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lunedì 23 novembre 2015

Natale in Abruzzo - Le buste piene di roba



Le immagini sono ancora nitide in me, mi pare quasi di toccarle. 
Lo saranno per sempre, credo.
Non sono trascorsi molti anni, mi sembra di vedere quelle buste piene di ogni opulenza gastronomica, che ci appesantivano le braccia quando varcavamo la soglia di abitazioni altrui.

E voi ricordate quando, in occasione delle feste, esisteva l'usanza di andare a trovare parenti ed amici?
La particolarità, che rendeva le visite diverse da quelle di oggi, consisteva nella natura e nell' abbondanza del dono con cui famiglie intere si recavano a "trovare", cioè a salutare in casa, zii, cugini, amici.

Le buste di plastica, piene di roba da mangiare, più che di oggetti o regali veri e propri, rendevano palese il nostro legame e la nostra intesa con il destinatario, o i destinatari, di quanto in esse contenuto.

A seconda del grado di parentela o comunque di considerazione da parte nostra, i sacchetti venivano riempiti con vari alimenti. 
Si andava dai classici panettone e bottiglia di spumante. Si aggiungevano torrone, cioccolatini e biscotti. 
Non si disdegnavano pacchetti di pasta, soprattutto quella all'uovo che, come dicevano gli anziani, faceva più figura
Sale e zucchero si aggiungevano poco a Natale, mentre erano piuttosto riservati alle buste per altre circostanze, quali la visita per un lutto oppure in seguito ad una degenza ospedaliera. 
Il principe di ogni busta era il caffè, in confezione di platica o barattolo.

Il caffè no, non poteva mancare, in nessuna occasione. L'usanza di recarsi a casa di un familiare o amico, dopo un lutto, era addirittura esplicitata nella espressione "andare a portare il caffè".

La visita con sacchetto pieno, in alcuni paesi abruzzesi, pare essere ancora in voga, soprattutto fra le persone più anziane.

Nel racconto "Il panettone è troppo piccolo", della raccolta Riprendiamoci il Natale, ho inserito un riferimento a questa usanza abruzzese.




Ieri è scesa un po’ di neve ma non ha creato molto impiccio. La strada è pulita. Prima di passare oltre l’inferriata, bisogna suonare il campanellino: gli zii che non sono zii hanno un cane che abbaia molto. Meglio stare attenti.
Ci viene ad aprire il figlio dei padroni di casa. Non è nostro cugino ma è come se lo fosse, non vuoi altro che per logicità di parentela. È molto più grande di noi. Papà dice che ha finito da tanto tempo le medie ma poi non ha voluto continuare a studiare. È rimasto a casa, guida il trattore ed è pure molto bravo.

Entriamo. Ci troviamo subito nella sala preparata per la tombolata. Mamma poggia la busta di plastica che, nel pomeriggio, ha riempito di roba da portare per la visita: due pacchetti di spaghetti, un sacchetto di zucchero, una confezione di caffè ed una di savoiardi. Ha messo pure due torroni,  uno per ogni cugino-non cugino. Sono grandi ma i torroni li mangiano ancora. [...]

Troverete il racconto intero ed altri a questo link

Concetta D'Orazio



giovedì 12 dicembre 2019

Calendario dell'Avvento. Giovedì, 12 dicembre 2019




Eccoci finalmente a scoprire un'altra finestrella del Calendario dell'Avvento d'Abruzzo, edizione 2019.
L'appuntamento di oggi, 12 dicembre, è dedicato alla splendida Chiesa di Santa Maria ad Criptas che si trova a Fossa (AQ).

La mia visita risale anch'essa alla passata estate (sto approfittando dell'occasione del Calendario per ricordare le località che non avevo ancora avuto modo di menzionare sul blog).
La chiesa è stata di recente riaperta alle visite, dopo i lavori eseguiti per rimediare ai danni causati dal terremoto.

Gli occhi non si stancheranno di girare e fermarsi sulle pareti completamente affrescate. Eccezionali infatti le raffigurazioni pittoriche che adornano le pareti, realizzate in epoche diverse (dal 1200 al 1500). 

Consiglio a tutti una visita a questo capolavoro, rimarrete davvero senza parole.

A domani,
Concetta D'Orazio






Ho scritto sul Natale d'Abruzzo in Riprendiamoci il Natale








mercoledì 9 dicembre 2020

Calendario dell'Avvento d'Abruzzo - Giovedì 10 dicembre 2020 - Lu servìzie de bbecchière andìche

 




Cari amici, siamo già arrivati al decimo giorno del nostro Calendario dell'Avvento d'Abruzzo, edizione 2020, giovedì 10 dicembre.

Stavo pulendo una vetrinetta e ho tirato fuori questi bicchieri che tolgo solo per spolverare. Sono elementi superstiti di servizi antichi e mi dispiace sciuparli.

Un tempo i calici ricoprivano un ruolo molto importante nella vita quotidiana. Essi erano di tutte le fogge e di tutte le misure, calibrati sul liquido che dovevano ospitare. Davvero belli, con leggere incisioni o disegni a rilievo. Dovevano essere riposti in mostra, forse a testimonionare le buone condizioni economiche della famiglia.
Ogni volta che si riceveva qualche visita, si sceglieva il boccale, a seconda della circostanza e della bevanda: vino, succo, bevande varie.

Un posto particolare era ricoperto dai cosiddetti bicchierini per il liquore: piccoli e deliziosi, se ne trovavano sempre diversi, spesso con incisioni e decorazioni.

Oggi siamo meno formali e, a parte poche diverse tipologie, utilizziamo bicchieri dalla foggia molto più spartana.

Vièmm'a truvà ca ce facième 'nu bbecchière.

Si invitavano amici, promettendo bevute: - Vieni a farmi visita, così beviamo qualcosa.

Assièttete aèsse ca mo' te dènghe nu bbecchierine.

- Accomodati, ti offro un bicchierino (di liquore).


A domani, con una nuova casellina.

Concetta D'Orazio






sabato 16 novembre 2019

La quiete del lago. Eremo di San Domenico.









Tante volte osservai da lontano, mentre ero in transito sulla strada che conduce al Lago di Scanno. Immaginavo che fosse un luogo di sospiro e di respiro. Lo avevo anche letto. 
Spesso avrei voluto fermarmi ma era sempre o troppo tardi o troppo presto o ancora affollato o quasi chiuso. 
Il tempo rimandava la visita a momenti in cui avrei avuto più concentrazione per assaporare la serenità di quel luogo d'incanto.
E il tempo ha sempre ragione.
Qualche settimana fa, con la pacatezza di un giro di domenica pomeriggio, sono riuscita a compiere il mio proponimento.

Dopo aver accostato la portiera dell'auto, m'incamminai lungo il tragitto che conduce alla piccola chiesa. 
Un solido ponticello collega la strada al luogo di culto, permettendo di passare sopra alla grandiosità di un lago incastonato fra i monti. 
Le sponde sono infatti quelle del Lago di San Domenico, bacino artificiale, un paradiso alla vista e una carezza di quiete per i pensieri, nella Valle del Sagittario.
Lì, dove gli opposti declivi delle montagne si incontrano a formare la punta di un triangolo, le acque del lago rispondono di concerto, mostrandosi anch'esse ferme e di geometria capaci.



Con il capo girato ad adocchiare l'orizzonte in cui le acque si congiungono a punta alla punta del cielo, arrivai alla piccola chiesa, che, racchiusa fra le rocce, custodisce la grotta dove il monaco visse da eremita, guadagnandosi la santità.



Una volta fuori, mi affacciai di nuovo al magnifico porticato davanti alla chiesa, a godere ancora del panorama lacustre e della vegetazione rigogliosa.



Ammirai quella abbondanza di verde e di rosso e di blu, frammista alla tranquillità del luogo di preghiera e di riflessione.
Con me portai finalmente il piacere di quella visita e di quella vista.

C. D'Orazio





L'Eremo di San Domenico si trova nel comune di Villalago (AQ)

lunedì 7 dicembre 2020

Calendario dell'Avvento d'Abruzzo - Martedì 8 dicembre 2020 - Lu màcena cafè





Carissimi, nel silenzio di rispetto e di attesa di questi giorni difficili per il mondo intero, ci accingiamo a scoprire una nuova casellina del nostro Calendario dell'Avvento d'Abruzzo, edizione 2020.

La giornata è quella dell'8 dicembre, dedicata all'Immacolata Concezione. La festività è sempre stata molto sentita da noi, in Abruzzo: essa, in situazioni normali, segna l'inizio vero e proprio del periodo natalizio. Le luci tornano a decorare gli interni e gli esterni delle case. 
Quest'anno è andata così, ma cerchiamo di mantenere vive le nostre tradizioni, per quel che possiamo.

Per il Calendario dell'Avvento di oggi ho scelto un altro oggetto tipico, spesso presente nelle case degli abruzzesi, certo, ora rimasto solo un arnese da esposizione ma un tempo era molto utilizzato.

Parlo del macinacaffè, in dialetto lu trita cafè o lu màcena cafè.
L'utensile per ridurre i grani in polvere, alcuni anni fa, faceva la sua bella figura sulle mensole delle cucine degli abruzzesi.

Il caffè, bevanda calda che invita al sodalizio;
il caffè, lu cafè, è occasione di andare per le case a fare le pèttelarìje, i pettegolezzi.

Mìtte a fa lu cafè ca mo' te venghe a truvà.

L'amica, la vicina, la commare telefona e nella sua voce già si sente aria di grandi novità da raccontare: - Prepara il caffè che arrivo.

So preparate la bušte, dumane vaje a purtà lu cafè Nennarèlle ca à remenùte da lu 'spedale.

"Andare a portare il caffè" era espressione che indicava la visita di cortesia a parenti ed amici, in occasione di qualche evento particolare (Ne avevo scritto qui): - Ho preparato la busta, domani vado a "portare il caffè" (far visita a) a Nennaella perché è tornata dall'ospedale.

Vi auguro una buona festa dell'Immacolata Concezione.

A domani.

Concetta D'Oazio







mercoledì 27 agosto 2014

Salzburg, sulle note del tempo - Salisburgo




Le note mozartiane ad accompagnare la nostra visita al Borgo del sale, Salzburg.

Le ombre bianche delle nuvole stanno bene al loro posto, al di sopra di queste guglie e di questi tetti, così ordinati, così con cura sistemati. Quel candore nel cielo pare assomigliare ad un vello bianco che riscalda e rassicura.

Continua la musica nella mia testa. Sento che ne ho bisogno: mi tiene compagnia nei miei vagheggiamenti di tranquillità, nella costante ricerca di quanto è bello e mi conforta.




Quell'equilibrio e quella compostezza mi si incanalano nei meandri della coscienza, aiutandomi a godere della bellezza ferma nei secoli e composta nella storia.




Le ho ripassate tutte le note, nella mia testa, mentre mi aggiro fra lo splendore dei Giardini del Castello di Mirabell



I fiori sono in posa, elegantissimi nei loro colori, posizionati amabilmente e con sapienza nei punti in cui si intrecciano le linee delle sagome geometriche delle siepi.


Decidiamo di salire. La funicolare ci accompagna fino a sopra, laddove la Fortezza, Hoensalzburg, domina il paesaggio sottostante.



E il fiato mi si ferma un po'. La sosta dell'aria che entra e esce dai polmoni è abbastanza lunga ma io sono tranquilla: quel momento di imperturbabilità è dedicato a quanto vedo sotto ai miei occhi.

Concetta D'Orazio.


sabato 9 dicembre 2017

Sabato, 9 dicembre 2017 - La spasétte

Calendario dell'Avvento d'Abruzzo

Sabato, 9 dicembre 2017 - La spasétte





In ritardo arrivo ad aggiornare il Calendario dell'Avvento d'Abruzzo, ricordando un termine dialettale che designa un oggetto con un fascino particolare. 

La spasétte, il vassoio che utilizziamo tante volte, nell'arco della giornata, per offrire dolci, caffè, bevande ai familiari oppure agli amici che vengono a farci visita.
Nella nostra terra, i doveri di ospitalità sono sempre tenuti in gran conto. Porgere un assaggio, preparare una tazza di caffè oppure presentare una bevanda: azioni sincere e spontanee per mettere a proprio agio l'ospite.

Il cibo o le bevande vengono presentate su di un vassoio, la spasétte appunto, sia pure conosciuta come uantiére.



Un tempo la spasétte veniva scelta con molta cura e conservata a vista sui ripiano dei mobili delle sale: il vassoio, infatti, doveva essere sempre a portata di mano. 
I vassoi belli e pregiati venivano utilizzati per le occasioni più importanti.




Della spasette avevo già scritto in questo articolo.
Vi saluto e vi ricordo l'appuntamento di domani con una nuova parola.

C. D'Orazio




giovedì 15 gennaio 2015

Un anno di Nero di memoria

Parte due - Abruzzo, il dialetto nel cuore - La spasetta




Nel corso della composizione di Nero di memoria ho condotto, come è naturale, numerose ricerche.
Non mi è stato però necessario dover studiare troppo, per quel che riguarda alcune parole o espressioni in dialetto abruzzese, che ho inserito nel libro.

Il dialetto, l'ho detto già, è una parte di me e convive da sempre con il mio modo di esprimermi formale ed accreditato, vale a dire in lingua italiana. 
Così credo che sia accaduto per parecchie persone che appartengono alla mia generazione ed hanno vissuto in realtà territoriali piccole, quali possono essere paesi o cittadine.

Siamo cresciuti a "doppia lingua" e la seconda, prima o dopo l'italiano, non siamo andati a cercarla troppo lontano. Non siamo stati neppure costretti a fare sacrifici per costosi soggiorni all'estero.
La nostra lingua altra è stata quella che genitori e nonni ci hanno insegnato, facendola passare per buona, prima ancora di quella ufficiale, vale a dire l'italiano.
Non ho nessun problema, tanto meno alcun tipo di disagio a riconoscerlo: le mie prime frasi di senso compiuto, pronunciate da bambina, lo ipotizzo con sicurezza, furono in abruzzese.

Sì perché a quei tempi (anni '70) la lingua quotidiana, utilizzata da un ceto medio di residenti in un piccolo borgo, era il dialetto appunto. 
Non che la lingua italiana non fosse conosciuta, ma si ricorreva ad essa in particolari occasioni, quelle per le quali era opportuno non comunicare in abruzzese.

Nella mia personale realtà famigliare, gli adulti si esprimevano in italiano in determinate situazioni: nel rispondere al telefono, nelle varie faccende da sbrigare negli uffici pubblici, nei colloqui con maestre e professori, nel corso delle visite mediche. 
Noi bambini, in tal modo, vivevamo già in una realtà dichiaratamente bilingueessendo divenuti ben presto esperti a comunicare a seconda della circostanza.

Insomma, si "esponeva bene" in tutte quelle occorrenze in cui si temeva di non venir compresi dall'interlocutore che si riteneva persona istruita o di riguardo. 
In sostanza, si cercava di non far brutta figura. Come se l'esprimersi nella parlata di tutti i giorni potesse essere considerato un segno di leggerezza o di poca eleganza.

È difficile riuscire a capire cosa potesse allora, e in alcuni casi anche ai nostri giorni, far sembrare imbarazzante discorrere nel nostro bellissimo idioma regionale, armonioso e gradevole, tanto quanto la lingua italiana accreditata.

Con la maturità di oggi, mi piace pensare che quel disagio fosse in realtà da ricondurre ad una sorta di timidezza o di riserbo, da parte di persone la cui esperienza di vita è stata sempre molto spontanea e genuina.

La necessità di salvaguardare ogni realtà linguistica locale e circoscritta è un'esigenza che cercherò di condividere il più possibile, con questo ed altri articoli.

Riprendo ora quel discorso che ha dato inizio all'intervento: l'inserimento di termini ed espressioni abruzzesi nel mio libro.
Non ho esagerato, a dire il vero, con il dialetto, per non incorrere nella critica di chi potesse leggere questa mia eventuale scelta come un modo per escludere chi non comprende bene il significato di termini e frasi della parlata caratteristica.

Alcune parole, tuttavia, le ho messe, soprattutto perché contengono un valore che va al di là del senso che attribuiamo normalmente al termine.
Per cercare di spiegare questa mia opinione, e per iniziare a dare qualche riferimento concreto, voglio ricordare il termine spasetta, che nel romanzo è utilizzato da Filomena, la protagonista, in questa espressione.

«La mosca! Si sta posando sulla spasetta dei maccaroni!» (Nero di Memoria, cap. I)

Nel dialetto di oggi, il termine spasette, spasetta, è stato sostituito da quello di vassoje, molto più vicino all'italiano vassoio
Con esso indichiamo la ciotola piatta o poco fonda che normalmente si utilizza per servire dolci o piccole pietanze salate.
Da bambina, lo ricordo molto bene, quel contenitore era chiamato spasetta, termine a volte sostituito da huantiere (guantiera, da intendere non nel significato dell'originario "porta guanti", bensì in quello di recipiente in cui offrire cibo).




Questa parola racchiudeva in sé tutta la natura quasi devozionale che poteva avere l'atto di accogliere l'ospite in casa.
La visita di un amico, di un parente o di un vicino di casa doveva essere approvata, quasi
magnificata, da gesti rituali e dall'utilizzo di oggetti predisposti e tenuti in serbo per queste occasioni (la zuccheriera, la tazzina del servizio buono, la spasetta appunto).

Per questo motivo ogni volta che mi capita, raramente ormai a dire la verità, di sentir nominare quel vocabolo, nella mia testa si attiva un ricordo composito. In esso vedo persone sedute intorno alla tavola apparecchiata, su cui spicca la spasetta, con sopra lu centre o lu centrucce (manufatto ricamato o all'uncinetto), su cui sono appoggiati bocconotti e pizzelle.

Anche se a volte lo si utilizzava per altre necessità di casa, come nel riferimento di sopra alla frase del libro, quello che potremmo definire il vassoio di rappresentanza, la spasetta appunto, doveva essere sempre tenuto in gran conto: lucido e pronto ad accogliere l'ospite.


Concetta D'Orazio






#dialettoabruzzese #dialetto #spasetta

mercoledì 27 agosto 2014

Nello splendore perdersi e poi risollevarsi - Parigi

Non tutto è necessario, quando appoggi le gambe e poi il tuo passo su quelle strade. Non può esserlo perché ti manca il tempo.
Devi armarti di pazienza e confidare in una nuova visita in futuro.



È così, ogni volta, prendi tutte le emozioni, raggomitoli i sospiri, facendone incetta per tutto il periodo, lungo o meno, deciso o incerto, in cui poi dovrai essere lontana. 

Ne senti la necessità: quell'aria, quelle nuvole che fanno continuamente scherzo al sole, giocando buffe a spruzzare schizzi di pioggia.
Hai bisogno di assaporarne più che puoi perché, per quanto tempo tu abbia a disposizione, esso non è mai abbastanza per gioire almeno un po' di tutta l'arte, del tepore romantico, dei sapori e dei colori di Parigi.


Lo sguardo che accompagna le peregrinazioni nelle vie della Ville Lumière è perennemente volto in alto. 
Non voglio perdermi niente della maestosità di questa atmosfera.

Con il naso sempre all'insù, mi guardo attorno, come fossi su di una giostra, una di quelle con i cavallucci a dondolo. Mi siedo buona al mio posto, cercando di assaporare ogni riflesso delle luci che girano intorno.  
Rimango lì, con i capelli aggrovigliati e con la bocca aperta, quasi ad aspettare lo zucchero filato, come ricompensa finale per essere stata buona. 

Un pezzo di tempo, qualsiasi, è sempre poco. Non basta. 
Cammini per le strade e senti di non aver calcolato bene ogni attimo programmato per la tua permanenza.
Vorresti che tutto si fermasse intorno e che tu rimanessi immobile in quella vetrina di luci, di parlate, di gente varia.





E allora mi affretto. Mi aggiro, insaziabile, a gustar ogni cosa. 

Cerco e trovo l'opportunità di fare tutto. Devo.
Notre Dame, il Trocadéro, il Quartiere Latino, la Basilique du Sacré - Coeur, Montparnasse.

Passeggio lungo gli Champs-Élysées, mentre l'Arc de Triomphe pare controllare il mio passo, da lontano. 

Il Louvre, Il Museo d'Orsay e gli innumerevoli ritrovi d'arte e di artisti. Li faccio miei per parecchie ore e per diversi giorni.

Una camminata lungo la Rive Gauche, a sbirciare tra i libri introvabili. I bouquinistes, il loro fascino di sempre.




E cammino, cammino. Nemmeno i piedi sono gravati dalla fatica. Non vogliono fermarsi!

Parigi: la contempli e non ti stanchi. 
La saluti, mentre già ti manca.


Concetta D'Orazio



mercoledì 11 dicembre 2019

Calendario dell'Avvento. Mercoledì, 11 dicembre 2019


Eccoci all'incontro quotidiano con il nostro Calendario dell'Avvento d'Abruzzo, edizione 2019.
Apriamo la finestrella di mercoledì 11 dicembre con la riflessione su di un termine che mi è tornato in mente nel pomeriggio: lu fangòzze.

Questa parola fa parte di quella sfera del dialetto composta da termini che vanno ormai scomparendo; essi appartengono ad un tempo antico, ad un dialetto nella sua forma più genuina perché non ancora contaminata dall'influenza della lingua italiana.

Lu fangòzze era il fagotto, il fardello composto in genere da una busta piena o una borsa o comunque un contenitore che la persona si portava dietro.

Lu fangòzze poteva essere appoggiato anche sulla testa, al di sopra dello strofinaccio arrotolato, utilizzato per attutire il peso sul capo e per permettere al fagotto di rimanere in equilibrio.

Diversi erano i tipi di involto: c'era la busta da riempire di zucchero, caffè e biscotti per andare a fare visita a parenti ed amici, in occasione di una ricorrenza o di un evento. (Si legga qui)
La borsa della spesa era detta altresì fangòzze; allo stesso modo il fardello di verdure che si portava a casa, dopo la raccolta nei campi.

E ora, con questo fanguzzelle (piccolo fagotto) di chiacchiere, vi saluto dandovi appuntamento a domani.

Concetta D'Orazio




venerdì 16 settembre 2016

Abruzzo: modi di dire, proverbi ed espressioni in dialetto.






Cari lettori abruzzesi e simpatizzanti d'Abruzzo,
come molti di voi sanno, nell'articolo dedicato alle parole in lingua abruzzese che oggi sono poco utilizzate, mi ero occupata di raggruppare i termini che rischiano di essere dimenticati.
Il brano è in continuo aggiornamento, grazie alla vostra gentilezza e pazienza nel volermi aiutare in questo lungo percorso di recupero dei termini.


Oggi, com'è naturale, il dialetto va perdendo le sue originarie peculiarità, per assomigliare sempre più alla lingua italiana. 
Ad essere in pericolo di oblio non sono soltanto i singoli termini ma anche i modi di dire e i proverbi che un tempo erano ripetuti dai nostri nonni ed antenati.
Per questo motivo ho ritenuto importante raccogliere in nuovo articolo queste espressioni, continuando a confidare nella vostra disponibilità a completare la lista.



Per mia comodità ho scritto con un colore diverso la vocale indistinta, che non va pronunciata. Avrei potuto utilizzare il relativo simbolo grafico (e rovesciata) ma ho preferito adottare questa soluzione, per permettere a tutti un'immediata comprensione.
Ho inoltre riportato le espressioni con accento e apostrofo che mi sono stati di volta in volta suggeriti da chi me le ha indicate.

Non ho dato un ordine alle espressioni. L'articolo è in continuo aggiornamento.



Proverbi


- Vidò' e nin tuccà' è 'na cosa da cripà'.

Vedere e non toccare è una cosa da crepare.

- Si l'orte nni bbòve, lu patròne nni magne.

Se l'orto non beve, il padrone non mangia.

- Statte 'ngh (e) si quaranta guaie. / Sctatte 'ngh (e) 'sse poche uaie.

Resta con quei quaranta guai. / Rimani con quei pochi guai. 

Lu piatte de la cummare è sempre 'cchiu rosse.

Il piatto della comare è sempre più grande. Le cose altrui sono sempre migliori.

Lu monace vreognoso porte la visaccia vote.

Il monaco timido ha la bisaccia vuota.

- Ne ruje e ne muje.

Non parla e non fa alcun cenno.

- Nen tresche e nen spicce l’are

Non trebbia e non sgombera il campo. Né prende provvedimenti né si assume responsabilità.

- A preta a preta s’è fatte Rome.

La città di Roma è stata costruita con una pietra dopo l’altra. È bene fare le cose con calma.

- L’acque ca n’a venute in ciele scta.

L’acqua che non è venuta giù è rimasta in cielo. Prima o poi tutto accade.

- Tire uje ca ve dumane.

Vai avanti oggi, ché domani arriverà. Vivi alla giornata.

- Arepuse ‘ssa cocce.

Fai riposare la testa. Non mettere troppa carne al fuoco. Fai le cose con calma.

- Che ce tie’ ‘ncocce? La canije?

Che cosa hai in testa? La crusca? Hai idee strane e strampalate!

- Se allenzate cumma a na caijne!

Cova come una gallina.

- Vaijo,' a calate de sole, va' a strama.

Ragazzo, dopo il tramonto, governa le bestie.

- Setacce setacce, coma mi fi, cuscì te facce.

Setaccio, setaccio, come mi fai, così ti faccio. Occhio per occhio, dente per dente.

- N' vaj' a la chiese ca so cioppe; a la cantine chiane chiane...

Non vado in chiesa perché non cammino bene; alla cantina arrivo lentamente. Faccio quel che mi conviene.

- Povere la pecure che je pese la lane!

Povera la pecora a cui pesa la lana.

- Addo’ scta troppe ijelle nen fa mai juorne.

Dove ci sono troppi galli non fa mai giorno.

- Tu pienne come ‘na ceresce.

Sei penzolante come una ciliegia.

- Chi nen te’ bone la cocce, te’ bone le gambe.

Chi non ha buona testa deve avere buone gambe. Chi non è veloce con il pensiero, deve essere veloce con le gambe.

- Che bella jande, Giuva'!

Che bella ghianda, Giovanni! (Riferito a chi cambia discorso all'improvviso).

-  Se sé move lo rano, 'nqua parti tira vento (dialetto aquilano). 

Se si muove il grano da qualche parte tira vento.

- Rosce d sere , bontempe se spere. 

Rosso di sera, buontempo si spera.

- Che nin puzza ote manghe dendre a l'ussarje.

Che tu non possa riposare neppure nell'ossario. 

- Tire uje ca ve duman
e!

Tira avanti oggi, che poi c'è domani. Lascia trascorrere il tempo.
- Lu setacce da je’ e da mene'.

Il setaccio deve andare e deve tornare indietro. Il bene che si fa deve essere ricambiato.



Espressioni

Fa ciche ciche.  

Fare il solletico.

Purta' lu café.

Recarsi in visita in seguito a ricovero o lutto in famiglia, con l'accompagnamento di un dono, consistente in generi alimentari.

Purta' la dodde.  

Il significato letterale di questa espressione è quello di "portare la dote". L'espressione si riferisce ad una tradizione, ancora molto radicata in alcuni paesi quasi fino a qualche decennio fa. La futura moglie, accompagnata dai famigliari, pochi giorni prima delle nozze, si recava in quella che sarebbe diventata la casa coniugale, a "depositare" la dote che consisteva in biancheria intima e per la casa.

Ijenne casilienne

Andare spettegolando per le case.