiti al tavolo, quando nessuno mi vede.
Saltellare sui tacchi, sfoderando indifferenza.
Sperare di rincasare al più presto, per buttare quei tacchi di prima.
Svegliare chi mi sta di fianco, scalciando sulla tibia.
Trattenere il fiato. Far finta di dormire, ignorando i rimproveri del proprietario della tibia.
Privilegio di sicuro la cena sul presto.
Ma sono meridionale nel gusto e nel sentimento.
Non disdegno la pennichella pomeridiana.
Prediligo, per certo, il fuoco del camino.


Vorrei svegliarmi con la certezza di aver già pensato a tutto.

Ecco, concludo, ricordando l'intento iniziale: non riempite di biasimo le pagine virtuali.
Pensate a voi stessi. Alle cose che amate.

Ed infine, non chiedetemi il senso di questo pezzo.
È venuto così, senza infamia e senza lode.
Sì, lo so, pure senza senso.

Se non fosse che anche voi però lo avete letto per intero.


Concetta D'Orazio











Oggi, nel nostro tempo, tutto sembra aver raggiunto il limite massimo: l'ipocrisia, la falsità, l'astuzia, la malizia.
E il raggiro è padrone di tutto e di tutti. 
Quel che più mi destabilizza, però, è l'ingenuità di alcuni, pronta a fidarsi delle mezze parole messe in croce dai più furbi, sia pure in maniera elegante e solo in apparenza finalizzata alla correttezza.

Riflessioni a tempo - Distratte distrazioni

Non fate caso alle distrazioni, quelle fatte ad arte per non essere esibite.
Come dire: le vedete ma nessuno le ha mostrate.

giovedì 30 aprile 2015

Scrivo in corsivo - Spreco di esclamativi

Li prendete a raccolta. Li fate marciare uniti, laddove ne servirebbe uno solo.
Segni interpuntivi di esclamazione forzata. A mille.
Ve li vendono a blocchi?
Ne serve uno.

Riflessioni a tempo - Il buon banale

Per apparire buoni è sufficiente essere un po' banali.
Per essere banali non è necessaria la bontà.

lunedì 27 aprile 2015

Riflessioni a tempo - Miseria

Per nascondere le proprie miserie, è sufficiente far finta di preoccuparsi di quelle degli altri.

sabato 25 aprile 2015

Terre d'Abruzzo






Tutto può cambiare: rimangono solo i segni del Tempo. 
Quei sigilli dobbiamo conservarli, non dimenticandoci di ieri.
Le nostre impronte sono incise nelle Terre d'Abruzzo.

Oggi e domani #gratis



Un IMI, Antonio è un militare italiano internato. Trascina la sua esistenza nel campo di prigionia, pagando duramente il suo rifiuto a proseguire la guerra. 
Nella sua quotidiana lotta per la sopravvivenza, l’unica consolazione è il pensiero che rivolge alla sua donna e ai figli che ha lasciato a casa. Due figli. 
Filomena non sa dove sia Antonio, il suo Tonino. Lo immagina e lo aspetta. Unica sua preoccupazione è quella di custodire i bambini. Tre bambini. 

Nero di memoria: #gratis per due giorni

#gratis #ebookgratis 







mercoledì 22 aprile 2015

Riflessioni a tempo - Nuove clientele

Liste di amichevoli interazioni, acquistate con parole scritte: è semplice comprare benevolenza.
Sono sufficienti  due o tre paragrafi di lodi tanto sperticate quanto risibili, ad occhi attenti.

Scrivo in corsivo - Controlli

Si controlli sullo schermo quello che le dita, incolte e presuntuose, hanno battuto con troppa audacia e colpevole ignoranza.
Gli errori sono alimento fresco per chi sogghigna in silenzio.

giovedì 16 aprile 2015

Riflessioni a tempo - Radici sradicate

D'altronde non avevo dubbi. Lasciami le mie, io non le dimentico.
Le mie origini mi sono care. 
Non devi sradicarlo, il mio albero che non è tuo.

mercoledì 15 aprile 2015

Desideri di primavera



Una carezzevole necessità, in questo pomeriggio di tiepida consolazione.
Il desiderio, in un momento e in molti istanti, si fa presuntuoso. Cresce e a poco mi affanna. 
Un bisogno che non so interpretare. 
E infatti mi tiro indietro, non lo respingo ma nemmeno mi concedo.
Una fantasia che è di leggerezza, di luce, di sentimento.

Fango, capelli e sementi.


Il ciliegio del mio giardino


Mi guardo le mani. Non c'è crema che stabilizzi la pelle, che mi rattoppi i lembi lacerati di ferite evidenti e di quelle meno profonde.
Ho buttato tutta l'anima, insieme ad esse, nel sentore di questa primavera adolescente. 

Guardo pure le ginocchia: le ho appoggiate alla terra, arrivando ad infangarmi persino i capelli, in quell'attimo di raccoglimento con il semenzaio.

Osservo adesso le mie scarpe, quelle che ho affondato nell'erba: l'ho aggiustata in altezza, limando la sua alterigia e imponendole un limite che già domani, negletta, non rispetterà.

Mi riconcilio finalmente con tutto quello che è fuori. 
Che possa calmare pure le disillusioni di dentro.
Me lo merito.

Scrivo in corsivo - Debolezze di predicato.

Auspico la loro riconciliazione eterna.
Hanno avuto un momento di debolezza, quando il signor Predicato ha perso la testa per una virgola, una qualunque. 
E Predicato si è lasciato corteggiare da quella. 
Le è rimasto attaccato per un po'. Per fortuna si è ravveduto subito, ha capito il suo errore e ha scansato la scellerata.
È tornato sui suoi passi, ha chiesto perdono. 
Spero che la signora Complemento ci passi sopra, per questa volta.

lunedì 13 aprile 2015

Riflessioni a tempo - La firma

In silenzio ti guardo, mentre firmi la tua dignità viziata, con la stessa penna che hai usato per ferirmi.
Tu scrivi. Io non ti fermo.
Te la scrivi e te la canti.

Scrivo in corsivo - Le lettere non si contano

Siamo arrivati al punto che le parole si distinguono a peso e si giudicano al grammo.
Tu quante ne fai all'etto?
Coscienza letteraria in divenire o rimorso narrativo a posteriori?

domenica 12 aprile 2015

Il vino d'Abruzzo




Non è necessario tornare indietro negli anni per ricordare i tempi in cui l'esistenza di molti pareva scandita dai ritmi sonori, definiti e certi dell'agricoltura

Non mi riferisco solo a quelle persone che erano impegnate esclusivamente nel lavoro nelle campagne. Nelle piccole comunità, paesane o cittadine, la vita di ognuno sembrava mantenere quei limiti temporali che i campi, la loro cura e le loro rendite permettevano.

Sì, perché, malgrado si avesse da gestire un mestiere che con l'agricoltura non aveva nulla a che fare, ognuno aveva un legame con la terra che poteva derivare da un possedimento di famiglia o uno in gestione di parenti o amici. 
Dunque, per questo motivo, nel corso dell'anno, c'era sempre da dare una mano oppure aiutare ad organizzare il da farsi negli orti e nelle terre

Tutti siamo stati, e in molti lo siamo ancora, contadini, legati al ciclo vitale della zolla.

È la terra, sì, la madre che sopperisce ai bisogni della nostra fisicità. Non dovremmo mai dimenticarlo. Il nostro nutrimento, immediato o per ritorno economico, proviene da quei campi che spesso, impegnati a fare altro, abbiamo guardato con distacco o non abbiamo apprezzato a dovere.




Ogni zona si caratterizza per una produzione particolare, l'eccellenza che accompagna gli altri raccolti.

Nella mia terra, l'Abruzzo, di prelibatezze ne abbiamo diverse.
I nostri campi sono stati sempre buoni a produrre vari tipi di ortaggi, di frutta. 
Le campagne d'Abruzzo hanno dato in abbondanza verdure, grano, pomodori, olive.

Sin da piccola, però, ho sempre pensato che la produzione agricola che, ai miei occhi, sembra avere una inusitata importanza, anche e soprattutto sull'organizzazione stagionale di chi si impegna in questo lavoro, è sicuramente quella relativa all'uva.
Ho usato l'aggettivo inusitata per indicare tutta quell'aurea quasi spirituale che, a mio vedere, contraddistingue quel ciclo naturale che porta all'imbottigliamento del succo dell'uva, dopo averne curato, per intere stagioni, la pianta.

Un ciclo che passa per l'impianto di nuovi virgulti, la vendemmia, la potatura. Ma pure la pigiatura, la fermentazione, le varie prove, l'imbottigliamento.
L'esistenza di tante famiglie sembrava e sembra legata a queste cadenze temporali.
La vigna, lu capannete, come dicevano gli anziani, pare aggrovigliare i suoi rami torti attorno alla quotidianità di chi ha sempre vissuto con l'occhio che dalla finestra si affaccia sui filari di vite, allineati ed ordinati.

Nella nostra regione, come ogni cosa, anche il vino è forte, nel senso di robustezza del "corpo".
Il nostro vitigno pregevole è il Montepulciano d'Abruzzo, un vino carico di sapore che abbiniamo alle nostre pietanze sostanziose: pasta all'uovo, carne, affettati e formaggi stagionati.

Pure questo è Abruzzo.

Concetta D'Orazio






sabato 11 aprile 2015

Il vino



«Continua a portare la mia attenzione da qualche altra parte. Sappiamo benissimo dove vuole arrivare. E lui è bene al corrente del fatto che io non voglio giungere nello stesso punto suo.
Il vino però mi sta salendo alla testa. Se ne accorge e sorride compiaciuto. In fondo è questo l’effetto che voleva ottenere. [...

La fragranza dell'assenza




#lafragranzadellassenza #ebook


Riflessioni a tempo - Baciata

L'insolenza è compagna dell'arroganza.
La menzogna è abbracciata alla maldicenza.
Saranno tutte queste assenze
di umiltà e di decenze
che mi sottolineeranno la tua decadenza.


venerdì 10 aprile 2015

Riflessioni a tempo - Parole a perdere

Buttale lì, come sempre.
Le tue parole sono belle, sono abbondanti. Sono troppe.
Suda di lavoro, piuttosto che far venir la barba pure alla noia, con tutte quelle tue chiacchiere inzaccherate.

mercoledì 8 aprile 2015

Riflessioni a tempo - Gli ideali

Coltivate ideali. Nutriteli di chiacchiera inservibile e secolare sterilità. E poi arrangiatevi.

Adesso, tirate in su quelle maniche di camicia. Lavorate.

mercoledì 1 aprile 2015

L'eleganza della solitudine



«Infilo il mio parka grigio, lasciando scorrervi sopra la tracolla della borsa. Lo aggiusto sui fianchi, tirando bene giù i jeans che mi si sono incollati, aderendo alle gambe e stringendosi ancor di più fino al limite degli stivali. [...]»

(La fragranza dell'assenza, 2014)



Leggimi a primavera

Cari amici, mi piace segnalarvi la promozione dei miei libri, in vendita a 0,99 euro dal 2 al 9 aprile 2015.
Ricordo che gli abbonati a Kindle Unlimited potranno scaricare questi e altri miei titoli gratis.


Buona Pasqua e Buona Primavera